Chi la dice, l'aspetti.

Ciro Scotto stava a gambe aperte piegato con le mani in avanti sulla scrivania dell’ufficio del dottor Morabito.
Con il culo all’aria aveva fatto le chiappe fredde fredde.
Tremava. Sudava. Si stava letteralmente cacando sotto.
Dietro di lui il dottor Morabito, con l’uccello in mano, e con lo sguardo di un mastino napoletano in calore. Due grossi energumeni, vestiti tutti di nero, stavano fermi davanti alla porta.
Chiunque, se gli avessero preannunciato una situazione del genere, si sarebbe messo a ridere.
Ciro Scotto no. Anzi, aveva detto: «Per 500 euro in più al mese, a Morabito gli do pure il culo.»
Furono le ultime parole famose di un povero cristo, impiegato di sesto livello alla Tetrac S.p.a.

Sei mesi prima…

Il distributore del caffè faceva un rumore metallico mentre preparava la bevanda.
Ne uscì un espresso color merda sciolta.
Se lo spartirono in tre. Ciro Scotto, Antonio Romano e Alfredo Mosconi, quest’ultimo soprannominato spruzzino, perché quando parlava sputava dappertutto schizzi di schiuma bianca.
A loro quella merda piaceva.
«Avete saputo degli incentivi?» fece Romano, girando la stecchetta per lo zucchero.
«Ho saputo» rispose Ciro.
«Io no» se ne uscì preoccupato Mosconi.
Romano: «Più soldi per tutti tranne che per noi.»
«Cazzo dici?»
«Dico quello che ho sentito. Tutti tranne che a noi tre» ribadì. «Il sindacato se ne fotte, e il Gran Capo fa quello che cazzo gli pare.»
«Chi, Morabito?»
«Proprio lui.»
«Merda!»
«Da quando abbiamo fatto quel casino pazzesco. Siamo noi che abbiamo alzato la voce per avere gli incentivi, e quello hai capito cosa fa? A tutti e a noi niente. E’ il suo modo di vendicarsi. Ci aveva avvertito che stavamo giocando con il fuoco, e alla fine…»
A Mosconi gli era passata pure la voglia del caffè. Il suo umore, mediamente basso, prese una piega ancora peggiore. Cominciò a bofonchiare qualcosa sputacchiando fiotti di saliva.
«Ho sentito dire un’altra cosa pure» fece Ciro, con la cazzimma di Alfonso Signorini, quando racconta a tutta Italia i cazzi degli altri.
I due lo guardarono trepidanti.
«La conoscete la Brandi?»
«Chi, la troia bionda del terzo piano?»
«Proprio quella la. Ho sentito dire che gliel’ha data a Picciolli, il Direttore Generale.»
Romano sbarrò gli occhi come uno zombie.
Mosconi scatarrò anche il mezzo sorso di caffè che aveva deciso di mandare giù.
«Da non credere, vero?»
«Che zozzona!»
«Che troia! Ecco come ha fatto ad avere l’ottavo.»
Ciro Scotto sapeva i cazzi di tutti. E di questo non c’era da meravigliarsi. Quello di cui c’era da meravigliarsi era come cazzo facesse a saperlo. Era il suo hobby. Scoprire e sapere tutto di tutti. Se eri nascosto nel buco del culo del mondo, stai certo che Ciro Scotto sarebbe venuto a saperlo. Ti avrebbe scoperto.
Ciro Scotto era brutto. Aveva il naso di un maiale e i denti a cavallo. Non era sposato. Non era fidanzato. E quel che è peggiore, è che si credeva pure bello. Aveva le gambe come due rami storti e la pancia di una al sesto mese di gravidanza. In testa aveva un mucchio di capelli, e quando si grattava, faceva strage di pidocchi.
A un certo punto, mezzo divertito, Ciro se ne uscì con un’altra delle sue. «All’incirca un mesetto fa mi è capitato di ascoltare una conversazione tra donne. Una cosa che non vi potete immaginare.»
«Chi sono le galline in questione?» domandò incuriosito Romano.
«A parte la Brandi, che all’epoca era ancora immacolata, c’erano la Piscopo e la Migliaccio. Ero chiuso nel cesso delle donne. Ero talmente strafatto di sonno che non mi sono nemmeno accorto di aver sbagliato bagno. A un certo punto ho sentito un vociare di donne. Solo in quel momento mi sono accorto di aver fatto una stronzata. Comunque, per non tirarvela a lungo, hanno cominciato a parlare di pompini.»
«Pompini?» trasalì eccitato Mosconi, con un rivolo di bava all’angolo della bocca. «E cosa dicevano, e? Dai, raccontacelo.»
«Ho riconosciuto subito le loro voci. La Brandi diceva che se le fosse capitata l’occasione, un pompino a chi sa lei lo avrebbe fatto senza pensarci due volte. Ma da come vi ho detto, è andata ben oltre. La Piscopo invece ha detto che le faceva schifo succhiare l’uccello degli altri. Lei quella cosa la faceva solo a suo marito.»
«E la Migliaccio?» volle sapere Mosconi, con un’espressione tra lo sconvolto e l’arrapato.
«La più sporca è proprio lei» rivelò Ciro. «Ricordo che ha detto: “Mica è la fine del mondo. Bisogna pur fare qualche sacrificio per fare carriera. Se per voi sacrificio vuol dire limitarsi a un pompino…”. A quel punto, la Brandi le ha domandato fino a dove sarebbe stata disposta a spingersi. E sapete che ha risposto?»
«Cosa?» chiesero in coro i due.
Ciro fece segno di tre.
«Una cosa a tre?» trasalì Romano.
«Che zozza!» esclamò Mosconi.
«Dici bene. Una gran zozza.»
Poi Romano imbastì un’espressione seria, anche se con molto sforzo. «Se io fossi una donna, una cosa del genere non la farei mai.»
«Nemmeno io» fece Mosconi.
Ciro Scotto, in totale disaccordo, chiarì subito la sua posizione. «Se io fossi una donna, sarei una gran mignotta. Ma vi rendete conto? Le donne c’hanno un tesoro in mezzo alle gambe, e la maggior parte di loro non se ne rende ancora conto.»
«Effettivamente è un dettaglio che non va trascurato» osservò Romani, «un deterrente da sfruttare però solo in casi estremi.»
«Ragazzi, siamo seri» s’incavolò Ciro. «Per 500 euro in più al mese, a Morabito gli do pure il culo.»
I due scoppiarono a ridere.
Anche Ciro si mise a ridere, ma nel suo sorriso c’era qualcosa di perverso; un ghigno che rivelava la sua natura corruttibile.
Romano tornò di nuovo serio. «Spero tu stia scherzando.»
«No» replicò prontamente Ciro.
«Fai schifo» se ne uscì disgustato Mosconi.
La pausa caffè era terminata.
La paranza si sciolse.
Dopo quei discorsi, a Mosconi era salita una gran voglia di spararsi una sega. Ma doveva trattenersi e aspettare di fare ritorno a casa.

