BLACK DRAKO (Primo capitolo)
Il detective David Benson si risvegliò in un luogo che non riconosceva. La testa gli pulsava violentemente e un grosso livido violaceo gli era comparso sulla mano sinistra. Ora ricordava: era quasi giunto alla porta d'ingresso della sua villetta, quando sentì una tremenda botta sulla nuca... e il buio lo avvolse.
Era seduto a terra con le spalle poggiate alla parete. "Dove accidenti mi trovo?" si chiese con voce flebile mentre si massaggiava il collo indolenzito.
La luce era scarsa e faticava a mettere a fuoco. La stanza in cui si trovava era alta pressappoco quattro metri ed aveva una pavimentazione in cemento; un tavolo in legno con delle sedie erano debolmente illuminate da una finestra con delle inferriate posta a circa un metro e mezzo dal suolo; un grosso vecchio mobile a due ante fiancheggiava il muro scrostato e degli enormi ammassi di paglia secca erano posti davanti ad una porta in ferro.
Il detective si alzò faticosamente da terra e per qualche istante gli mancò l'equilibrio. La testa gli girava come un dopo‐sbornia. Passarono una manciata di secondi e si riprese. Fece i primi passi e iniziò a perlustrare la stanza.
Si avvicinò al tavolo e vide che vi erano appoggiati alcuni coltelli da macellaio ed una mannaia insanguinata. Nel momento in cui vide dei pezzi di carne di un animale che non riusciva ad identificare, esclamò: "Almeno il cibo non mi manca..."
Sbarazzò una parte del tavolo e vi saltò sopra con l'aiuto di una sedia malconcia. Riusciva a malapena a scorgere qualcosa dietro quei vetri sudici. Ciò che intravedeva era un paesaggio di aperta campagna coltivata a cereali. Cercò inutilmente di rimuovere le sbarre e si disse: "Non uscirò mai da questo maledetto posto!"
Saltò giù dal tavolo e si ricordò del telefono cellulare che aveva nella tasca dei pantaloni color antracite; lo estrasse e sbraitò: "Merda!". La batteria non c'era e anche la sim card era stata rimossa dal suo alloggiamento. Ripose il cellulare nella tasca e si avviò verso un accumulo di paglia. La scostò dalla parete e trovò la porta d'uscita. Era la sua giornata sfortunata: uno spesso catenaccio bloccava la maniglia. "Figli di puttana!" gridò furioso tirando un calcio alla porta.
Affranto, si sedette a terra e dal taschino della camicia tirò fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino Zippo; estrasse una sigaretta, la accese e aspirò a pieni polmoni; butto fuori il fumo e si disse: "Calmati David, ragiona. Ti sei trovato in situazioni peggiori... e senza sigarette". Mentre fumava, rifletteva su chi fosse stato a condurlo in quel luogo e sul motivo del suo rapimento.
Il pallido sole autunnale si stava perdendo all'orizzonte.
Improvvisamente, la luce di due fari appesi alle pareti si accese.
"Devono essere automatizzati" ipotizzò David schermandosi gli occhi con le mani.
Si alzò da terra e fu attratto da una scatoletta di plastica collocata su una delle pareti. Vi si avvicinò e rimase sorpreso dalla frase scrittavi affianco. La scritta diceva: ‐SE VUOI COMPAGNIA, PREMI IL BOTTONE‐.
"Compagnia? Cosa diavolo vorrà dire?" si chiese grattandosi il capo dolente.
Il detective era indeciso sul dafarsi. "Se premessi il bottone e non succedesse niente?" si domandò.
Sollevò lo sportellino e pigiò sul bottone.
Non accadde nulla.
"Ma che scherzi sono questi?" si chiese aggrottando le sopracciglia.
Alcuni secondi dopo, le luci si spensero e fu colto dal panico. "Oh cazzo, e ora? Non vedo un accidente!" sbottò. Cominciò a girare lentamente su sé stesso con le mani tese in avanti. Sentì improvvisamente dei rumori provenire da poco distante: udiva una sorta di suono gutturale e qualcuno o qualcosa che graffiava su una superficie metallica.
Prese lo Zippo dal taschino e lo accese per farsi un pò di luce. "Spero che non sia quello che mi immagino..." sospirò.
All'improvviso, una specie di botola si aprì dal pavimento provocando una spessa nuvola di polvere e detriti. Uno spaventoso ruggito uscì da quella apertura. "Ma che diavolo succede?" disse con voce tremante.
David si ricordò dell'armadio visto poco prima e vi si rifugiò al suo interno. Chiuse faticosamente le pesanti ante e spense l'accendino soffiandovi sopra. Il suo cuore batteva all'impazzata e, nonostante il freddo, aveva la fronte imperlata di sudore.
Dopo un attimo di silenzio, il detective udì dei suoni provenire al di là dell'armadio. "Cazzo, cazzo, cazzo..." bisbigliò a denti serrati.
