Beatrice Carolina

Racconto estratto dal nostro e‐book "Contesse sul pisello ‐ Le gesta erotiche e pornografiche di donne dall’indomita sessualità", disponibile su Amazon e nelle migliori librerie on‐line.

Adulti, contenuto erotico esplicito/pornografico.

Un’altra mia antenata che ebbe una storia davvero singolare fu Beatrice Carolina, soprannominata “Fontanatrice”.
Questo curioso appellativo le fu attribuito perché Beatrice Carolina era una di quelle donne che manifesta il proprio orgasmo squirtando, ossia emettendo un potente ed abbondante getto di liquido sessuale.
In passato, prima che la scienza medica sancisse definitivamente che questo fenomeno è del tutto normale, sebbene non molto diffuso, nelle comunità rurali si arrivò perfino a credere che si trattasse di un segno demoniaco, tanto che moltissime donne “squirtatrici” furono additate, processate e uccise come streghe, solamente per questo motivo.
Ebbene, Beatrice Carolina sposò, ancora vergine e contro il consiglio del proprio padre, un certo Oldofredo di Chantilly, uomo arrogante, rude e molto ignorante.
Nel medioevo era usanza che il primo rapporto sessuale tra gli sposi venisse consumato durante il banchetto di nozze.
Mentre gli ospiti gozzovigliavano, lo sposo prendeva di peso la moglie e, tra gli incitamenti degli invitati, la portava nella camera da letto e la possedeva, per poi tornare dai commensali e mostrare il lenzuolo macchiato dal sangue della vergine.
Per Beatrice e il suo consorte andò tutto secondo usanza, fino a quando il rozzo Oldofredo non fece godere la bella e vogliosa Beatrice che, ansiosa di perdere la verginità, si lasciò andare troppo velocemente all’onda del proprio piacere e raggiunse l’orgasmo prima che il marito la penetrasse.
Investito dalla potente squirtata della ragazza, Oldofredo, che non era a conoscenza di questa caratteristica femminile, se non tramite dicerie e superstizioni popolari, ne fu spaventato e inorridito.
Fuggì dalla camera da letto, percorse terrorizzato il corridoio e arrivò alla balaustra che dominava il salone delle feste.
Vi si affacciò trasecolato e vomitò in testa agli ospiti, urlando “Il demonio! Ho sposato il demonio!”
La scena lasciò tutti atterriti, tranne il padre di Beatrice che, mantenendo la calma più assoluta, raggiunse Oldofredo e, dopo averlo faticosamente riportato alla calma, si fece spiegare cosa di sua figlia lo avesse tanto spaventato.
Egli raccontò con dovizia di particolari gli approcci sessuali che ebbe con la sposa e il “terribile”, a suo dire, effetto che ebbero.
Il padre di Beatrice scoppiò in una sonora risata, poi tentò di convincere Oldofredo che la “squirtata” era il segno lampante della sua bravura di maschio a far godere intensamente una donna, ma non ci riuscì.
L’ignoranza e l’ottusità di Oldofredo furono inattaccabili da qualsiasi argomentazione, tanto che, continuando ad accusare Beatrice di essere una strega posseduta dal demonio, si rifiutò di avere altri contatti con lei e pretese che venisse processata dall’Inquisizione.
Il padre della ragazza, consapevole che tali processi erano solamente delle farse che però, nella quasi totalità dei casi, sfociavano nella condanna, e conseguente morte sul rogo, dell’imputata, esercitò tutta la sua influenza di potente e rispettato nobiluomo affinché Beatrice fosse difesa da eminenti dottori in legge e medici di fama che furono chiamati, con grande dispendio economico, da Venezia, Padova, Pisa, Siena e Lucca.
Il giorno del processo, il salone dei Magistrati era gremito di gente. Oltre al numerosissimo pubblico, accalcato su tre lati, al centro dell’enorme spazio era stato posto il tavolo dove Beatrice sarebbe stata fatta sdraiare per essere esaminata.
Su due lati del tavolo si disposero i cinque medici e i tre avvocati convocati dal Conte padre, mentre, sul quarto lato del salone, in corrispondenza dei piedi della ragazza, c’era lo scranno della Corte dell’Inquisizione, occupato, al centro, dall’Inquisitore che era affiancato da numerosi prelati e altri notabili.
Oldofredo e il suo avvocato furono relegati in un angolo abbastanza in disparte.
Espletate le formalità di rito, venne fatta entrare Beatrice, coperta solamente da una candida tunica.
Aiutata da due ancelle, fu invitata a sdraiarsi sul tavolo.
Alle serve fu ordinato di sollevarle la veste fino all’ombelico, affinché si fosse potuta esaminare la sua femminilità.
Appena essa apparve agli occhi degli astanti, sguardi pieni di lussuria accesero i volti e sonori commenti si levarono nel salone.
