Beni materiali

Il rintocco non lasciava dubbi: mezz'ora! Niente da fare, solo mezz'ora ed era già in astinenza. L'avevano avvisata:< Sarà dura, non te ne rendi conto ma sei assuefatta, completamente dipendente> Non aveva dato peso a quegli ammonimenti, lei era una tosta, si era fatta da sola e se aveva deciso di disintossicarsi lo avrebbe fatto senza se e senza ma. Invece 30 miserabili minuti avevano fatto crollare tutte le sue convinzioni e le sue sicurezze. Il campanile, nascosto dietro la collina, aveva emesso la prima sentenza: lei era debole. Decise di uscire da quella stanza così spartana, fredda e poco accogliente. Appoggiato sul comodino in fianco al letto faceva bella mostra una copia dei Promessi Sposi; le avevano chiesto di provare a leggere e lei aveva grugnito in segno di diniego, quindi si avviò fuori dalla camera lungo il corridoio deserto fino ad arrivare alla stretta scala che conduceva giù, sotto il porticato. L'odore di legno invecchiato misto a quello della terra arata le dava fastidio e con una mano si portò un fazzoletto al naso per ripararsi. La giornata aveva preso la piega prevista; prima di rinchiudersi in quella specie di convento aveva dato una sbirciatina alle previsioni del tempo: temperature in forte ribasso con possibili piovaschi sparsi, il freddo era pungente e le nuvole nere all'orizzonte avrebbero portato l'acqua annunciata.Decise comunque di prendere un ombrello e si diresse verso la staccionata piantata sul confine della fattoria adiacente alla strada che portava al paese, dietro la collina. Appena arrivata non aveva fatto caso a quanto fosse grande quel posto, ma ora che stava percorrendo i circa 100 metri che la separavano dalla strada si ritrovò con il fiatone. Di solito non camminava mai, ogni sua mossa era programmata per raggiungere degli scopi ben precisi e ora che si trovava nel bel mezzo del nulla faticava a capire cosa spingesse una persona a camminare senza scopo. Raggiunse il punto che si era prefissata, la staccionata, il limite tra la prigionia e la libertà; il suo istruttore era stato chiaro, non c'erano regole particolari da rispettare durante la prima settimana di permanenza, oltre oviamente ai divieti istituiti in quellla sede, non si poteva però superare la staccionata: pena l'espulsione immediata. Dopo circa un'ora di isolamento stava pensando di superare quella barriera, sarebbe tornata al suo mondo, alle sue abitudini, al suo lavoro e... alla solitudine. Mentre formulava quei pensieri la parte più intima del suo cuore frenò il suo impulso di fuga, era lì dopo averci pensato parecchio convinta di dover dare una svolta alla sua vita da eremita, doveva farcela.
La sua era una triste storia: orfana, figlia unica e senza relazioni stabili, aveva dedicato tutto il suo tempo al lavoro, ai beni materiali e alle apparenze. Viveva per apparire, voleva che gli altri, chiunque, vedessero quanto fosse brava nel suo lavoro, quanto fosse bella ed affermata, voleva dare un segnale di potere chiaro e forte. Nel tempo era riuscita ad affermarsi, aveva rilevato la ditta di grafica pubblicitaria presso cui lavorava da anni, il suo titolare si era ritirato senza aver piazzato nessun erede alla guida dell'azienda e lei, che negli anni si era arrampicata fino ai livelli più alti, era riuscita, grazie anche al suo fascino, a farsi cedere la quota di maggioranza a prezzo stracciato. In 2 anni raddoppiò il fatturato dell'azienda assumendo 2 nuovi addetti. La sua era una cavalcata senza sosta, lavorava sempre e quando alla sera rientrava a casa, sola, si attaccava al computer o al cellulare o a qualunque mezzo di comunicazione elettronico. Nel volgere di poco tempo si ridusse all'isolamento, lavorava 13‐14 ore al giorno, aveva tagliato tutti i ponti con le sue vecchie amicizie e non aveva tempo per le relazioni; la sua solitudine le stava bene. Ma come qualsiasi essere umano sano di mente, alla lunga si rese conto di soffrire di strani disturbi: inappetenza, difficoltà respiratorie, insonnia e tutta una serie di sintomi che piano piano la stavano logorando. Decise quindi di rivolgersi ad un medico con la speranza di ottenere qualche aiuto farmacologico che le permettesse di superare quel momento. L'anziano dottore si rifiutò di prescriverle qualsiasi medicinale prima che si sottoponesse a dei controlli specifici ma lei rispose che non aveva voglia di farsi sforacchiare la pelle e lui la rassicurò dicendo che l'avrebbe indirizzata da uno specialista di quei casi. Pur riluttante decise di seguire il consiglio del dottore e si rivolse alla specialista che, dopo averla visitata e sottoposta ad una serie di test, la convinse a seguire un programma specifico che l'avrebbe fatta rinascere; poi avrebbe deciso da sola se proseguire con il programma affidandosi alle cure di un centro specializzato.
