Change

Non si vive di soli ricordi, visto che è molto più semplice affogarli in ettolitri di whisky. È così che l’ho sempre pensata, ma oggi ho deciso: tutto questo deve finire. Oggi la mia vita cambierà. Lonnie aveva ragione quando mi diceva che così non posso continuare altrimenti finisco o in una bara o in un centro di riabilitazione. E io in riabilitazione non ho nessuna intenzione di andare. Non di nuovo. Io voglio stare con le persone felici in un posto felice. Disneyland, cazzo. O Topolinia, se esiste. Non voglio finire al centro “Strafatti di tutto il mondo uniti”, a studiare libri chiamati Introduzione a una vita d’armonia oppure Storia e tecniche del viversani & belli.
A‐ffan‐cuu‐lo, tutto questo.
Se avessi chiuso molto tempo fa adesso non avrei alcun tipo di problema. O forse sì, qualche problemuccio l’avrei. Problemi normali. Roba tipo andare a fare la spesa e portare Poppy a fare la pipì o dilemmi morali quotidiani come: fuori piove, mioddio adesso che faccio? Esco con l’ombrello o metto la maglia col cappuccio che è tanto pratica ma è della scorsa stagione quindi dannatamente fuori moda? Cose così, cose normali.
In anni di enigmistica da ultima pagina del New York Times ho capito una cosa: per ogni problema c’è una soluzione e la cosa importante non è tanto trovare la soluzione, quanto piuttosto cercarla. Io, ad esempio, ora me ne sto nel mio loft con una partita di 300 gr. di coca e le sirene fuori stanno già alzando progressivamente il loro volume. Presto saranno qui, le sirene. Qui dentro. E io ne sarò contento perché almeno sarò al sicuro dagli altri. Chi sono gli altri?
Gli altri sono i cinesi, quei bastardi a cui ho fottuto la partita da sotto il naso giallo, ma gli altri sono anche i miei amici, Lonnie e compagnia brutta, che ho fottuto in seconda battuta per avere più soldi tutti per me e naturalmente per avere più roba da farmi. Se mi prendono gli sbirri prima di loro e di quegli altri mi potrò considerare un uomo fortunato.
I’m a lucky man, canto mentre imito un altro video dei Verve. Sono giù in strada che cammino in strada che sono in strada e do spallate a tutti in strada e sono strafatto‐cazzo‐che‐botta in strada. Dove sto andando? Come, dove sto andando? Me lo sono già dimenticato? Non posso essere così fatto da essermelo già dimenticato. Dove?
Ah, già. Sto andando da Mary‐Ann. La mia Mary‐Ann. Mia e di quegli altri 100 che se la scopano tipo regolarmente. Mary‐Ann. Indirizzo. Dove abitare? Nella strada delle puttane, ovvio. Navigatore satellitare inserito. Brum brum. Più veloce della luce.
Suono.
Ri‐suono.
Dai, Mary‐Ann. Vai a quel cazzo di citofono.
“Mary‐Ann,” grido alla finestra. “Mary‐Ann, apriiii.”
Mi attacco al citofono per cinque minuti, poi quando ho ormai perso ogni speranza lei risponde come se nulla fosse: “Sììì? Chi è?”
“Mary‐Ann, come chi è? Come chi è? Sono io, cazzo. È mezz’ora che suono: apri!”
Lei non apre.
“È urgente…”
Finalmente apre, quella troia.
Salgo su le scale di corsa. Più veloce della cazzo di luce. Mary‐Ann è alla porta e fa “Non puoi entrare, adesso.” Io la spingo via ed entro sbattendomene. Davanti mi ritrovo Lonnie, nudo, nel letto. “È nudo” penso “e ha un cazzo enorme.” Ci penso meglio e realizzo: “È Lonnie, cazzo. Il tizio che vuole uccidermi. Uno dei tizi che vuole uccidermi.”
“Lonnie, come butta?” gli chiedo trovando un sorriso disinvolto da non si sa dove.