La bellezza di Beatrice e la perfezione del suo sesso lasciarono tutti sconvolti, e non furono pochi che rivolsero battute beffarde all’indirizzo di Oldofredo, incapace di apprezzare il “ben di Dio” che la sua sposa gli offriva.
Con fatica e minacce di far sgombrare l’aula, il presidente del consesso riuscì a ristabilire la calma e il silenzio.
Quindi, fu data la parola all’avvocato dello sposo che formulò le proprie accuse e rinnovò le motivazioni che avevano spinto Oldofredo a richiedere il processo.
Fu quindi la volta della difesa. Gli avvocati di Beatrice, con la prosopopea tipica dei Principi del Foro, ribatterono una ad una le accuse della controparte, arrivando ad ipotizzare che tutta la questione fosse stata sollevata da Oldofredo per celare la sua impotenza sessuale, e che il matrimonio fosse stato da lui voluto solo per mettere le mani sulla favolosa dote che il padre di Beatrice le aveva messo a disposizione, dote che comprendeva, oltre ad una cospicua rendita annuale in danaro sonante, una magnifica magione, migliaia di acri di terra fertile con relativo contado, centinaia di braccianti e mandrie di bestiame.
Alla voce degli uomini di legge, seguì quella degli uomini di medicina che confermarono, anche citando episodi molto noti e ben documentati, che l’“ejaculatio femminina” era un fenomeno non solo del tutto naturale, ma, secondo quanto era dato sapere all’epoca, indice di grande virtù amatoria e capacità riproduttiva, privilegio delle donne più desiderabili.
Di fronte a tali ferme e molto dotte disquisizioni, la giuria diede i primi cenni di essere addivenuta piuttosto dubbiosa sulle accuse di Oldofredo, ma volle ugualmente avere una prova “tangibile e certa”.
Decisero pertanto che Oldofredo e Beatrice avrebbero dovuto ripetere, pubblicamente, gli atti intimi che avevano portato alla situazione in discussione.
Gli avvocati e i medici della sposa non si opposero, anzi, manifestarono vivo compiacimento e totale appoggio alla decisione della giuria.
L’avvocato di Oldofredo tentò di opporsi, adducendo motivi di pudore e convenienza, ma Oldofredo, sprezzante, lo zittì e affermò di essere pronto a sottoporsi a qualsiasi prova, così che tutti potessero vedere “il demonio che si cela nel ventre” di Beatrice.
Fu aiutato a spogliarsi e accompagnato accanto alla sua dama che giaceva ancora sdraiata, con le gambe divaricate e la rosea vulva in primo piano, davanti alla giuria che non riusciva a distoglierne gli sguardi colmi di libidine e malcelato desiderio.
Mentre Oldofredo attendeva l’ordine di accoppiarsi con lei, fu Beatrice a sollecitarlo: “Orsù, lo meo amato sposo. Accostatevi meco et compite lo vostro dovere di marito et signore.”
A queste parole, in sala si alzò un brusio di ammirazione per la devozione e la dolcezza che Beatrice aveva usato nei confronti del consorte.
Oldofredo si voltò di scatto verso di lei, quasi a volerla sfidare, ma il suo sguardo dimostrava molta insicurezza e disorientamento.
Istintivamente, portò una mano al suo membro e prese a smanettarlo timidamente, sperando che ciò lo aiutasse a raggiungere l’erezione, mentre si spostava ai piedi di Beatrice e si portava tra le sue gambe.
Si fece nuovamente silenzio e tutti concentrarono gli sguardi sul pisello di Oldofredo che non dava cenno di volersi ergere.
“Venite, lo meo signore. Sono ne la trepidante attesa de la vostra turgida et vogliosa verga.” lo incalzò suadente Beatrice, protendendo le braccia nella sua direzione.
Oldofredo era, nel frattempo, diventato paonazzo e, invece di ammirare le grazie della moglie, tanto smaniosa e invitante, si guardava in giro, chissà se per trovare qualcuno che lo togliesse dall’impotente imbarazzo o una via di fuga da cui scappare.
Dopo interminabili minuti di immobilità e ripetute sollecitazioni da parte dell’Inquisitore a compiere il suo dovere coniugale, Oldofredo, sopraffatto dalla vergogna, cadde svenuto.
Ancora esanime, fu trascinato fuori dalla sala da quattro suoi sodali, in mezzo alla derisione e agli sberleffi di tutto il pubblico.
In seguito a tale accadimento, i giurati presero a consultarsi concitatamente.
Tra i loro bisbigli, gli avvocati di Beatrice compresero che per una parte di essi il processo doveva ritenersi concluso e che nessuna accusa poteva essere mossa a Beatrice, bellissima e devotissima sposa, pienamente disponibile a soddisfare le voglie del marito. Ma, per alcuni altri giurati, la prova che l’“ejaculatio femminina” non fosse opera del demonio non c’era stata.
L’Inquisitore e presidente del consesso pose termine alla discussione e annunciò a tutti gli astanti i dubbi che ancora attanagliavano una parte della giuria.
