Christmas dinner
Era acquattato sulla poltrona in finta pelle nera con la faccia rivolta allo schermo del computer situato al centro di una scrivania in noce antico.
Gli occhi gli dolevano per la fluorescenza emanata dall’apparecchio che rendeva la cute delle mani colore azzurrognolo biancastro.
Eppure sembrava accorgersi di nulla, nel tempo speso a comporre parole per risposta ai commenti lasciati dagli amici e lettori all’ultimo racconto edito sul “Blog”.
Frasi di circostanza. Tipo: «Grazie per la visita. Sì! Una visione onirica infarcita di ossessioni».
La moglie lo chiamò dalla cucina: «Carlo, mi daresti aiuto?», domandò dolcemente, «Sono in ritardo col preparare la tavola», precisò per non innervosirlo.
Erano quasi le sette di sera e c’erano tante cose daffare prima che arrivassero gli invitati.
«Un attimo soltanto! Finisco di ringraziare gli amici. Sai: l'ultimo lavoro... ». Rispose Carlo.
“Era mai possibile?” Si domandò Maria. Sempre impegnato con quella passione: scrivere racconti dell’orrore! Sbuffò:
«Sì amore. Il tuo raccontino è andato assai bene. Lo so! Me lo hai detto!». Disse a mo di cantilena, dondolando la testa da un lato all’altro delle spalle.
Poi si corresse.
Del resto quell’uomo aveva bisogno di qualche svago e non c’era nulla di male che perdesse del tempo. “Solo che alla vigilia!”
«Meglio questo che giocare a carte o alle “macchinette” del bar», disse alla fine, tornando a riassettare la doppia tovaglia e distribuito sopra di essa il vasellame.
Carlo rilesse quanto finito di scrivere a “Eleanor”, un grazioso sostantivo in grado di nascondere di tutto. Da una bella principessa, a uno qualsiasi dei sette nani.
Per quanto conosceva di Eleanor, questa poteva essere il lupo di cattivo in cerca di cappuccetto rosso o della nonna; oppure l’orco cattivo di Pollicino, o la dolce fatina di Pinocchio.
Per certo però, era un lettore!
Aveva lasciato un commento e giusto sarebbe stato rispondere. ‐ Da spocchiosi il contrario!
«Sono davvero contento che tu abbia gradito, Eleanor» impilò rapidamente i caratteri sulla tastiera, finché il sistema li fece apparire sulla riga di sotto il racconto, «spero di scrivere ancora parole così belle come mi è capitato di fare oggi».
Quindi continuò:
«Mi siete tutti vicini, grazie!».
La frase pareva andare.
Pigiò il tasto d’invio e passare a leggere il commento dell’amico Adalberto.
Di lui ricordava che fosse a Milano; no, anzi: a Torino, sì. Proprio così! Aveva scambiato con lui dei messaggi parlandone il mese precedente.
«Mi spiace che tu non abbia compreso la storia, o... », scrisse, «per meglio dire: il titolo!».
In fondo si trattava di un semplice thriller:
«L’orrore corre sul filo del telefono non mi era sembrato male e l’ho titolato in questo modo, non per via della bolletta. Siamo in crisi nera, è vero, ma ci gioviamo d’abbonamento alla linea telefonica a tariffe speciali, grazie al cielo!».
Indubbiamente era sulla buona strada, un poco di sarcasmo nel rispondere non avrebbe guastato i rapporti, anzi sarebbe apparso ‐ di settore.
Farsi vedere privi, al contrario, sarebbe stato interpretato come segno di debolezza! «Fai bene a precisare che in realtà non si tratta di un filo come riportato nel testo, ma di un doppino! ». Scrisse con una discreta rabbia e continuò:
«È vero, così come il fatto che tu fai l’elettricista alla Telecom. Non negare! Lo so e comprendo quanto sia duro e noioso il tuo lavoro. A ogni modo è un’intestazione. Nulla di grave! Mi aspetto di risentirti presto. Ciao. Ciao. Carlo».
Lo sollecitò nuovamente la moglie, una donna buona e bella, un poco grassottella e sempre più indaffarata: «Amore?» Supplicò quasi dal corridoio.
«Arrivo!» Rispose lui.
