Confessioni di uno zerbino del sesso
Erotico. Confessioni gay incestuose. Solo per adulti.
I desideri hanno questo di brutto,
che ci sottomettono agli altri e ci rendono schiavi.
Anatole France
1
Cinque anni fa ho sposato Mary, una ragazza molto speciale. Abbiamo anche avuto una bellissima bambina ma, purtroppo, l’intesa sessuale tra di noi è stata sempre scarsa: troppi silenzi, troppi desideri taciuti, ognuno di noi credeva di non potersi aprire con l’altro, finché, una notte che eravamo soli in casa, Mary non decise di prendere in mano le redini del nostro ménage.
Tutto iniziò a letto.
Facevamo all’amore sempre più di rado per i soliti, mille problemi di ogni famiglia ma, quella sera, stando da soli, mia moglie decise di prendermelo in bocca ed io non potevo che esserne estasiato. Mary quella volta si spinse oltre ... invece del solito rapporto quasi meccanico cui mi ero abituato, mi succhiò con vigore e, cosa mai fatta, m’infilò ripetutamente le dita nel sedere, una, due e, infine, tre. A mia volta non volli fingere e allora mi lasciai andare, godendomi una penetrazione segreta ma tanta desiderata.
Continuammo a fare sesso in maniera sfrenata, con Mary che si decise a trattarmi come meritavo (e desideravo) e cioè: uno schiavo da umiliare a tutti gli effetti.
Arrivai per ben due volte, e la seconda Mary pretese che leccassi il mio stesso sperma dalla sua pancia, naturalmente si accorse che lo facevo con avidità e piacere.
Quella notte parlammo a lungo e dopo quella chiacchierata, tutto cambiò tra di noi.
Presi il coraggio a due mani e nel buio della stanza da letto, le raccontai della mia gioventù.
2
Ero figlio unico. Un ragazzo introverso e solitario, e vivevo solo con mamma. Di nascosto, nei lunghi pomeriggi invernali, a volte mi dedicavo alla masturbazione e, per renderla più piacevole, solevo indossare indumenti di mia madre; camminare per casa con le sue scarpe e indossare calze da donna. Una volta mi aveva dato dei collant da buttare via, ma io li nascosi. Li ho poi usati per tanto tempo, a volte li annusavo anche perché erano ancora impregnati dell’odore, tanto desiderato, di umori femminili.
Avevo una zia in campagna e passavo spesso l’estate da loro. La figlia, mia cugina, frequentava solo altre ragazze, quindi mi dovevo adattare ai loro passatempi tipicamente femminili. Un anno, eravamo ormai grandicelli, cominciammo a rintanarci nella rimessa del trattore che d’estate restava sempre fuori.
Qualche volta ci incontravamo lì anche di notte, quando tutti dormivano e, un po’ per gioco, un po’ per sfida, una sera organizzammo uno spogliarello, interpretato da me.
Le ragazze rubacchiarono lingérie dai cassetti di casa, mi vestirono e mi truccarono.
Poi, complice la musica di un vecchio mangianastri, mi esibii per loro, esagerando ogni movimento e sculettando, sui tacchi alti di un vecchio paio di scarpe da sposa.
Il gioco era naturalmente malizioso e, alla fine, le ragazze applaudirono, fischiarono e, le più scaltrite, mi toccarono il pube o mi schiaffeggiarono le natiche seminude.
All’improvviso un rumore esterno ci spaventò e il consesso si disperse nella notte settembrina.
Il giorno dopo, però, la rimessa era chiusa da un vecchio catenaccio; tememmo una ramanzina ma non accadde proprio nulla.
3
Passò un anno ed io, eccitato dai ricordi, aspettavo l’estate pieno di speranze. Le cose, però, andarono diversamente dai miei desideri e potei raggiungere la casa della zia solo a fine Agosto.
Le ragazze non c’erano per una vacanza comune; solo mia cugina non era partita perché si era beccata la varicella.
