Come fu e come non fu
Linda Landi 14 dicembre 2018 ·
Lo so, voi pensate ad Antonio [Megalizzi] o ai fatti vostri, ma io, dopo essermi scolata mezza bottiglia di Coda di Volpe, penso a questo.
E così, come fu, come non fu, la sera di un lunedì dei primi di marzo del 2004, mia madre (per telefono?) mi disse che il medico curante di mio padre (che era anche il mio) aveva detto che mio padre doveva ricoverarsi. Si erano recati all'ospedale ed al pronto soccorso non avevano individuato alcun motivo per il ricovero.
E così il giorno dopo mi reco da Carlo, il medico curante, e gli chiedo: "Cosa ha mio padre?". Esco dal suo studio con le lacrime agli occhi e, poiché Carlo ha urlato abbastanza forte in modo che tutto le persone nella sala d'attesa sentissero, tutti mi guardano con tanto d'occhi. Carlo mi aveva dato ad intendere che sospettava qualcosa di serio alla colecisti e, aveva urlato, che quelli del pronto soccorso dovevano essere denunciati per omicidio.
Mio padre si reca di nuovo al pronto soccorso e di nuovo gli negano il ricovero.
Mio padre si reca presso una struttura privata della nostra città e lì il responsabile del settore chirurgia lo assicura che non è necessario alcun ricovero. E' sufficiente una cura che seguirà lui stesso. Questo mi riferisce mia madre due o tre giorni dopo.
Per mia esperienza personale, consideravo quel medico uno 'scarparo' e lo dico a mia madre. "Come!", fa mia madre, "Ha curato tanto bene tuo padre quando fu ricoverato! Ed ha curato tanto bene zia Gina!". Sì, perché fino a pochi anni prima quel responsabile della clinica privata era stato anche primario di un reparto dell'ospedale locale.
"E Carlo che ha detto?", chiedo a mia madre. Mia madre mi lasciò intendere che Carlo avesse detto: "Va bene."
Solo in seguito venni a sapere che Carlo si era stretto nelle spalle con un'espressione dubbiosa del viso.
Perché consideravo quell'ex‐primario di struttura pubblica ora primario di una struttura privata uno 'scarparo'?
Perché nel marzo 1993 mi ero trovata con una pallina da golf che mi era cresciuta internamente sotto al mento. Non me ne ero curata. Stavo seguendo un corso a Roma per il quale avevo ottenuto la quarta in graduatoria su trenta borse di studio e non avevo tempo. Il mio allora fidanzato diceva ai miei: "Oh, volete vedere di che si tratta?", ma solo dopo la morte del padre del mio allora fidanzato, mio padre andò in panico e, probabilmente mi portò dal responsabile di reparto di questa struttura privata. Questi mi dette appuntamento per un'ecografia. Era la prima volta che sentivo parlare di ecografia. Con questa ecografia mi recai alla clinica Eastman di Roma, probabilmente consigliata da un conoscente di mio fratello maggiore che lavorava a Roma.
Quando il medico della Eastman vede le ecografie, le lancia in aria chiedendo: "Ma chi le ha fatte queste ecografie, un pagliaccio?" E mi spiega cosa deve fare un vero ecografista. Ne dedussi che il responsabile del reparto della clinica privata del mio paese aveva comprato il macchinario e lo usava senza la dovuta preparazione.
Quando nel '99 conobbi il dottor Silvio Pignata capii la differenza tra chi usava il macchinario per le ecografie tanto per farlo ed un vero e competente ecografista.
Ma non finisce qui. Il responsabile della clinica privata mi sottopose anche ad ago aspirato.
Mesi dopo, quando finalmente, finito il corso, mi decisi a farmi asportare la palla da golf , dopo l'intervento, ed accertata la natura rassicurante di quanto era stato asportato, mio padre mi riferì che il primario del reparto del I Policlinico di Napoli aveva chiesto: "Ma chi ... ha fatto l'ago aspirato? Per fortuna era una formazione benigna! Altrimenti avrebbe fatto diffondere le cellule malate per tutto l'organismo!".
Quindi avevo le mie buone ragioni per pensare che quel ex‐primario di struttura pubblica, ora responsabile di struttura privata, era uno 'scarparo'.
Cinque, sei giorni dopo, mio padre si ritrova ricoverato d'urgenza nell'ospedale locale. Questa volta i medici del pronto soccorso non gli hanno negato il ricovero.
Vengo a saperlo mentre mi sto recando a Monte Sant'Angelo, alla 'Federico II' per il primo esame di uno dei due corsi di specializzazione che sto seguendo. Mi fermo più volte sulla corsia di emergenza della A30 per telefonare e capire cosa stia succedendo. Alla fine decido di proseguire ed andare a sostenere l'esame. Un inaspettato 30 e lode. Soprattutto la lode. La docente ha deciso di darmela all'ultimo momento. Quel risultato sembra indispettire una mia compagna di corso. In seguito mi chiede di vedere la relazione che avevo presentato per quell'esame. Gliela invio. E dopo la mia compagna non ha più niente da recriminare.
Due, tre giorni dopo i medici del reparto ci dicono quello che ci devono dire.
Riferisco a Carlo che è sollevato: "Meglio così. Io avevo pensato ad un tumore della colecisti ed il tumore alla colecisti è molto aggressivo."
I medici del reparto si prendono cura di mio padre come se ne devono prendere cura e mio padre, ricoverato un giovedì dell'ultima decade di marzo, viene dimesso un lunedì della prima decade di maggio.
Mio fratello che vive e lavora a Roma è qui e mi dice di andare al lavoro: "Vado io a prendere papà. Tu dovrai prendere giorni di permesso per seguire la situazione nei giorni a venire."
Nel pomeriggio mi telefona: "Al reparto mi hanno detto che tra qualche giorno devi telefonare per farti dire quando papà deve iniziare la terapia".
Faccio passare qualche giorno e telefono. Mi risponde una voce perplessa: "Deve esserci stato un equivoco: telefoneremo noi".
[to be continued]