"Cara, Cara"
Cara, cara.
Valentina dormiva poco e quel poco sempre tra le braccia della mamma, tirandole i lunghi capelli.
A sei mesi, ebbe in donno da una zia la prima bambola della sua vita: lunghi capelli, abiti eleganti e il corpicino di stoffa imbottita, morbido da stringere.
La mamma fu soddisfatta di notare che, finalmente, la piccina non passava più le notti tirandole i capelli e rigirandosi inquieta nel letto matrimoniale: aveva la bambola e cominciò a dormire stringendola a sé con amore, come se fosse una cosa viva.
La bambola, i primi giorni, fu battezzata “Angelina” ma, a dieci mesi di vita, Valentina la chiamava “Cara, Cara” e pretendeva, alle ore del sonno:‐“Titti e Cara, Cara”.
Così Angelina divenne “Cara, Cara” per tutti e la vocina della bimba, con lo squillo delicato all’ultima parola, fece sì che tutti in casa prendessero ad amare la bambola per amore della bambina.
Cara, Cara divenne spettinata e scomposta e dovette subire un primo “intervento” perché la testa, troppo strapazzata dalle manine di Valentina, minacciava di staccarsi dal corpo.
La mamma infilò un grosso spago alla base della graziosa testolina di plastica e lo reinserì nel corpo di panno e imbottitura.
Così, “Cara, Cara”, cambiò d’abito, fu accuratamente lavata, pettinata e, restituita alla piccola padroncina, che, stringendola tra le braccia, serenamente si addormentò. Passarono ancora alcuni mesi. Valentina aveva preso a camminare e poi a correre e, ovviamente, trascinò con sé, nei suoi primi approcci con il “Mondo”, anche l’adorata bambolina di stoffa.
“Cara, Cara” cominciò a deformarsi, divenne sempre più malandata e dové subire un secondo “intervento”. Le fu praticato un lungo taglio nell’addome e la vacillante testolina fu più efficacemente inserita sul collo per mezzo di cordicelle argentate. Molti punti di sutura resero al corpicino le primitive sembianze alla bambola vennero di nuovo cambiato l’abito. Valentina, allo scuro di queste vicende, continuò a chiamarla “Cara, Cara” e a considerarla un essere vivente. Ogni sera, al momento di dormire, rifiutava anche le braccia materne purché le si consegnassero “Caro, Cara” e il suo succhiotto. La bimba aveva circa due anni quando, di ritorno da un viaggio, (“Cara, Cara” era partita con lei e tornava con lei), la situazione precipitò all’improvviso: alle tre di notte, mentre la mamma tentava di addormentare la discoletta che tardava a prendere sonno, il corpicino di stoffa si accartocciò tutto e la testa di “Cara, Cara” (orrore!!) si staccò dal corpo restando legata soltanto per un paio di fili argentati. La reazione della piccola fu straziante: chiamava la bambolina, la tirava per i capelli, le toccava il corpicino deformato e piangeva a singhiozzi. A quel punto, si doveva agire in fretta: la mamma tagliò i fili del cordoncino, prese dall’armadio una bambolina di plastica di morbida, la privò della testa e la sostituì con la testolina di plastica di “Cara, Cara”. Valentina, rivedendo il sorrisetto della sua bambola, dapprima parve calmarsi; ma poi, nello stringerla a sé, notò con stupore che la sua e arrendevole “Cara, Cara” era divenuta più lunga, pesante, nuda al di sotto dei panni e decisamente sconosciuta. Spossata, quella notte comunque, si addormentò tirando i capelli alla bambola, senza convinzione e con qualche singhiozzo nel sonno inquieto. Al mattino, osservò di nuovo quello strano essere che la mamma chiamava Cara, Cara e lo gettò fuori dal lettino. Chiamò con tristezza: “Cara, Cara”!” e la mamma le riconsegnò il mostriciattolo. Valentina la rigettò fuori dal lettino, con le lacrime agli occhi e implorò di nuovo:‐ “Cara, Cara”!”. Ma la richiesta sortì lo stesso effetto: le fu riconsegnato l’abominevole essere che, sì, aveva la testa della sua “Cara, Cara”, ma non era lei.
A malincuore si arrese. Prese a dormire con la nuova bambola, ma sempre senza convinzione. La mamma, per consolarla, le fece notare che aveva i piedini, proprio come lei, e le manine e anche un corpicino rosa e un culetto. Valentina la toccò, la girò, sorrise e poi prese a dedicare le sue attenzioni alle altre bambole, che fino a quel momento non aveva mai neanche notato. Sorprese tutto quella sera addormentandosi assieme a una bambola dai capelli di lana che cantava le canzoncine.
Ma la situazione non si risolse. Ostinatamente continuava a chiedere di “Cara, Cara” e a stringere con mestizia i lunghi capelli del nuovo essere che le ricordava vagamente qualcosa di familiare. Un altro disastro avvenne quando la mamma condusse a mare Valentina con la sua bambola. Le insegnò a lavarla con l’acqua di mare (era di plastica, questa nuova “Cara, Cara!”), e, al sole cocente, la plastica riscaldandosi, perse elasticità. Fu così che nelle piccole mani di Valentina, a un suo strattone, restò una gambetta di plastica rosa e il resto del corpo finì sulla sabbia.
La bimba sembrò restare indifferente, ma perse il sorriso. Ogni tanto chiamava tra sé e sé la bambolina adorata e osservava con una sorta di sentimento molto vicino al dolore ciò che restava di essa.
Nel pomeriggio, la mamma addormentò la piccina tenendola in braccio e dicendole:‐ “Sono io “Cara, Cara”, prendi i miei capelli. Io sono la mamma e non cambierò mai, ti terrò sempre stretta!”. Quindi depose la piccola nel letto dove dormì sola sola, rigirandosi inquieta, per la prima volta senza “Cara, Cara”. Ma la mamma ebbe un’idea e cercò tra le bambole in soffitta (quelle della figlia oramai grande), un nuovo corpo per “Cara, Cara”. Ma che fosse di stoffa imbottita, morbido, leggero e confortante. Lo trovò e con un paziente lavoro artigianale, mise assieme di nuovo la testolina con il “suo” corpicino. Sembrava proprio “Cara, Cara”!” Con dolcezza la mamma posò la bambolina accanto alla figlioletta addormentata, che, nel sonno, la strinse a sé. Poi scostò dalla fronte di Valentina una ciocca di capelli leggermente sudati, riassettò il lenzuolino bianco e si allontanò pensierosa, nella penombra della stanza. Pensava all’amore e a quanto fosse difficile farlo sopravvivere quando il corpo muta, anche se l’animo resta lo stesso. Pensava ai trapianti, pensava a un romanzo mai pubblicato e, soprattutto, pensava a suo padre e a quanto fosse difficile ammettere che qualcosa di molto amato, di certo e duraturo, possa abbandonarci una notte, all’improvviso, nelle braccia della solitudine.