Nonostante mi snobbasse, fingendosi donna, quando le chiesi se ci saremmo potuti vedere la notte, rispose laconicamente: “Forse ... ”
Quella sera a cena, però, lo zio, un omone sulla sessantina con i baffi all’antica e certe mani robuste da far paura, si tenne lontano dal fiasco di vino.
‐ Stasera devo guidare – disse perentorio, col solito ghigno scanzonato che lo contraddistingueva.
‐ E dove devi andare? – disse mia zia abbastanza sorpresa.
‐ Oggi ho parlato con Antonio e gli altri ... facciamo a turno un giretto, la sera, per cercare di beccare la volpe ... ricordi? Te lo dissi domenica. Sta facendo strage di galline e conigli. –
‐ Mah – replicò zia – spero che sta’ cazzo di volpe non si trovi in paese, nel vicolo alle spalle dell’Osteria! – e guardò torva mio zio, che sbuffò, mentre fuggiva con gli occhi da un’altra parte.
‐ Sempre malfidata tu, eh? – disse – Ti sbagli, come il solito ... anzi ... – finse di guardarsi intorno innocentemente ‐ Ecco, mi faccio accompagnare da tuo nipote, va bene? – la guardò trionfante – così ti togli tutti i grilli dalla testa. Poldo, stasera si va a caccia: sei contento? –
Non ero contento e detestavo la caccia ma ormai mi aveva incastrato.
‐ Vado a preparare la macchina! – poi, allontanandosi: ‐ Mariarosa, dormi con la mamma, così quando torno mi arrangio nella camera tua e non vi sveglio. –
La ragazza ed io ci lanciammo uno sguardo deluso, svaniva ogni ipotesi di incontro clandestino.
Verso le dieci, fattosi buio, zio mi piazzò in mano un pesante fucile a doppia canna.
La vecchia Alfa ci aspettava e in pochi momenti superammo il cancello, avventurandoci tra i campi e i vigneti, per stradine sterrate che solo chi le conosce può ricalcare.
Dopo un quarto d’ora di perlustrazione, mio zio che non aveva detto una sola parola, si fermò in uno spiazzo circondato da vitigni, lontano da ogni fattoria.
‐ Vado a pisciare, Poldo – disse disinvolto – se ti va, scendi pure tu. –
Non avevo molta confidenza con lo zio ma mi sembrò giusto mostrami maschio ... uno di quelli che sputano e fanno la pipì dove gli capita. Quindi scesi, muovendomi tentoni nel buio.
Poi lui si appoggiò alla macchina e con lentezza accese uno spezzone di Toscano.
‐ Hai mai visto tante stelle? – disse lo zio guardando in alto.
‐ Che meraviglia! – dissi incantato. Eravamo appoggiati alla macchina, uno a fianco all’altro ma ero troppo giovane per apprezzare il panorama e mi stavo già annoiando.
Però, le parole che pronunciò, con determinazione, poco dopo mi fecero mancare il terreno sotto i piedi:
‐ Ma tu non ti vergogni a vestirti da femmina? –
Il mondo mi precipitò addosso, capii tutto all’improvviso e capii che lo zio doveva averci spiato l’estate precedente, durante le nostre bravate da adolescenti.
Avrei voluto fuggire ... ma come ... e dove? Me ne restai in silenzio, rosso e turbato.
‐ Non fartene un dramma – disse lo zio – non lo dico a tua madre! – spense accuratamente la cicca sotto la scarpa ‐ Però, ti voglio vedere bene stasera, ok? – e così dicendo estrasse dal cruscotto della macchina una specie d’involtino scuro. Erano due calze autoreggenti, sicuramente nuove, ma senza confezione e delle mutandine nere, a perizoma.
‐ Siediti dietro, fammi vedere come ti metti queste cose da femmina. –
Ero confuso e pieno di vergogna, una lacrima di rabbia scese sulla mia guancia, rendendomi ancora più femmineo agli occhi di quell’uomo burbero e aggressivo.