Sei mesi dopo.

Morabito era lì, come un cavallo selvaggio, pronto a castigare la sua preda. Davanti ci aveva il culo bianco formaggino e pieno di peli di Ciro Scotto. Il poverino era terrorizzato. Ma ce l’aveva voluto lui.
«La…la…pre…go, do…t…tore» balbettò. «Ci avrei ri..ri..pensato.»
«Nemmeno per sogno, Scotto. Non può tirarsi indietro. Troppo tardi.»
Ciro si voltò e continuò a supplicarlo.
«Tenetelo fermo» comandò Morabito ai due energumeni.
I due afferrarono Ciro, e lo tennero fermo contro il tavolo, aspettando che il Gran Capo passasse all’esecuzione.
Il poveretto sudava freddo.
Il cuore gli marciava in petto come un tamburo.
Sentiva che stava per svenire.
Meglio.
Schizzato com’era, Morabito lo avrebbe castigato anche incosciente.
Non se ne sarebbe nemmeno accorto.
I gorilla continuavano a tenerlo forte.
Aveva il culo gelato e il buco stretto e tirato come quello di una formica.
Se Morabito sceglieva di andarci piano, come minimo ne avrebbe sentito gli effetti per una settimana. Il pensiero che lo schizzato ci provasse gusto nel vederlo soffrire, gli fece immaginare il peggio.
Ciro aspettava solo di svenire. Di crollare a terra. Di sprofondare nel mondo dei sogni. Sentiva che c’era vicino. Molto vicino.
Ma quando cazzo sveniva?
Provò un ultimo tentativo. «La prego, mi lasci andare.»
«Spiacente» replicò imperterrito come un boia Morabito. «Colpa dei tuoi amichetti che hanno messo in giro questa storia dei 500 euro. Dovevi aspettarti che quei senzacervello non avrebbero tenuto la lingua a freno. Sei stato un ingenuo. E io ho deciso di volerti aiutare. I 500 euro in più al mese te li voglio dare.» E iniziò a smascellarsi con un desiderio sadico stampato sulla faccia. «Sei stato tu a dettare le condizioni» continuò a infierire.
«Verbali, solo verbali» provò a giustificarsi Ciro.
«Verbali o no, io sono uno che mantiene sempre le sue promesse.»
Morabito si lanciò come un mulo.
Ciro non svenne.
Zac. Pochi minuti e fu tutto finito.
Il povero Ciro Scotto tornò placidamente alla sua scrivania, con un aumento di 500 euro al mese e una nuova storiella da raccontare.
Quando si mise a sedere, coraggiosamente, si limitò a una smorfia di dolore.