Aspettando Morfeo ad occhi chiusi e cuore aperto
Si è fatto davvero tardi stasera e nel letto un ultimo pensiero a quell’abbraccio, prima di vederti di nuovo andar via, mi accompagna da Morfeo. Busso alla sua porta ma non avendo risposta e non potendo tornare indietro, mi siedo pensieroso su uno scalino e la mente comincia a vagare ignorando la stanchezza accumulata; è giunto ormai il momento di affrontare e ricomporre, seduto al tavolo delle trattative con il mio passato, i pezzi di un puzzle che una volta completato porrà fine ad un incubo che mi perseguita da tempo. Portata al massimo la concentrazione, mi ritrovo a camminare nel buio tra le pagine di un libro ancora aperto, convinto però questa volta a chiuderlo per sempre o quanto meno a passarci sopra… a tornare finalmente a casa o nel posto che più sento appartenermi. Le favole non esistono se non nel cuore di chi le vive; io la mia l’ho scritta e questo è uno dei suoi capitoli: c’era una volta. Sperando non ci sia ancora… un dolce Pollicino perso nel fitto bosco di ricordi, immagini, canzoni. Disperato lasciava cadere sulla sua strada tante piccole briciole che alzavano talmente poca polvere da non essere viste da chi gli stava accanto. Scendeva una cascata imponente sulle rocce nel frattempo e nessuno, pur volendo, avrebbe potuto notare il suo faccino triste... Arrivato in un vicolo cieco, davanti ad un burrone che precedeva un enorme montagna, dentro le sue scarpe rotte sentì un formicolio... aveva l’estremo bisogno di qualcosa... senza lasciargli il tempo di capire cosa volesse davvero fare, la sua testa fu assalita dalle vertigini, malessere derivante dalla nostra incapacità di spiccare il volo… ma non voleva buttarsi nel vuoto anche se questo gli fosse servito a spiegargli le ali, così non andò oltre. Sentì lungo la schiena un brivido, aria di cambiamento sulla pelle di chi non getta la spugna, ma la stringe forte... non cede, ma sa in qualsiasi momento sa di poterlo fare... e decise di guardare in faccia quel monte, puntando in alto e urlare a gran voce un nome... il Suo nome, sperando che qualcuno lo stesse cercando o almeno udendone l’eco di ritrovare quantomeno se stesso nella solitudine … ma niente... anche la sua voce non pareva appartenergli… Allora cominciò a saltellare da un angolo all’altro del cubo di Rubik in cui era rinchiuso, ma qualsiasi faccia esso mostrasse, qualsiasi combinazione riuscisse a tirar fuori non era mai quella giusta... giusta per gli altri,per la società... per vivere sereno… per tornare a stringere il suo corpo, abbracciare il suo io… Vide un fiumiciattolo e provò a tuffarsi sperando di non venire trascinato dalla corrente… ma non trovò nessuna risposta tra le dolci acque... quindi uscì contrariato e tutto fradicio. Prese tanto freddo da sentirne ancora gli aghi sulla pelle al solo pensiero... Quando smise di cercare,finite le briciole e il verde attorno, cominciò a trovare le risposte... la soluzione è sempre proprio sotto il tuo naso... e mentre sconsolato andava dove lo portavano i piedi ormai scalzi sfiorando ostacoli e sabbie mobili, vide una pozzanghera. Aveva piovuto… avrebbe potuto non smettere mai... si fermò. Una rana sguazzava allegramente e senza farlo apposta gli sporcò il viso con del terriccio. Aveva la barba, lo sguardo spento e 2 grosse borse sotto gli occhi, quasi essi si preparassero a reggere altri pesi oltre quelli che regala un mondo in cui non trovava più posto. Si lavò la faccia e con una mano si accarezzò le gote, poi il mento… il collo... e notò che sulla punta del naso era ancora sporco… un accenno di sorriso comparve sul duo delicato faccino… era di nuovo in sé… si accorse che non c’era altro da trovare... basta un piccolo gesto, anche involontario a volte, per cambiare la vita ad una persona. Questa storia non ha fine né morale... perché la sto ancora vivendo… Un sottile filo di Arianna mi riportava alla realtà e con esso scivolavo dolcemente nel luogo dove niente è negato o è amorale... dove fulmini e tempeste non sono che effimeri lumini di fronte alle passioni, reale espressione della voglia di vivere… Il bosco per me era tornato ad essere città, la pozzanghera vetrina di nuova speranza tutto ora sembra sorridere in modo beffardo, tanto che non ho più necessità di indossare quelle scarpe, cammino scalzo se non nudo a volte... non ho più bisogno di alcuna maschera. E mentre la barba veniva rasata e le maniche rimboccate di assi... qualcos’altro è cambiato... mi accorgo di esser circondato da persone che mi adorano… Per quanto il sole batta senza sosta sul fango, nei giorni caldi che seguono la tempesta, esso non si asciuga, anzi tende presuntuoso a trattenere quell’acqua inconsistente e superficiale che gli ha dato vita... i giorni passeranno e il sole rimarrà sole, il fango non altro che melma, sola, indifesa, calpestata e denigrata... perché se neanche la più bella tra le donne riesce a mostrare tutto il suo splendore se non illuminata e scaldata da quei raggi, immagina quanto risalto possa avere chi già di per se nasconde quel che vale dietro le apparenze... le sue incertezze… ma ora mi è chiaro… non voglio essere fango… ma girasole… e in parte luminosa stella se a qualcuno serve conforto e sostegno… ci sei… ci siete e questo mi basta per essere felice. Si è fatto così tardi stasera e su uno scalino felice aspetto il domani e Morfeo che ancora non mi onora della sua presenza… ma una cosa l’ho imparata in questa strana dormiveglia: voglio continuare a vivere tenendo gli occhi chiusi e il cuore aperto… non desidero altro.