Il giaguaro muoveva la testa a destra e a sinistra come in cerca di qualcosa e fiutava l'aria in continuazione. Le sue poderosi zampe lambivano il duro pavimento. Andò verso il tavolo e con un rapido salto felino vi saltò sopra. Era senz'ombra di dubbio attratto dall'invitante odore della carne. Cominciò prima a leccarla lentamente e poi ad addentarla. Qualcosa di più sostanzioso attendeva l'enorme animale nell'armadio, ma per ora lo ignorava.
David cercava con tutte le forze di fare il meno rumore possibile, ma ad un tratto starnutì. "Merda" sussurrò subito dopo coprendosi la bocca.
Il giaguaro si voltò scattosamente verso l'armadio con un brandello di carne che gli pendeva dalla bocca e, incuriosito, balzò a terra. Vi si avvicinò e ricominciò ad annusare l'aria.
"Sono spacciato" pensò alzando il pugno come per difendersi. Ma ben poco avrebbe potuto fare al cospetto del pericoloso giaguaro.
Improvvisamente, la famelica belva fu attratta da dei rumori provenienti dall'esterno della buia stanza e si allontanò dall'armadio.
David colse l'occasione al balzo e, prendendo finalmente coraggio, diede un calcio alle ante e uscì. Accese lo Zippo e lo scagliò verso gli ammassi di paglia secca che prese immediatamente fuoco.
"Siamo arrivati sul presunto luogo dove riteniamo sia rinchiuso il detective Benson!" disse a voce alta al ricetrasmettitore il tenente Allerton scendendo velocemente dall'autovettura insieme ad un agente. E correndo verso la cascina diroccata proseguì: "Si vede del fumo uscire da una finestra! Mandate subito i vigili del fuoco e un'ambulanza! Fate presto!"
Una seconda auto‐pattuglia li raggiunse frenando bruscamente sul terreno sdrucciolevole.
La stanza si stava riempendo velocemente di un fumo acre e la visibilità era scarsa.
Il giaguaro era intimorito dalle fiamme e soffiava verso il detective, il quale cominciava a tossire e camminava carponi. Una manciata di metri lo separava dall'animale che lo guardava con occhi minacciosi. David si alzò da terra e corse verso il tavolo. Afferrò un grosso coltello che scagliava contro il possente felino. "Sotto! Fatti sotto!" continuava a urlare.
Il giaguaro gli andò contro e, con movimenti repentini, allungava l'enorme zampa verso il detective. Una zampata lo investì sulla guancia destra. Un fitto dolore come mai ricordava di aver provato lo invase. "Ahh! Figlio di puttana!"
Uno degli agenti applicò alla porta del plastico esplosivo e si allontanò. "Attenti! Ora attiverò la detonazione! Al riparo!" esclamò. Premette sul detonatore, facendo brillare l'esplosivo. La porta saltò in aria e gli agenti, dopo aver aspettato alcuni secondi, corsero verso l'entrata.
David stava lottando con l'animale e gridò: "Presto! Sparategli!"
Il tenente estrasse repentinamente la sua pistola, prese la mira e sparò contro il giaguaro che si accasciò al suolo.
I due cani entrarono nella stanza e andarono verso il detective.
Fu condotto all'esterno dagli agenti e lo fecero sdraiare sul terreno.
"Non si preoccupi, i soccorsi stanno arrivando..." lo rassicurò Allerton "...tutto ok?"
David premeva con la mano destra sulla ferita. Il sangue gli scorreva sul collo, impregnando la camicia. Il tenente prese un fazzoletto di stoffa e glielo premette sulla guancia. "Eccoli, i soccorsi sono arrivati"
Delle sirene si udirono in lontananza. I vigili del fuoco si apprestarono a spegnere le fiamme. I medici sistemarono il detective su un lettino e lo condussero nell'ambulanza.
"Helen! Dove si trova Helen?" chiese agitato al tenente.
"Sua moglie la aspetta già in ospedale. Tra poco la vedrà... non si preoccupi" rispose sorridendo Allerton.
L'ambulanza, seguita da una delle due auto‐pattuglie, si allontanò dalla cascina.
Ci volle quasi mezz'ora per estinguere l'incendio.
Il tenente entrò nella stanza con un agente. "Chiama la scientifica. Voglio che questo posto sia ispezionato da cima a fondo. E fai rilevare qualsiasi probabile impronta" gli ordinò facendosi luce con una torcia elettrica che puntò in direzione dell'animale.
Il giaguaro giaceva inerme sul pavimento.
"Povera bestia..." mormorò fra sè.
L'ambulanza con a bordo il detective Benson giunse in una ventina di minuti presso il poco distane ospedale di Hartford. I medici condussero la barella verso il pronto soccorso.
"Il paziente ha perso molto sangue! Necessitano subito due sacche di plasma del gruppo B Rh negativo! E preparate la sala operatoria per le suturazioni!" ordinò a voce alta la caposala agli infermieri.
Helen era in ansia per il marito e, appena lo vide entrare trasportato sul lettino, corse verso di lui. "David!" esclamò con gli occhi gonfi di lacrime. "Come sta?" chiese con voce tremolante ai soccorritori.
"Ha subito gravi ferite alla guancia destra e ha perso parecchio sangue, ma non è in pericolo di vita" le spiegò uno dei medici. E lo trasportarono di corsa in sala operatoria.