“Il mio uomo” fa lui sorridendomi. “Jamal, negro. Hai venduto la mia roba?”
“Ehm…” ci rifletto su. “Sì.” dico non troppo convinto.
“Non te la sarai fatta tutta tu, vero?” Si alza in piedi con quel cazzo enorme che mi penzola davanti agli occhi.
“Certo che no, Lonnie. Certo che no.” In questo momento non mi sembra così male l’idea si immergermi nella lettura appassionante di Storia e tecniche del viversani & belli.
“L’hai già venduta tutta?”
“Non ancora, Lonnie, ma ci sto lavorando.” Ah, come vorrei essere lì insieme a voi adesso, Strafatti di tutto il mondo uniti.
“E allora mi dici che cosa stai facendo qui davanti al mio cazzo penzolante, invece di essere fuori a vendere la mia fottuta roba?”
“Ero passato a dare un saluto a Mary‐Ann, ma vedo che è già impegnata, quindi ripasso. Anzi, Lonnie, vendo la roba e poi eventualmente ripasso.”
“Vola vola vola” sussurra Lonnie imitando Hannibal Lecter “Vola vola vola…” e io volo volo volo.
In strada. Sono di nuovo in strada. Mi gira tremendamente la testa. Sono confuso: Lonnie non sa niente? Non ancora. Potrebbe saperlo a minuti, da Jared. Quello non tiene mai la bocca chiusa. Sempre attaccato al cellulare. Non pensa al cancro che tutte quelle onde provocano al cervello? Certa gente se ne fotte del suo futuro, pensa solo al presente ma le conseguenze, le conseguenze dico sono importanti, gente. Dovete pensare a costruire un futuro, per voi e per i vostri figli. Ma prima il matrimonio. Il sacro vincolo del matrimonio, solo dopo il sesso, anzi, che dico? la riproduzione.
“Ouuu”, mi urla un tizio strattonandomi. “Amico, sei morto?”
“Cazzo dici? Certo che no! Ti sembro morto?” gli faccio io.
“Beh, tanto vivo non mi sembri…”
Sono steso a terra e sto tremando dal freddo. Quel tizio è chiaramente un coglione ma non deve avere nemmeno tutti i torti. Provo a fare lo sforzo di rialzarmi. Ci riesco mi‐ra‐co‐lo‐sa‐men‐te. Mi sento un uomo nuovo, pronto per il cambiamento. Questo è il primo giorno del resto della mia vita. Aretha Franklin sta cantando Let Freedom Ring e la sua voce arriva da tutte le finestre d’America. Mi affaccio in una casa a caso e sono lì tutti seduti sul divano a guardare il giuramento di Obama. “Ce l’hai fatta!” sussurro, poi qualcuno mi chiama. “Hey, Jamal!” ce l’hanno con me. Mi giro. Sono i cinesi. Sembrano alquanto alterati. Sbucano fuori da tutte le parti, mi circondano.
Io mi volto un attimo ancora verso la finestra aperta di una famiglia americana a caso e poi nella schiena mi arrivano i proiettili. “Almeno tu ce l’hai fatta.” La mia voce è solo un gemito, in mezzo alla folla di persone che acclamano il nuovo Presidente. Davanti a me passano un mucchio di immagini. Tutti i ricordi della mia vita cancellati da droghe & alcool improvvisamente eccoli lì di nuovo. Mia mamma, com’era bella mentre mi spingeva sull’altalena. Mio papà, che mi insegnava ad andare in bici e mi ripeteva “Sei un testone” ma Dio sa se mi voleva bene. Mia nonna, in ospedale, e io che le tenevo la mano mentre si spegneva. Le sarebbe piaciuto essere qui oggi. Non a vedere il nipote che muore ammazzato, questo probabilmente no, ma stare qui alla finestra ad ammirare un nero che giura da Presidente davanti a tutta l’America. “Cazzo, se ce l’hai fatta!” ho ancora la forza di dire appena prima che i miei occhi si chiudano.