Ciliegi in fiore
Ti ricordi? Quando venimmo a vedere questa casa sulla collina di Torino ce ne innamorammo subito, ma soprattutto ci colpì la grande terrazza coperta, quadrata, comunicante col cucinino. Fu naturale immaginare pranzi e cene consumati lì durante la bella stagione, nel silenzio della natura. L’abitammo quasi subito. Tu al mattino andavi via, a lavorare, ed io trascorrevo la giornata organizzando qualunque cosa per farti felice. La terrazza fu la mia prima preoccupazione: un tavolo con le sedie, una poltrona di vimini, un mobiletto con sopra il giradischi. Io e i miei inseparabili dischi. C’era sempre musica in casa, soprattutto canzoni, le nostre canzoni. Quando da sopra riconoscevo la tua auto che saliva lungo la ripida strada per raggiungere casa nostra, mi agitavo, mi batteva forte il cuore. Controllavo che tutto fosse pronto per accoglierti, perfetto, e la musica fosse quella che preferivi. Imparavo ricette nuove e aspettavo col fiato sospeso il tuo giudizio. Mi nutrivo dei tuoi complimenti, in realtà mi nutrivo di qualunque cosa tu dicessi, facessi, non esisteva niente di mio. Tu potevi decidere la mia felicità o viceversa la mia tristezza solo con un’occhiata, solo con poche parole, o magari con una telefonata: stasera farò molto tardi, non aspettarmi per cena. Come se io avessi potuto cenare da sola, certo che ti aspettavo, ero allenata all’attesa, aspettare era la cosa che sapevo fare meglio.
E’ arrivata finalmente la bella stagione ed oggi il sole splende. Oggi hai mezza giornata libera nel pomeriggio, davvero qualcosa di eccezionale. Ho apparecchiato la tavola fuori in terrazza, ho preparato una pietanza che ti piace tanto e che so mi riesce bene, il bottiglione di vino è al fresco sotto l’acqua corrente nel lavandino, come vuoi tu. La mia vicina mi ha anche dato dei fiori del suo giardino che ho sistemato in un vaso e appoggiato in un angolo del tavolo. Non riesco a stare seduta nell’attesa, continuo a controllare che sulla tavola non manchi niente, continuo ad affacciarmi, sono impaziente di vederti arrivare, e finalmente ecco spuntare la tua auto in fondo alla salita. Corro nel bagno a specchiarmi, sì, tutto a posto. Corro anche a cercare un disco che ti accolga quando entrerai in casa. Trovo Frank Sinatra e faccio partire la musica.
Sono contenta di come è andato il pranzo, sono contenta del pomeriggio che ci attende. Sei sempre così impegnato...oggi è un autentico regalo. Siamo tutti e due affacciati al parapetto della terrazza e mi tieni un braccio intorno alle spalle. Niente altro esiste, niente altro conta. Con immensa dolcezza mi sussurri due parole taglienti come coltelli: ti lascio.
La tavola è ancora apparecchiata e nei bicchieri è rimasto del vino, le posate sono appoggiate disordinatamente accanto ai piatti. Penso che devo sparecchiare. Rimango incollata al parapetto della terrazza, incapace di muovermi o di parlare. Penso ostinatamente che devo sparecchiare. Tu rientri in casa e cominci a radunare la tua roba ed io, no, penso che non è possibile, devo avere capito male, non puoi avermi detto che mi lasci in questa giornata luminosa, splendente, non puoi avermelo detto di fronte a questa distesa di ciliegi in fiore disseminati a perdita d’occhio lungo il pendio della collina.
Non rispondo al tuo “ti telefono” dal vialetto sottostante, non rispondo. Continuo a fissare i ciliegi in fiore che ormai sono soltanto una immensa macchia bianca che danza fra le mie lacrime. E comunque devo sparecchiare.