Ora la donna si era quantomeno risollevata nel sentirsi dire che David non avrebbe corso gravi rischi. Si asciugò le lacrime con un fazzoletto di stoffa e si sedette ad aspettare fuori dalla sala operatoria.
L'intervento durò circa un'ora. Il primario uscì, levandosi la mascherina verde dal volto.
Helen si alzò e andò in sua direzione. "Com'è andato l'intervento?" gli chiese con aria preoccupata.
"L'intervento è proceduto regolarmente e senza intoppi. Abbiamo dovuto operare in anestesia generale. A breve dovrebbe risvegliarsi. La informeremo quando potrà ricevere visite" le disse con voce rassicurante il primario mentre si sfilava i guanti in lattice.
"La ringrazio immensamente". La donna gli strinse calorosamente la mano.
Il mattino seguente, David si svegliò nella stanza dell'ospedale. Sulla guancia destra gli avevano applicato un ampio cerotto bianco per proteggere le ferite che erano state ricucite. Era ancora lievemente intontito dall'effetto dell'anestesia e si guardò in giro. Sulla poltrona affianco al suo letto vide Helen che dormiva con il capo pendente verso sinistra. Fu contento nel vederla accanto a sè. Allungò il braccio e le sfiorò delicatamente la mano.
La donna aprì gli occhi. "David, amore" gli sussurrò avvicinandosi. "Come ti senti?"
Lui si sfiorò il cerotto. "Mi fa un pò male la guancia" le confessò. "Sei stata qui tutta la notte?"
Lei sorrise. "Certo, tesoro. Ho vegliato su di te"
"Sei il mio angelo. Come farei senza di te?"
Qualcuno bussò alla porta. "Avanti!" esclamò Helen.
Ad entrare fu Allerton, il quale sfiorò quasi la porta con la testa. Corti capelli neri; profondi occhi neri; carnagione scura; alto un metro e novantatre; spalle massicce. Ad una prima impressione, il nerboruto tenente poteva incutere timore nel suo interlocutore. Ma una volta conosciuto, si scopriva una persona comprensiva e disponibile. "Come sta il nostro detective?" fece ai due con la sua profonda voce da baritono.
"Ci sono stati giorni migliori" ironizzò David. "Prego tenente, si accomodi.
L'uomo si tolse la giacca e si sedette vicino al letto. "A quanto pare, l'operazione è andata bene..."
"Sì, è andato tutto liscio, per fortuna" rispose David.
Dopo alcuni attimi di silenzio, il tenente riprese: "Ha qualche idea su chi possa averla rapita?"
Il detective mosse leggermente il capo da destra a sinistra. "No. Buio totale. Non ne ho la minima idea. Forse qualche folle, o qualcuno che vuole vendicarsi di qualcosa..."
"Comunque, non si preoccupi. L'indagine è già partita, e degli agenti sono di guardia davanti la vostra abitazione" comunicò loro Allerton, guardando prima David e poi Helen.
L'agente posto all'esterno della stanza dove si trovava David ricevette una lettera da una infermiera e bussò alla porta.
Il tenente si alzò e andò ad aprire.
"Tenente! Un'infermiera ha trovato questa sul bancone della reception!" disse il poliziotto porgendogli una busta da lettere.
Sul retro della busta c'era la scritta "Per il detective Benson". Allerton si voltò verso David. "C'è una lettera indirizzata a lei. Credo che sia della stessa persona che l'ha sequestrata" ipotizzò.
"Prima di aprirla, indossi dei guanti. Oramai la busta esterna è stata toccata da più persone, ma faremo analizzare il contenuto per eventuali tracce o impronte digitali" gli consigliò il detective.
Il tenente si infilò dei guanti in lattice e strappò un lato della busta. Sfilò la lettera e la aprì tenendola di fronte a sè.
"Vuole leggere anche a noi il contenuto?" osservò David.
"Caro detective Benson. Com'è andato l'incontro con il giaguaro? Spero vi siate divertiti. Non volevo farti fuori. Volevo soltanto farti provare un pò di terrore. Ti sei domandato come mai ti abbiano trovato così velocemente? Sono stato io ad avvisare la polizia in tempo perchè l'animale non ti uccidesse. Sono stato gentile nei tuoi confronti. Non trovi? Ora è tempo di salutarci, ma ben presto mi farò vivo". Allerton lesse tutto d'un fiato.
Il detective rimase un attimo in silenzio, con lo sguardo perso nel vuoto. Poi disse al tenente: "Ecco perchè non avete impiegato molto tempo per trovarmi..."
"Già... Un agente ha trovato vicino all'ingresso della Centrale di polizia un biglietto con scritte le istruzioni sul come trovarla..." gli spiegò Allerton. E proseguì: "Ci troviamo di fronte ad uno squilibrato o ad un mitomane..."
Helen afferrò la mano del marito e la strinse. "David, sei in pericolo. Ora che facciamo?"
"Non ti preoccupare, tesoro. Hai sentito quello che ha detto il tenente? La nostra casa sarà sorvegliata giorno e notte. Non c'è nulla da temere" cercò di tranquillizzarla David.
I due si strinsero in un forte abbraccio.