Bestie e belve

Saliva un bel sole, i rumori ambientali di primo mattino non disturbavano ed anzi assieme agli schiamazzi degli animali diventavano una sola suadente canzone. Dheva, ginocchia sul tappeto, disponeva nel cestino la stuoia, i teli e le vivande. Nello stesso istante, dentro la foresta ma non molto distante, una meravigliosa tigre si svegliava, splendida ed onnipotente, sbadigliando beatamente. Una volta sistemato tutto la bambina s'alzò e salutò e s'incamminò per la sua gita con la certezza avrebbe trovato un luogo adatto dove fare i bisogni, il bagno e mangiare distraendosi tranquillamente. Scrollandosi il felino sentiva invece avvicinarsi la fame ed il bisogno d'acqua. Il caldo afoso disturbava il giusto entrambe. Lei comunque osservava ed apprezzava: conosceva. I petali, le foglie, gli alberi infatti l'invitavano in proposito. La fiera d'altro canto vagabondava incurante di tutto, se non dell'odore accattivante. Seguiva la pista, segnava il territorio però. Però cosi facendo convergevano ignare. I suoi piedini erano incerti nella direzione spostando discreti l'erbe, mentre gli artigli dell'altra graffiavano il suolo bramosi. Lei arrivava e nessuno si preoccupava, il felino creava il vuoto all'istante. Infine. Infine attraverso uno stretto acquitrino e dopo aver attraversato un canneto, la bambina sbucò in una fantastica radura verde. Diverse mangrovie stavano lì sui bordi e creavano appropriate ombre, non necessariamente di chioma ed il fiume, dietro di loro, scorreva calmo e placido, apparendo e scomparendo nella boscaglia, con la sua limpida e calda acqua. Dheva poggiò il cestino e srotolò la stuoia ed ammirando stette se non che. Se non che nel mentre la tigre irruppe sulla scena dal folto delle canne. Le sue narici inspiravano profondamente. Le sue zanne fendevano feroci l'aria. I suoi occhi stavano fissi sull'obiettivo. Correndo ad un tratto incominciò a balzare e così in pratica, previo vari atterraggi e nuovi salti, s'avvicinò velocemente al che. Al che dopo all'ultimo enorme volo e quando oramai dei neri capelli, dal riflesso di rame, si stavano confondendo con i bianchi peli d'un poderoso collo naturalmente. Naturalmente i denti si nascosero, le unghie si ritirarono, gli occhi si fecero dolci e le due, rotolando fra i fiori, s'unirono in un amichevole e squisito abbraccio e. E fu un trionfo di svariate coccole e mille e mille carezze al miele e. Ed in seguito fecero il bagno giocando a spruzzarsi l'acqua e. Ed ancora in seguito mangiarono: spezzatino di palma purtroppo affettata e cotta dal fulmine e bocconcini di sedano piatto accidentalmente dall'elefante confezionati e. E dopo pranzo giocarono di nuovo. E giocarono. E giocarono. E giocarono. E. Giocarono fino a sera. P.s. che favola strana. Impossibile ed improbabile direi e quindi praticamente inutile a meno che per nobilitarla. Per nobilitarla, pari a tutte le favole, non le si voglia assegnare una morale perennemente attuale: alle belve non piacciono i bambini, alle bestie sì.