Cancellò quei pensieri e si diresse nuovamente verso la sua stanza e sotto i portici incontrò il suo istruttore, una donna sulla trentina che l'avrebbe seguita nel suo percorso.
"Come va?" Chiese la donna.
"Di merda, come vuoi che vada" Rispose lei acidamente.
"Ci facciamo una camminata?"
"Sei impazzita? Io mi sono già rotta i..."
"Sssht, niente parolacce. Seguimi, andiamo sulla collina"
"Ma io non posso superare la staccionata"
"Non puoi superare la staccionata o non vuoi venire sulla collina?"
"Salgo in camera. A che ora si mangia in questo posto?"
"A mezzodì e a fine giornata"
"Quindi?"
"La mensa è in fondo al portico, se non sai capire quando è l'ora dei pasti vai là e aspetta pazientemente"
Salì rabbiosamente nella sua camera; il non poter comunicare con il mondo esterno la stava esasperando, aveva un disperato bisogno di un cellulare o di un computer. Crollò seduta sul letto e si strinse la testa tra le mani; aveva deciso, avrebbe preso e se ne sarebbe andata da quel posto, immediatamente. Stava per dar seguito al suo proposito quando udì bussare alla porta e rispose automaticamente:
"Avanti!" Era la sua istruttrice.
"Il pranzo è pronto, ho pensato che all'inizio avresti avuto difficoltà a comprendere i tempi dellla nostra comunità, perciò voglio darti una mano"
"Non ho bisogno del tuo aiuto, mi arrangio da sola. Anzi, ti dico che me ne vado" La reazione della giovane specialista però, la spiazzò.
"Ok, come vuoi, ma la tavola è già apparecchiata e avrei piacere se tu mi facessi compagnia mentre mangio, poi sarai libera di andare dove vuoi"
Psicologia per bambini, pensò lei "Non mi incanti, vacci tu a mangiare, io me ne vado"
"D'accordo, buona fortuna" Altra psicologia del cavolo, non aveva intenzione di abboccare all'amo. Preparò sommariamente i suoi bagagli e scese per farsi consegnare le chiavi della macchina che era parcheggiata sotto gli ulivi. Attraversò velocemente il porticato e quando fu all'altezza della mensa un profumo intenso la paralizzò: il cervello stava cercando di tradurre gli odori percepiti dalle narici.
"Zuppa di verdure fresche, minestrone insomma" Anna, la sua istruttrice, la stava fissando "Ripeto, se vuoi farmi compagnia un po' di minestrone c'è anche per te" Quel profumo aveva stimolato il suo stomaco; in fondo una ciotola di zuppa non l'avrebbe smossa dalla sua decisione, cosi seguì Anna in mensa.
Il tavolo quadrato di legno e le sedie massicce le ricordavano qualcosa della sua infanzia ma non riusciva a collegare quell'immagine a niente. La volta del soffitto in mattoni rossi sorretta da archi di ferro battuto, i muri in pietra calcarea qua e là intonacati, il pavimento in cotto antico e le travi sopra le porte in legno, al centro della stanza una stufa a legna rivestita e le finestre scure adornate da tendaggi decorati, le lampade a muro e le panche vicino alla piccola legnaia e poi tutta una serie di dettagli che rendevano la mensa calda ed accogliente. La cucina attigua da cui arrivavano profumi squisiti e genuini, tutte quelle cose, quelle sensazioni a cui non era più abituata, tutto ciò la stava travolgendo.
