Cavolomeda, il pianeta
Mentre passeggiava per un passaggio pedonale, il buon Sdrusieta fu rapito da un gufo. Notizia falsa, in quanto non era un gufo bensì un ufo.
Anche se molti non ci crederanno, questa storia è atta a ridare credito alla fonte credente: essa tratta infatti di un matto di cronica realmente accaduto nella fantasia dello scriba che scribe.
Sdrusieta viveva sul mondo terrestre, ma passava intere giornate e giornmorte a scruttare il cielo per caprirne i molle segreti che esso celava a quei tempi e cela, peraltro, tutt’o’ra.
Bisogna sapere che Sdrusieta ammirava il cielo con strumenti da lui stesso appositamente costruiti: un paio di occhiali da soli per sc‐ruttare nelle più intime forme dell’astro, un paio di occhiali da lune, pel simil uso, un paio invece di trampoli per avvicinarsi di più ai pianeti che circondano e teatrondano e ammirarli in ogni lor minimo parti‐oculare; acchiappafarfalle elaborato ad acchiappastellecadenti, martello per martellarsi la cervice e diventar lunatici, pila per illuminare a giorno anche pianeti come Marte non dotati di luminosità intrinsega…
Da parte sua Sdrusieta era un uomo giovane di molte aspettative, ansioso di vivere e scoprire qualcosa di nuovo nel cosmo., desideroso di contribuire validamente al progresso nel campo scientifico e in quelli cosmologico, cosmoillogico, spaziale, extraterrestre, galattico, siderico ecciotera.
Il nostro homo era dotato di caratteristiche non comuni e tantomeno province, che gli consentivano di applicarsi ai campi citati un po’ come una mosca nella colla.
Sdrusieta, dai capelli multicolori che col sole ballavano, gli occhi aquilini, il naso espressivo ed un sorriso che conquistava, corpo da fusto e muscoli podeorosi, era il classico uomo del tempo dalla personalità poliedrica. Ampiamente dotato in tutto, sapeva far di tutto; contare da 3 a 9 seguendo la tabellina del 3, saltare da uno sgabello di 10 cm a terra senza divergere le zampe, spaccare un lampadario di cristallo con un rutto, schiacciare un lumacone con una castagnata…
Sdrusieta però aveva un pallino infisso: voleva a tutti i costi, costi quel che costi, venire in contatto con degli extraterrestri: per questo tutte le sere, uscito di casa al sorgere della luna, ossia al tramonto del sole, in pratica verso sera, si recava in un luogo isolato e penisolato dal resto del mundo e aspettava il loro arrivo.
Perché aveva scelto proprio quel posto, ossia una collinetta piatta erbosa e paludosa popolata da pesci‐rana ed insetti domestici? E’ ovvio che ne avesse buon motivo di fare ciò! Proprio in quel luogo, in effetti, qualche tempo prima aveva visto, così diceva, atterrare un 45 giri volante e da esso sarebbero discesi adunque degli uomini microsolchiformi che cantavano a squarciagola un nonsochè nel loro linguaggio. Da quella sera, tutte le sere, sia il lunedi che il lunedi, Sdrusieta era su quella collina piatta per vedere se ‘sti dettibene extraterrestri si decidevano a venire a fargli visita. Portava sempre con sé un sacchetto per fotografarli e una scimmietta come testimone dell’eventuale evento.
Erano praticamente 50 anni e 15 mesi che esso aspettava tale venuta, ma ciò nonostante di extra manco a parlarne, di terrestri, poi, manco a meno. Se saltiamo tutte le sere che essi non sono venuti, però, e seguiamo solo le sera in cui viceversa (viceversiamo, viceversate, viceversano) essi venuti lo sono, allora ci eviteremo 50 anni e 15 mesi di racconto per goderci di contro solo una sera di racconto spassionato avvincente apperdente interessante eccitterio.
Verso sera, quella sera, Sdrusieta si reca alla collina piatta munito dei suoi soliti attrezzi, e sedutosi all’ombra di uno stagno scruta il cielo speranzoso e fiducioso: verso la mezzanotte, incredibili a dirsi, leggersi e a sapersi, ecco che nel cielo compare qualche cosa che di solito non compare; una strisssssssia luminosa strissssssiforme che illumina tutto ciò che vede; raddrizzando lo sguardo, Sdrusieta intuisce che forse è venuto il suo momento e si appresta a accogliere degnamente gli arrivanti.
L’astrobarca che li conduce plana dolcemente verso la terra atterrando vicino allo stagno nel quale Sdrusieta era appostato, da essa escono alcuni esseri che si guardano attorno circospeziosi e poi, dopo essersi vestiti, si tuffano nello stagno. Sdrusieta annota il fatto sul suo block‐notes e osserva nuovamente… nuotando gagliardamente nello stagno gli extraterrestri guazzano gioiosamente, quand’ecco che la scimmietta del nostro astronomo, spaventata, comincia a muggire mettendo sul chi non muore i bagnanti.
