Arte&poesia - Il più grande (di tutti): Vladimir Majakovskij
Il più grande rivoluzionario, ma proprio il più grande (di tutti) davvero non fu il "Che", né lo furono Pancho Villa o Emiliano Zapata, o Robespierre o Danton; né Lenin o Trotzsky. Esso fu, invece, Vladimir Vladimirovic Majakovskij, classe 1893 da...: il quale amava, sì, la vita ma si diede morte ‐ a soli trentasette anni, nel 1930 ‐ per ribellione contro di essa...non riusciva, infatti, a viverla sino in fondo, (e) così come avrebbe desiderato! Che cosa c'é al mondo, or mi domando, di più rivoluzionario che non sia il ribellarsi alla vita? Esiste un gesto similmente ribelle a questo? Donare un fiore ad una donna è un gesto, il solo gesto che può eguagliare quello compiuto da Majakovskij nel corso della sua vita. L'artista russo fu il massimo esponente, in vita (e post‐mortem, evidentemente!) del cosiddetto movimento cubofuturista russo (così denominato per l'adesione a talune prospettive della pittura cubista). L'artista e letterato russo fu, senza ombra di dubbio, una "coscienza" inquieta. Del resto, tutta la storia europea del primo novecento è segnata da inquietudini d'ogni sorta e da sconvolgimenti culturali, politici e sociali di vastissima portata; è intrisa di inquietudine e bagnata di malcontento, fervore e...sangue! A tal proposito, di grande interesse critico nonchè valore storico é ciò che scrive Benedetto Croce nel brano "Panorama culturale del primo novecento" (da: "Storia d'Italia dal 1871 al 1915", del 1928), di cui riporto alcuni tratti: "La coscienza morale d'Europa era ammalata da quando, caduta prima l'antica fede religiosa, caduta più tardi quella razionalistica e illuministica, non caduta ma combattuta e contrastata l'ultima e più matura religione, quella storica e liberale, il bismarckismo e l'industrialismo e le loro ripercussioni e antitesi interne, incapaci di comporsi in nuova e rasserenante religione, avevano foggiato un torbido stato d'animo, tra cupidigia di godimento, spirito di avventure e conquiste, frenetica smania di potenza, irrequietezza e insieme disapprovazione e indifferenza, com'è proprio di chi vive fuori centro, fuori di quel centro che è per l'uomo la coscienza etica e religiosa."; e ancora: "L'atteggiamento morale e politico della giovane generazione rispondeva all'irrazionalismo delle teorie, il quale, a sua volta, come si è notato, era stimolato dallo spirito che prevaleva in Europa, rapace spirto di conquista e di avventura, violento e cinico. L'ideale socialistico, che era stato l'amore di vent'anni innanzi, non parlava più ai giovani, né a quelli stessi ch'erano stati allora giovani: effetto in parte della critica che aveva corroso il marxismo e la sua apocalittica, in parte del graduale dissolvimento del socialismo nel liberalismo, e in parte delle riforme onde quasi intero il suo "programma minimo" si venne attuando. L'immaginazione e la bramosia della nuova generazione, e dei delusi di quella di poco antecedente, si rivolgevano, come già prima in Inghilterrra, Germania e Francia, all'"imperialismo" o "nazionalismo", di cui padre spirituale fu in Italia il D'Annunzio, che l'avea preparato sin da giovane con tutta la sua psicologia, culminante nel sogno della sanguinaria e lussuriosa rinascenza borgiana, ma più determinatamente dopo il 1892, letto che ebbe qualcosa del Nietzsche, in romanzi, drammi, laudi.".
Erano quelli gli anni delle imprese coloniali (in Italia la fallimentare e catastrofica impresa di Adua), del crescente nazionalismo sfrenato e delle manie di grandezza, appunto (pangermanesimo, panslavismo, revanscismo, etc.), che preluderanno, poi, all'attentato di Sarajevo e al conseguente scoppio del primo conflitto mondiale: inframezzato, se così si può dire, dalla rivoluzione di ottobre in Russia. Il tutto, poi, confluirà, infaustamente, come un vortice oscuro senza fine, o un incontrollato effetto domino, nei regimi dittatoriali che insanguineranno l'Europa (franchismo, nazismo e fascismo). Erano gli anni, quelli, delle elitès soreliane che inneggiano alla violenza, dell'azione, in Francia ‐ e non solo ‐ dell'organizzazione Action Francaise di Maurras e Barrès; erano gli anni, quelli, della nascita delle avanguardie culturali, letterarie e artistiche. Si affermano le correnti pittoriche che danno una interpretazione nuova del reale e dell'oggettivabile (oggettivo), le quali risentono tutte, in maniera diversa, della caduta dei valori filosofico‐morali dell'epoca. Odillon Redon, ad esempio, con "L'occhio", 1882, è il più qualificato interprete della crisi di sfiducia nella oggettività del reale ipotizzando una verità "autre" che si materializza nelle visioni figurative del simbolismo. Seurat, invece, da origine al divisionismo, insieme agli italiani Pelizza da Volpedo e Giovanni Segantini: in questo caso la realtà è individuabile attraverso la mobilità della luce provocata dallo sprigionarsi dei colori in una serie di parvenze e simboli. Sempre in Francia, d'altro canto, André Derain e Henri‐Emile Matisse danno vita al gruppo dei "fauves" espressionisti i quali, attraverso la irrazionalità del colore, sprigionano le loro emozioni e la loro interiorità. A quello francese, seppur sempre in funzione anti‐impressionistica, si contrappone l'espressionismo tedesco, il quale ruota intorno al gruppo Die Brucke ed alla figura di Ernst Ludwig Kirchner; questi, dopo aver esordito nel divisionismo matura uno stile (prendendo anche qualcosa dal cubismo) che accentua sempre più le dissonanze cromatiche e da spazio alla cosiddetta "deformazione delle forme" (La strada o Cinque cocottes, 1913): il tutto, evidentemente, in aperta critica verso la società del tempo. La terza branchia dell'espressionismo europeo, quella austriaca (Schiele, Kubin, Kokoschka), ruota anch'essa nell'orbita tedesca ma accentua notevolmente l'elemento introspettivo. Influenze dell'espressionismo si avranno tanto nel Blaue Reiter e nella nuova oggettività, in Germania (Grosz, Dix su tutti), quanto in Francia (Chagall, de Vlaminck, Soutine, Rouault) con la scuola di Parigi: i primi ne accentuano l'elemento mistico‐simbolico, i secondi riprendono esplicitamente la polemica sociale e di denuncia verso le storture dell'uomo, gli ultimi fondono il fauvismo e il Die Brucke. Pablo Picasso (Le damigelle d'Avignone, 1907) e Georges Bracque (La tavola del musicista, 1913) danno vita a Parigi al cubismo (dapprima analitico e poi sintetico), un modo del tutto nuovo di vedere il reale: il pensiero, infatti, scompone dapprima i volumi e lo spazio e poi ne da una visione simultanea; ovvero la scomposizione riduce lo spazio a solidi geometrici (da cui il nome dato al movimento dal critico Vauxcelles nel 1908). Uno dei teorici maggiori del cubismo è il francese Guillaume Apollinaire (I pittori cubisti), tra l'altro grandissimo poeta (.....) e