"Ti piace il minestrone?" Chiese Anna. Impiegò più del previsto per rispondere a quella semplice domanda.
"Si, penso di si. Da bambina lo mangiavano spesso, mia nonna diceva che faceva bene, forse non mi piaceva ma lo mangiavo"
"Bene, allora prendi il tuo piatto e seguimi, qui ci si serve da soli" Si servirono due abbondanti razioni e si accomodarono a tavola. Lei esitò un attimo, in realtà le piaceva quel profumo ma non sapeva cosa aspettarsi, da anni mangiava cibi precotti o piatti serviti al ristorante, l'alimentazione per lei era solo una questione di sopravvivenza. Mangiarono in silenzio e alla fine Anna chiese:
"Ti è piaciuto Laura?" Si, le era piaciuto, un sacco.
"E' buonissimo, complimenti allo chef"
"Grazie" Rispose Anna sorridendo e poi, notando lo sguardo meravigliato di Laura proseguì "L'ho preparato io, sono contenta che ti sia piaciuto"
"Tu? E come hai fatto?" Laura sembrava non crederle.
"Abbiamo un orto e una serra ricche di ortaggi e frutta, ho raccolto quello che mi gustava, l'ho pulito, preparato e poi cotto sopra la stufa a legna, niente male eh?"
Laura stava pensando ad altro, riaffioravano vecchi ricordi, quando da bambina amava giocare con gli amichetti in campagna, a piedi nudi. Poi era cresciuta rapidamente, la ragazzina era diventata donna per forza, i genitori erano morti in modo tragico, violento e lei aveva rimosso tutto quello che riconduceva a loro, anche le giornate passate in campagna dai nonni. Anna la richiamò al presente.
"Laura, ci sei?" Lei rispose come se Anna avesse partecipato ai suoi ricordi.
"Quante caz.. ops scusa, quante sciocchezze. Mi vien da ridere se penso che questa situazione mielosa è contro tutti i miei principi: io, immersa nella tranquillità a mangiare verdure cotte raccolte dall'orto di casa. Nel mio mondo sono cose ridicole, scempiaggini da romanzo. Il mondo reale non è questo, nella vita bisogna farsi strada con la forza, sempre sulla cresta dell'onda e se voglio un minestrone me lo preparo al microonde o vado in qualche trattoria a farmelo servire" Anna non si scompose, era una professionista ed anche una donna dall'animo sereno e rispose:
"Non ti ho vista ridere" Laura la guardò di sbieco "Hai iniziato il tuo discorso affermando che ti veniva da ridere, ma al posto di ridere ti sei fatta venire la bava alla bocca" Laura bofonchiò sconsolata e stava per rispondere a tono quando iniziò a ridere, una risata spontanea che le saliva dal profondo dell'animo fino a farla piangere "Vaffanculo Anna" Anna la guardò intensamente e scoppiò a ridere, una risata fragorosa, sincera. Le due mangiarono anche il secondo, una frittata di uova fresche accompagnate da patate lesse, continuando a beccarsi e a ridere come bambine.