Già sapeva cosa intendeva domandargli e aveva promesso di darle una mano con le cose. Ora però che era giunto il momento, non aveva voglia e intendeva restarsene in pace.
«Sono in ritardo: Aiutami!». Disse stizzita Maria, tornata in cucina e uscendo di nuovo con un cumulo di posate da portare in tavola.
«Sì! Spengo il computer e vengo da te!». Ripeté meccanicamente, quando mancavano poche righe per terminare anche l’ultimo commento.
Del resto sarebbe stato brutto e sconveniente per “Lucifero”: un visitatore mai conosciuto prima, peccare nella risposta. Un gesto “snob”che non era da lui. Decise di dare risposta in maniera veloce:
«No, Lucifero», scrisse, «non c’è pericolo che il virus omicida finisca nella vita reale diffondendosi da internet». Mamma mia quanto doveva essere menagramo quel tipo, solo a pensare possibile una cosa del genere.
«Oggi utilizziamo il wireless. Per questo motivo, ciò sarebbe potuto capitare solo e unicamente anni addietro! Ciao. Stai bene!».
Si girò per scollegare la corrente, e aveva le dita sul pulsante quando si accorse con la coda dell’occhio di un’ombra alle spalle.
Ebbe unicamente modo di sollevare a mezz’aria la risma di carta per la stampa, smazzata ore prima e lasciata di fianco.
La lama d’acciaio del lungo coltello seghettato pensato per tagliare il pane, s’infranse su di essa lacerando diversi fogli del pacco.
«Diamine!». Imprecò rivolto alla moglie:
«Mi vuoi ammazzare?».
«Scusami amore!». Rispose la donna, apparsa subito costernata per l’accaduto e dolorante al polso per il violento rinculo della lama sul cumulo di fogli.
«Non so proprio cosa mi ha preso!» Disse, ed era schietta così s’interpretava dagli occhi dolci, seppure vacui e lattiginosi che aveva.
Carlo si premurò subito di raccogliere il coltello e sistemarlo da parte, al sicuro.
Doveva essere accaduto qualcosa di grave, perché Maria non era mai stata una persona violenta o rancorosa.
Gli venne in mente che la causa dovesse essere esterna. Perciò domandò:
«Dimmi amore con cosa stavi lavorando di là in cucina?».
Era certo di venire a conoscere la ragione dell’assurdo atteggiamento.
«Ho acceso la grattugia elettrica!» Ricordò la donna candidamente, prima di tornare a osservare il vuoto.
«Non fa nulla, amore! Ho compreso!». Esclamò Carlo, aggrottando le ciglia con soddisfazione.
«Mi perdoni allora?» Domandò incerta la moglie. “Era davvero grave il fatto di aver sferrato una coltellata al marito!”
«Certo!» Rispose l’uomo, «è per colpa mia che è accaduto! Continuavi a chiamarmi ed io a ripeterti di darti una mano, senza farlo concretamente. È normale!».
Carlo schiarì la voce, un paio di volte, lasciando intendere di non volerci pensare più.
«Amore mi spiace davvero!».
In definitiva, il marito era proprio tenero. Aveva capito il momento di disagio e ammesso il proprio errore.
In quel momento bussarono alla porta della loro casa.
Fra pochi istanti la tranquilla abitazione immersa nel silenzioso ed elegante comprensorio di città, si sarebbe riempita d’amici e parenti e chissà quanti bambini, venuti con loro a festeggiare la notte di Natale.
Gli schiamazzi e le risate di festa si avvertivano già oltre l’anta imbottita.
«Andiamo di là amore. Ti darò l’aiuto cercato... ». Disse Carlo, avvicinandosi all’entrata con il lungo coltello celato dietro le spalle.
Trascorsa la mezzanotte avrebbe cambiato il titolo al racconto horror pubblicato nel pomeriggio, in: “Il terrore corre sulla linea elettrica di casa”. ‐Sì, gli pareva indubbiamente appropriato.
Smorzate le luci in salone lasciò che il chiarore intermittente dell'albero di natale attirasse gli invitati nella stanza, prima di accostare lentamente l’uscio e richiuderlo a chiave.
Stranamente, seppure ben oliati, quei cardini stridettero a lungo e sinistramente quella notte...