Bahia e calzini
Le gambe si muovevano lentamente, ad ogni passo una pausa e poi una ripresa. Era un continuo andare e poi fermarsi. Le mani ondeggiavano in concomitanza alle gambe, il viso si voltava in ogni direzione, come alla ricerca di qualcosa. Si guardava di continuo i piedi, poi osservava come a comando i passanti, che lo sorpassavano nel suo incedere, forse troppo lento. Pensava, al motivo per cui i suoi piedi dovessero sopportare i granelli di sabbia infilarsi tra le dita o al calore insopportabile che la spiaggia raggiungeva nell’ora di punta e a quella sensazione che di fuoco ravviva il rosso della loro pelle o ai sassolini che nel camminare si infilavano tra i sandali tormentandoli e ai disgustosi residui che potevano calpestare e spiaccicarsi proprio sotto di loro. Ritenne, che nonostante questo, dovesse tentare di proteggerli in qualche modo, dalle incurie della natura e dalle calamità dell’uomo. Dopotutto, senza di loro non avrebbe potuto passeggiare, muoversi, sentire. Forse, dei calzini sarebbero stati la soluzione ideale. Così, durante il suo viaggio, che lo aveva tenuto fuori per tutta la mattina e l’intero pomeriggio, aveva avuto modo di poter vagare in lungo e in largo per Bahia, attraversare i sentieri in salita e in discesa delle varie contrade, i vicoli delle periferie più remote e osservare di quante cime fosse composta. Aveva passato a setaccio ogni mercato, ambulante e passante lasciandosi addirittura tentare dal riposarsi nelle varie taverne che incontrava o nelle case di appuntamento di cui era facile imbattersi a Bahia, alla ricerca di qualche informazione, utile, per cercare un negozio, che vendesse calzini. Ormai esausto, aveva deciso di accasciarsi sull’uscio di una vecchia casa abbandonata, prese un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e poiché grondava di sudore, se lo mise sulla fronte coprendosi il capo, appoggiandolo al muro dietro di sé. Senza accorgersene, si era fatto prendere dalla stanchezza e si addormentò. Sognò del mare, che bagnava quella terra, profondo come il blu del cielo e spumeggiante come le nuvole, della spiaggia del porto di Bahia e di una donna, di spalle girata, dalla figura esile, dai capelli neri che ondeggiavano al movimento del vento sulle onde del mare. Si svegliò di colpo e come convinto, che la sua ricerca lo aveva portato nel sonno, verso la destinazione giusta, si diresse al luogo sognato. Attraversò le viuzze tortuose del porto, lo raggiunse e si allontanò, ormai al calar del sole, verso la spiaggia, lasciandosi alle spalle la banchina e le sette porte antiche, che davano accesso alla città. Si sedette in attesa di quella donna, aspettò che anche l’ultimo raggio di sole, trovasse pace dietro l’orizzonte e mentre la notte si colorava di lucciole respirò il profumò del mare si guardò i piedi luridi e sporchi, gonfi per lo sforzo della giornata, rossi dalla vergogna e pieni di graffi causati da quei sentieri stretti e tortuosi che aveva calpestato e se li accarezzò. Poi disse, tra se e i suoi piedi, che forse Santa Barbara gli avrebbe indicato la via. Decise di stendersi sulla spiaggia e con la brezza che gli accarezzava i piedi, dando loro un po’ di sollievo, si riaddormentò. Sognò, di nuovo, la donna dai capelli corvini di spalle girata accarezzare il pelo dell’acqua, raccogliere una stella e prendere una manciata di sabbia dalla spiaggia. Poi, una sensazione di inspiegabile freschezza, avvertita ai piedi, lo fece rinsavire. Quando si sollevò dal suo giaciglio, si ritrovò accanto un paio di calzini. I più preziosi, pensò, perché erano stati fatti col mare di Bahia, cuciti con la stella più lucente del firmamento e adornati dei granelli d’oro della spiaggia di quella terra. Forse Santa Barbara ci aveva messo lo zampino.
Ersilia Anna Petillo.