"Grazie Anna, un ottimo pasto e tante risate, come non mi capitava da anni. Ma questo posto è finto e io devo tornare alla realtà" 
"Ho raggiunto il mio scopo; farti ridere. Il sorriso non era finto e te lo porterai ovunque tu vada, in qualsiasi situazione. Vai per la tua strada Laura, ma sii felice e sorridi alla vita, sempre"
Si congedò da quel posto convinta di aver perso tempo, un buon pasto, due risate, tutte cose che poteva avere come e quando voleva; classificò l'episodio come un piccolo contrattempo nella sua vita organizzata. Rientrò a casa quando ormai era già buio e per prima cosa recuperò i suoi adorati accessori elettronici e li accese tutti. Sul cellulare, di ultima generazione, c'erano diversi messaggi e li aprì avidamente: <Ho chiamato per quella questione con la banca, fatti sentire> <Il cliente di Milano vuole vedere solo te, non gli interessa se ti sei presa qualche giorno di riposo, che gli dico?> <Entra a far parte del nostro club, abbiamo bisogno di persone come te: belle, affermate...> Uscì dall'applicazione un po' delusa senza guardare gli altri messaggi. Sul computer nel frattempo l'indicatore segnalava l'arrivo di numerose cartelle. Cominciò a scorrerle con meno entusiasmo del solito. <Laura dove sei? Dopodomani c'è la cena di presentazione dei...> "Affanculo!" Andò in bagno per farsi un bel idromassaggio ma istintivamente optò per una rapida doccia. Dopo essersi asciugata e cosparsa di prodotti per la pelle si diresse in camera e aprì l'armadio per prendere l'abbigliamento da notte. Stava per indossare un capo di seta quando gli occhi caddero sui pomelli dell'ultimo cassetto; da tanto tempo non lo apriva. Con le mani tremanti tirò con eccessiva cautela quel cassetto dove, ripiegati, due pigiamoni di lana emanavano odore di chiuso e naftalina. La sua mente tornò a quella sera; lei, tredicenne e già signorina, era scappata nella sua cameretta con il suo pupazzo di peluche e aveva indossato il pigiama di lana regalatole dalla nonna per poi ficcarsi sotto le coperte, testa compresa. Le urla provenienti dalla cucina non promettevano nulla di buono: stavano litigando furiosamente come sempre, o più del solito?
Afferrò il pigiama tastandone la consistenza e le sembrò di sentire la mano di sua madre sulla spalla, come quella sera.
"Laura. Laura, piccola mia. L'orco non c'è più, la mamma l'ha eliminato, ma anche lei è una brutta strega e tu non vuoi le streghe in casa, vero? Dormi piccola mia dormi, hai avuto un incubo" Non riuscì a prendere sonno ma restò sotto le coperte fino a che, dopo un tempo indefinito, sentì vicino a lei delle voci e una giovane donna che le chiedeva di alzarsi; sbirciò da sotto le coperte e intravide una ragazza in divisa.
La madre e il padre erano morti, lei si era buttata dal balcone dopo aver infierito sul corpo del marito con un coltello da cucina. Laura, dopo un primo periodo di ricovero, venne affidata ai nonni materni con cui sarebbe andata a vivere in campagna. Quella sera però aveva lasciato un segno indelebile nella sua mente e pian piano si rifugiò nel suo mondo fino ad arrivare ad essere quello che era oggi, una donna tutta presa dalla carriera e dalla voglia di apparire.
Decise di indossare quel pigiama per la notte; oggi, a 44 anni, aveva più o meno la stessa taglia di quando ne aveva 13 ed infatti lo indossò senza problemi, investita da quel calore che fece riaffiorare vecchie emozioni. Aprì un altro cassetto e da un sacchetto di plastica estrasse un pupazzo di peluche, ancora intatto, come tanti anni prima. Si sdraiò sul letto e si coprì con il morbido piumone stringendo a se il pupazzo, poi spense le luci. Si addormentò senza televisione accesa come non capitava da parecchio tempo e dormì serena, senza incubi. Alle 5.15 la sveglia la sorprese in un sonno profondo, quel suono le dava fastidio e si affrettò a spegnerla. Uscì dal letto controvoglia, strano pensò: di solito si alzava prima del suono della sveglia, forse non aveva digerito i cibi mangiati a pranzo, non era più abituata a certe porzioni. Si recò in cucina per prepararsi la colazione, caffè nero e forte e yogutr magro accompagnati da succo d'uva e pane integrale. Mangiò e poi si preparò per la giornata; alle 6.00 in punto era in azienda. A quell'ora era sola e fino alle 8.00 sarebbe stato così, quelle erano le ore che rendevano meglio, nessuno a disturbare il suo lavoro e soprattutto nessuno a cui dover ricordare il proprio mestiere; eppure quella mattina non riusciva ad ingranare, qualcosa la distraeva. Si concentrò su dei grafici elaborati al computer, ma più si sforzava di lavorare e più il suo cervello divagava.