Al che, i medici di Beatrice si avvicinarono allo scranno e il più dotto e anziano di essi propose di sottoporre Beatrice ad un’ultima e definitiva prova.
Se l’avesse superata, non solo tutte le accuse nei suoi confronti sarebbero cadute, ma avrebbe ottenuto l’annullamento del matrimonio per “impotentia coeundi” del marito e, al padre, sarebbe spettato un cospicuo risarcimento per i danni morali e materiali che Oldofredo aveva causato, sollevando e mettendo al pubblico ludibrio tutta la questione.
I giurati si consultarono ancora tra loro e, molto velocemente, dichiararono il loro assenso alla proposta dell’illustre medico.
Per dare alla prova tutti i crismi di credibilità e conformità alla buona fede, fu chiamata la giovanissima figlia di una delle serve di Beatrice, fanciulla timorata di Dio, di comprovata verginità e fede cristiana consolidata.
Fu sottoposta ad un giuramento e fatta accostare a Beatrice.
Uno dei medici le ordinò di porre la mano sulla passera dell’accusata.
Lei eseguì, senza nascondere qualche esitazione dovuta al pudore e all’imbarazzo di toccare la sua padrona nelle parti intime.
Con la massima serenità, Beatrice le sorrise dolcemente, facendo brillare i suoi occhi rassicuranti.
Il medico invitò la ragazza ad iniziare i trastulli. Lei esitò ancora e, con lo sguardo, cercò nuovamente l’assenso di Beatrice, che le fece un cenno con il capo.
Quindi, iniziò a masturbarla, con ritmo lento ma sapiente.
A Beatrice venne naturale chiudere gli occhi e godersi il piacere che iniziava ad attraversarle tutte le membra.
Nella sala regnava il silenzio più totale e gli sguardi di tutti erano puntati tra le cosce della mia antenata che, man mano che il godimento saliva, aumentava il ritmo del respiro ed emetteva sospiri sempre più percettibili.
Nel frattempo, Beatrice rifletteva sulle notevoli capacità masturbatorie che la ragazza stava dimostrando, e concluse che, nonostante l’aspetto puro e angelico, ne sapeva parecchio in fatto di come procurare il piacere sessuale.
In breve tempo, tali pensieri sparirono dalla sua mente, per lasciare spazio alle ondate di voluttà che la stavano sovrastando.
La sua ancella, consapevole di averla quasi portata all’orgasmo, le diede il colpo di grazia. Non si limitò più a trastullarle il clitoride, ma inserì nella sua vagina due dita, con la dovuta delicatezza per non danneggiarne l’imene ancora intatto.
Le furono sufficienti poche decine di secondi, dopo i quali Beatrice emise un profondo “Aaahhh…”.
Un istante dopo, la ragazza tolse le dita e lasciò che la potente e abbondantissima squirtata trovasse sfogo. Il copioso e violento getto di liquido cristallino finì addirittura contro il bancone della giuria e diversi componenti, compreso l’Inquisitore, ne ricevettero alcuni schizzi.
Tutti presero il proprio fazzoletto, con esso si ripulirono e lo ripiegarono accuratamente, non senza averlo preventivamente annusato.
L’ancella si premurò di soddisfare completamente Beatrice, continuando a solleticarle il clitoride, fino a quando non fu Beatrice stessa ad invitarla a smettere, togliendole delicatamente la mano.
Il vociare e gli applausi che si scatenarono tra il pubblico riportarono al presente la mente di Beatrice, reduce da uno degli orgasmi più profondi e intensi che avesse mai provato.
Uno dei medici, previo consenso dell’Inquisitore e richiamando l’attenzione di tutti gli astanti che nessuna manifestazione demoniaca si era appalesata, invitò le ancelle ad aiutarla ad alzarsi dal tavolo e a rivestirla.
Ai componenti della giuria inquisitoria furono sufficienti pochi e veloci sguardi di assenso per decretare valida e pienamente compiuta la prova, e confermare le richieste risarcitorie addotte dagli avvocati del padre di Beatrice.
Fu altresì decretata la nullità del suo matrimonio con Oldofredo, ed egli fu trattenuto agli arresti, fino al momento che suoi uomini fidati versarono al Conte padre il saldo dell’ingente risarcimento quantificato dal tribunale.
Dai documenti che ho avuto modo di consultare, non si hanno altre notizie di Beatrice, successive a questi avvenimenti. Ho trovato solamente che, qualche anno dopo, sposò un giovane Visconte, dedito alla famiglia, alle arti e alla filantropia, con il quale ebbe cinque figli, tre maschi e due femmine.
Nella mia mente maliziosa però, mi immaginai che, prima di sposarsi con il Visconte, Beatrice e la sua fedele ancella abbiano trascorso numerosi e piacevoli momenti, trastullandosi vicendevolmente e dandosi intensi orgasmi che provocavano loro fiumi di squirtate.