Attenzioni

Non sapevo ancora né leggere né scrivere.  Quando cercavo di attirare la sua attenzione, non voleva smetterla di compilare sequenze infinite di fogli. Sapevo bene che, quando aveva la penna in mano, il mio compito era quello di fare silenzio. Certo, per me non era facile tenere a freno la lingua, cercavo di occupare l'attesa immergendomi nei romanzi dell'imponente libreria che occupava l'entrata del salotto e lo facevo sperando, con tutta me stessa, di trovare qualche immagine ogni volta che prendevo un libro tra le mani. Grandissima ingiustizia, pensavo, fosse il fatto che gli adulti si potessero accontentare delle lettere.  Sapevo benissimo che le lettere creano parole e mi avevano spiegato molto bene che le parole stesse possono creare delle immagini nella nostra testa, ma tutto questo rimaneva un colossale schiaffo nella curiosità di noi bambini che dovevamo ancora imparare a decifrare l'inchiostro nero, ordinato e rinchiuso nelle rilegature più attraenti delle librerie. Un giorno, quest'offesa mi fece arrabbiare oltre ogni sopportazione  e decisi di non pensarci, cercando piuttosto di escogitare un piano per attirare l'attenzione del nonno senza farlo arrabbiare. Era un piano, a dir poco, impossibile che mi portò molto presto alla rassegnazione. Ma questa lasciò il posto ad un'altra idea che mi sembrò molto più interessante.
Presi una sedia, la coprii di due, tre, quattro cuscini, quanti bastavano per arrivare all'altezza della scrivania con i gomiti, presi dei fogli dal blocco dedicato a me, una penna di quelle che mi era permesso usare ed imitai gli adulti in quello che fanno quando vogliono scrivere: riempii decine di fogli bianchi con onde nere sottostanti ordinatamente una all'altra. Non smisi fino a quando non fu lui il primo a farlo. Dopo aver appoggiato la penna da lavoro al suo posto, mi guardò negli occhi ed io, come poche altre volte, riuscii a sostenere il suo sguardo, orgogliosa di aver seguito le regole, di non aver proferito parola per tutto il tempo pur restando accanto a lui. Mi sorrise con quel sorriso che riservava solo alle persone a cui voleva bene e riusciva ogni volta a farmi arrossire quanto il più maturo pomodoro del giardino. Io, con la mia solita timidezza, abbassai il viso imbarazzato, presi tutti i fogli scarabocchiati e glieli porsi eccitata chiedendogli, per favore, di leggermi quello che avevo scritto, dato che non ne ero capace. Lui li prese facendo una sonora risata, non una di quelle con cui mi prendeva in giro, ma di quelle con cui voleva dire di essere fiero di me. Riprese i suoi occhiali da vista e cominciò a fingere di leggere trasformando improbabili segni in una storia pazzesca in cui un principe coraggioso riuscì a salvare la sua amata principessa da un drago crudele che sputava fuoco ovunque. Sbalordita spalancai occhi ed orecchie ascoltando il racconto e pensavo ''cavolo, come sono brava a scrivere storie''.