"Merda!" Esclamò furiosa. Decise allora di fare una perlustrazione della ditta, era stata assente per quasi 2 giorni e non voleva trovar sorprese. Ispezionò ogni angolo e ogni scrivania trovando tutto a posto, forse i suoi dipendenti non erano così male come pensava; impossibile, li sorprendeva spesso a ridere e scherzare, comportamento che distrae dal lavoro e causa errori su errori.
Sorridi alla vita, udì nella sua testa.
"Maledizione! Anna" Parlò tra se e se senza accorgersi della presenza di una delle sue dipendenti.
"Signora? Sta bene?" Era Manuela, la sua più preziosa collaboratrice.
"Manuela!?" Non ti ho sentita entrare, cosa fai qui cosi presto?"
"Sono le 7.55 signora, alle 8.00 comincio, come sempre"
Le 8.00. Erano passate 2 ore e non aveva concluso niente.
"Come è andata in mia assenza, tutto bene?"
"Si signora, tutto bene. Se vuole le faccio il riepilogo di ciò che abbiamo fatto" Rispose l'impiegata in modo servile.
"Senti Manuela, quanti anni hai? 37? 38?"
"39 signora"
"Infatti, 39. Potresti essere la sorella minore che non ho e avrei piacere che tu mi chiamassi per nome, io sono Laura, ok?"
"Si signora, certo Laura"
"Bene. Appena arrivano tutti gli altri radunali nella sala riunioni, devo fare un annuncio" Manuela fu sorpresa da quelle parole, ma con un cenno del capo si congedò. Laura tornò nel suo ufficio e sul computer diede uno sguardo alle previsioni meteo; quel fine settimana era prevista una risalita delle temperature e cielo sereno. Poi prese a smaltire un po' di mail arretrate e dopo circa un'ora Manuela le comunicò che tutto il personale era riunito nella sala riunioni e lei rispose che entro 5 minuti sarebbe arrivata. Il suo cervello stava combattendo una guerra intestina, ma in cuor suo sapeva che qualcosa era cambiato, che lei lo volesse o no.
Entrò nella grande stanza e trovò tutti i suoi dipendenti in piedi ad aspettarla.
"Sedetevi ragazzi, non sono mica un giudice" Si guardarono tutti sbigottiti per poi accomodarsi sulle numerose sedie.
"Signori, buongiorno. Questo fine settimana dovrò assentarmi per delle faccende personali, in mia assenza sarà Manuela a prendere il comando, mi fido di lei e altrettanto confido nella vostra collaborazione. Inoltre vi concedo il pomeriggio di venerdì libero e retribuito. E' tutto e ora buon lavoro" Lo sbigottimento era sfociato nell'incredulità, fu così che Manuela si calò subito nel ruolo di vice.
"Su, avete sentito cosa ha detto Laura? Al lavoro"
Fu la settimana più strana degli ultimi anni. Lavorava tanto e riusciva anche a scambiare qualche parola con i suoi dipendenti, in particolare con Manuela che ogni tanto le strappava un sorriso e di sera, quando rientrava a casa, si dedicava alla cucina preparando torte e piatti mai fatti prima. Il giovedì pomeriggio portò una torta alle mele in ufficio e chiamò Manuela.
"Assaggiala, dimmi cosa ne pensi" Manuela prese un pezzo di torta e se lo portò alla bocca, il suo olfatto finissimo la avvertì che qualcosa non andava ma ormai era troppo tardi per non assaggiarla e così ne addentò un pezzo. Non riuscì però a mascherare una smorfia di disgusto che non sfuggì a Laura.
"Non è buona?"
"Fa schifo" Manuela si meravigliò della risposta che aveva dato ma ormai era troppo tardi. Laura non si scompose e per tutta risposta prese un pezzò di torta e la assaggiò.