D’accordo: avevamo giocato a fare lo spogliarello, ma in fondo non era successo niente di grave.
Un’altra emozione s’impadronì di me quella notte: la paura.
Non potevo prevedere le sue intenzioni!
Dovette leggermi nel pensiero, perché si affrettò a spostare il fucile nel cofano dell’auto.
Allora montai dietro, con le portiere aperte, mi spogliai obbediente e iniziai a indossare le calze nere, velatissime, una dopo l’altra, con la stessa esperienza di chi quel gesto lo conosce a menadito.
‐ Ora cambiati le mutande, ragazzo. – disse lui, guardandomi alla luce delle due piccole lampade di cortesia.
Rosso come un peperone, pregavo solo che quella notte indecente passasse in fretta.
Il mio pene, già per natura non eccessivamente sviluppato, in quel frangente si era talmente ritirato da poter essere comodamente contenuto nel piccolo triangolo di stoffa, di quelle mutandine tipicamente femminili.
‐ Ti vanno queste? – disse mentre mi porgeva un paio di scarpe da donna, molto fashion, con i tacchi alti e il cinturino alla caviglia.
Sbuffai, prendendo quelle scarpe da puttana, ma le indossai facilmente.
‐ Scendi, ragazzo ... fatti vedere ... – la voce dello zio non era burbera, al contrario, quando mi feci coraggio e scesi dalla macchina, mi accorsi che ammirava compiaciuto le mie forme.
Si guardò intorno furtivo, poi accese una lampada portatile e m’illuminò, studiandomi dal petto in giù.
Mi misi in bella mostra, sfidandolo: ero molto contrariato. Volevo lo capisse.
Pensai che l’uomo, adesso, mi avrebbe beffeggiato e mortificato ... speravo solo non preparasse qualche brutto tiro, magari abbandonandomi lì, in quello stato umiliante, ma le cose andarono diversamente.
4
Lo zio mi passava la luce su tutto il corpo, le calze che aveva scelto per ferirmi l’orgoglio, erano di un modello un po’ retrò, però devo ammettere che mi stavano bene.
Provai un lieve risentimento verso il mio cazzo; mi sarebbe piaciuto sfidare quel vecchio contadino con un’erezione potente ma la paura e il fresco della sera mi bloccavano.
‐ Bravo, ti stai comportando bene! Proprio un bel ragazzo ... – poi aggiunse ‐ Qua è fresco, torna in macchina, sarà meglio! ‐
Ora che mi rilassavo, un calore perverso mi saliva per la schiena: non avevo mai provato con tanta violenza e realismo le sensazioni dei miei sogni.
La mia volontà era annullata: quell’uomo mi aveva in suo potere e mi comandava come uno schiavo. Quando fui disteso a pancia sotto sul sedile, in attesa, scariche di piacere puro si impadronirono del mio essere. Lui dal sedile anteriore, voltato verso me, iniziò a carezzarmi tutto il corpo, anche la schiena e la nuca.
Infilava con cura le grosse mani sotto la maglia, con premura e attenzione, come se temesse di rompermi.
Durò a lungo quel gustarsi il mio corpo, credo che lo desiderasse da tempo ... ma non lo seppi mai, era un uomo di poche parole. Passandomi tra le cosce divaricate, raggiunse il mio pacco: mi teneva in mano le palle, e parte del pene, e quindi si accorse che iniziavo a eccitarmi.
Dopo un po’ scese e si spostò sul retro; lo sentii armeggiare con la cintura, cominciai a intuire che voleva un rapporto sessuale con me.
Sarebbe stata la prima volta e non sapevo come sarebbe andata, ma ero eccitato, e molto.
L’uomo si mise in piedi davanti a me dal lato del viso e, con la mano, mi sollevò delicatamente il mento. Vidi nella penombra il suo cazzo.
‐ Lo prendi in bocca? – chiese lui, con una semplicità che mi smontò.
