Camera d'ospedale numero 17
Il nonnetto viene dimesso. E’ guarito.
E’ arzillo, felice di tornare a casa.
La nonna se lo coccola come fosse un bambino.
Il letto accanto è vuoto da qualche minuto. Il paziente che l’occupava ha reso l’anima a Dio da pochi minuti. La moglie raccatta le cose del marito defunto, il rasoio elettrico, il cellulare, la radiolina a pile e poche altre cose. Non si cura affatto del poco vestiario del defunto: magliette, calzini, calzoni li lascia dove sono, sul letto. Sospira mentre si deterge la fronte. In ospedale fa un caldo infernale, i termo sono tenuti molto alti.
Con gli occhi lucidi, la nonna accarezza la pelata del marito. Questa volta il nonnetto Beppe l’ha scampata per il rotto della cuffia: una broncopolmonite a ottanta e passa anni è un gran brutto affare. Ma nonno Beppe se l’è cavata, ha rimandato la Nera Falce a tenere compagnia a chi non crede in Dio. Il nonnetto è un uomo di fede, lo è sempre stato, ciò però non toglie che sia un gran rompicoglioni e una testa di mulo. La sua caparbietà e la sua fede hanno forse operato il miracolo. Un altro, al suo posto, poco ma sicuro, avrebbe tirato le cuoia.
La nonna si fa vicina alla vedova. “Le mie condoglianze, Signora…”, farfuglia con un nodo in gola.
La donna sgrana gli occhi. Poi, subito, schiude la bocca: “Non ce n’è bisogno!”
“Mi spiace…”
“A me no”, replica secca lei, con tono minaccioso.
La nonna rimane impietrita.
“Ho avuto un uomo accanto per quaranta anni. Adesso ne ho sessanta. Non sono ancora da buttar via. Ho una vita davanti. E’ risaputo che le donne vivono più a lungo dei maschi.”
La nonna tace e fa dietrofront. Prende la mano del suo compagno d’una vita e la stringe con forza. Insieme escono dalla camera d’ospedale numero 17.