"Pthu! Hai ragione, fa veramente schifo" Le due donne scoppiarono a ridere "Se vuoi posso venire a casa tua e insegnarti a fare una torta decente" Quelle parole cristallizzarono l'aria dell'ufficio, le due donne si trovarono a fissarsi intensamente e Laura faticò a rispondere, le mancava il fiato.
"Sarò via per qualche giorno, devo risolvere delle faccende. Forse, quando torno, potremmo riparlarne"
"Scusami Laura, non volevo essere inopportuna. Adesso vado che c'è tanto lavoro da fare"
"Manuela!" Laura quasi urlò "Si?" Rispose lei "Mi mancherai questi giorni" "Anche tu Laura e spero possa trovare quello che vai cercando"
Quella mattina, in portineria, le dissero che Anna era nella serra e lei, dopo aver parcheggiato l'auto sotto l'ulivo della prima volta, la raggiunse. Era accovacciata a raccogliere dell'insalata, ma con la coda dell'occhio si accorse del suo arrivo e si alzò in piedi.
"Laura!?" Disse sorpresa.
"Sono tornata" Rispose lei.
"Mi fa piacere rivederti, ti fermi a pranzo?"
"Anna, io sono tornata per curarmi, ho bisogno del vostro aiuto del tuo aiuto"
"Ok, andiamo a mangiare così mi spieghi tutto"
Davanti ad un piatto di pasta al pomodoro fresco le donne cominciarono a chiacchierare come due vecchie comari e Anna si fece raccontare gli ultimi giorni trascorsi da lei. Laura raccontò tutto nei minimi particolari, sorridendo e a volte vergognandosi di alcune cose. Finirono il pranzo e si alzarono per fare due passi, dirigendosi verso la staccionata "Andiamo sulla collina?" Chiese Anna. Stavolta Laura la seguì e raggiunta la cima restò senza parole. Da lì poteva osservare un panorama che dalla strada non si scorgeva, le dolci colline facevano da cornice allo splendido paesello, dove troneggiava il vecchio campanile.
"Ti piace Laura?"
"E' stupendo! Credo che questo mi aiuterà a guarire"
"Ma tu sei già guarita!" Esclamò Anna. Laura restò in silenzio a fissare quel paesaggio incantevole meditando per qualche attimo sugli ultimi avvenimenti, sulle ultime parole scambiate con Anna. poi si girò verso di lei, con calma e le poggiò una mano su una spalla. Le due si abbracciarono e laura cominciò a piangere, mentre Anna le accarezzava dolcemente la testa e dopo aver avvicineto la bocca ad un orecchio le sussurrò in modo amorevole:
"Va da lei, chiamala, dille quello che provi, apri il tuo cuore e vedrai che tutto andrà bene" Laura strinse ancora più forte l'amica, fino a toglierle il respiro per poi staccarsi da lei e ringraziarla di cuore. Adesso stava sorridendo "Grazie Anna, grazie all'infinito, sarò sempre felice di rivederti e ti aspetto a trovarmi su in città" "D'accordo Laura, ma adesso corri da lei o farai tardi" "Volo! Anna?" "Dimmi" "Ci sono ancora in serra quelle splendide mele?" "Passa in cucina, c'è ne sono due cassette, prendine quante ne vuoi" "Grazie, sei un tesoro" "Anche tu Laura"
Recuperò alcune mele e si fiondò in macchina. Non vide la strada e non si accorse del tempo che scorreva tanta era l'euforia, giungendo in ditta al giusto orario. Salì in ufficio trovando tutto deserto, solo una stanza aveva ancora la luce accesa, la sua. Varcò la soglia e trovò lei intenta a sistemare la scrivania e sentendola sollevò lo sguardo sorpresa nel rivederla ora e non riuscì a proferir parola. Laura allora le si avvicinò e le mostrò un cestino contenente delle mele "Se vuoi puoi venire da me e insegnarmi a preparare una torta di mele, non ho impegni stasera" Manuela la fissò incredula e dal profondo della gola uscì un suono di assenso.
Le due donne andarono a casa di Laura a preparare la famosa torta di mele e quella notte scoprirono che l'amore, la serenità e la complicità tra di loro, tra due persone, sono più importanti di qualsiasi bene materiale.