Essi all’udire ciò balzano in piedi e usciti dallo stagno nuotano verso Sdrusieta e, raggiuntolo, lo portano via con sé…
Tutto contento il nostro amico appunta tutto sul suo bloccanote finanché viene sottoposto all’interrogatorio da parte degli extraT :
‐ Cavolì cavolò, cavolem cavulàm, che cavul cavolei ? –
A onor del vero il nostro Sdrusieta non ha capito un cavolo di quello che gli è appena stato detto e risponde come può:
‐ Cavolitt, cavolatt, cavolfior dei miei ciabatt –
I Cavolotici, guardandosi nelle orecchie, cercano di intuire il significato del detto…
Sia Sdrusieta che i Cavolotici avrebbero voluto intendersi, per reciproco interesse, ma purtroppo nessuno è in grado di fare da interprete tra le due specie. Per molto tempo essi cercano di trovare una formula adatta a intendersi:
‐ Cavolucchio cacolone cavolotto cicerone, cavolqui, cavollà, càul càaul va a pescà! –
‐ Cavoliamo cavolate cavolicchia pure il frate, cavoletto cavolino cavolicchia il contadino! –
‐ Cavolatu, cavoloio, cavolenda, cavolo a merenda! –
‐ Cavol fritto, lesso o al forno, quanti cavoli qui intorno! –
Niente da fare: per quanto se ne sforzino, né Sdrusieta né i Cavolotici riescono a cavare un ragno dall’orifizio.
Intendersi a gesti ? Manco a parlarne… i cavolotici vedono con le orecchie e gesticolano con il naso, quindi anche il linguaggio dei gesti, sinora ritenuto internazionale, non diverra mai linguaggio universale?
Io mi chiamo Sdrusieta –
Cavol cavol cavolfioreò! –
Nulla da far.
Neanche la presentazione riesce: il nostro Sdrusieta comunque annota tutto quello che gli capita a tiro per riportare sulla terra il maggior numero di nozioni possibile, nota l’interno della navicella, gli strumenti di bordo e un grosso recipiente pieno di cavoli di ogni colore, probabilmente servono per.
Viaggia e riviaggia, cavola e ricavola, la navicella spaziale giunge bene o bene ad un pianeta… è inutile specificarne la forma.
Giunto al cospetto del Gran Cavolano, questi riesce dopo non pochi tentativi ad intendersi con Sdrusieta.
Su Cavolomeda, il pianeta suddetto, si conosce solo il cavolo ma, da qualche tempo, si è avuta una epidemia di zucche che soffocano la crescita dei cavoli prendendone il terreno. I Cacolotici rischiano di morire di fame, in quanto la produzione di cavoli è block‐notevolmente calata da un po’ di tempo a ‘sta parte.
Se Sdrusieta avesse saputo risolvere tale problema avrebbe potuto tornare sulla terra con un’ingente ricompensa.
Manco a dirlo in breve il nostro astronomo si improvvisa gastronomo e cerca ogni mezzo per arrestare ed ammanettare l’epidemia di zukke. Giunto nel campo in cui i cavoli venivano coltivati, prova a strappare una zucca.. ohibù!!! Mondo cipollino !!! Sotto la zucca ce n’è un’altra, che ricresce subito al suo sito.
Un altro giornale prova a diserbare con uno zucchicida i cucurbitacei in questione… macché: zucche a non finire !!! Zucca e rizucca, Sdrusieta non sa più che cavolo fare per risolvere il problema suo e dei Cavolotici.
Con un lampo di genio causa un bel tuono che gli dà un ideo che è il fratello dell’idea, ma è più saggio: pensa infatti di leggere qualcosa negli astri aspri; la sera immediatamente venente si piazza coi suoi strumenti e, salito sui trampoli, si avvicina a tal virgola ai pianeta che voleva interpellare da riuscire a leggere quello che dicevano punto.
Dicevano (sa il cielo cosa vuol dire) di dare un‐occhiata alla scimmietta che Sdrusieta aveva recato con sé fino a Cavolomeda; in un immediatamente che non si dica, corre a dargli la‐occhiata:
BHO!!!
Sta dormendo! Evidentemente l’occhiata è il caso di continuare a dargliela finanché non avesse manifestato un nonsoché di utile per le ricerche che sta conducendo.
La scimmietta al mattino si sveglia, si guarda intorno per cercare quid da mangiare, prende una zucca e se la mangia… poi torna a ronfare. Fine della giornata della scimmietta. Con le idee e gli idei sempre più chiari Sdrusieta cerca di interpretare positivamente ciò che aveva appena visto, ma non sa che fish pigliare.
Ponza e riponza…. DOLMEN !!!! La superidea era piovuta dal cièlo !!!!!
Sdrusieta corre dal Gran Cavolano e gli espone il mezzo per risolvere la loro fame. Mangiar le zucche!!!
Inutile dire che in un diviso che non lo si dica i Cavolotici diventano Zuccotici, e ben pasciuti avendo di che scorpacciare per l’eternità.
Tutto non è male quel che finisce bene !!!!!