‐ Non so zio, non l’ho mai fatto. –
‐ Vuoi provare a succhiarmelo o ti fa schifo? – le parole crude e la voce roca contrastavano violentemente con la delicatezza della sua domanda.
Non volli contrastarlo:
‐ Non lo so ... che dovrei fare? –
‐ Bacialo ‐ disse lui convincente – poi, se ti va, te lo metti in bocca. –
Il cazzo era abbastanza in tiro, ma non durissimo, sulla punta la pelle del prepuzio era molle e larga, lasciandone fuoriuscire la testa scura.
Quando trovai il coraggio per accostarmi con la bocca alla punta del membro, era bagnato di un liquido vischioso e trasparente, insapore, quindi, visto che ormai ero eccitato anch’io, nel baciare, succhiai delicatamente per assaggiarlo con la lingua.
Lo zio sussultò di piacere elettrico al primo contatto
‐ Bacialo anche qui – disse il vecchio, sollevando il cazzo verso l’alto con la mano, tanto che mi trovai di fronte la sacca con le palle, grossa e carnosa, marrone come quella di un negro.
Presi lo scroto da dietro e uno per volta, introdussi tra le labbra i suoi coglioni morbidi.
Fare un pompino!
Ecco: già pensare alla parola, mi portava all’ebollizione dei sensi.
Abbandonai ogni remora e iniziai a cibarmi di quel cazzone d’uomo vero, maturo.
‐ Sei una meraviglia, ragazzo ... – disse lo zio dopo un po’, poi a bassa voce:
– Mettiti giù, adesso ... –
Si staccò con rammarico dalle mie labbra, con una carezza sulla testa, lieve ma decisa.
Mi sdraiai, voluttuoso e in attesa, rilassandomi.
I passi dello zio intorno all’auto mi avvertirono del cambio di posizione; infatti, si spostò dietro, venendomi alle spalle. Si abbassò su di me e, a sua volta, con le labbra spesse e dure, mi baciò tutto il corpo, finché non affondò il naso e la bocca dietro di me.
Con la lingua raggiunse la radice del pene, sotto lo scroto, poi risalì e sempre con la lingua mi leccò tutto il sedere, senza curarsi del filo di cotone del perizoma nero. Intuii cosa volesse farmi e ne fui abbastanza terrorizzato ma, alla fine cosa potevo fare? Ero in balia di quell’uomo adulto e deciso: dovevo subire.
5
L’idea dell’umiliazione che mi attendeva mi scaricò adrenalina nella testa, facendomi trasalire. Abbandonarmi sul sedile in attesa del mio destino, era un piacere cui non avrei mai più saputo rinunciare.
“Ecco, ci siamo!” pensai.
Lui si stava stendendo sopra di me; ora sentivo distintamente il bitorzolo del suo glande strisciarmi sulle calze di seta, fino a raggiungere lo spacco tra le mie natiche.
Puntellato sulle ginocchia, non mi pesava. Con la mano grossa e robusta, mi sollevò il bacino leggermente affinché m’inarcassi meglio, per favorire la penetrazione.
‐ Tieni questo così – m’ingiunse, spostando l’elastico verso l’esterno della chiappa destra; lo agganciai subito con le dita della mano, per liberare “il campo” da ogni ostacolo ...
Si schiarì la gola come se tossisse, invece si sputò tra le dita un certo quantitativo di saliva che adoperò per lubrificarmi il culo ... gli attimi che passavano erano ritmati dal battito del mio cuore, mentre aspettavo quella temuta ma desiderata, profanazione finale.
Ne ero certo, niente avrebbe potuto evitare che quella notte io venissi potentemente inculato: la vergogna per la mia cedevolezza a quel destino, era un ulteriore fuoco che rendeva quel momento estremo, indimenticabile.
A scuola, per strada, davanti a mia madre ... non sarei stato più lo stesso, avrei celato in cuore un segreto inenarrabile: ero stato inculato da mio zio sul sedile di una vecchia macchina, come una baldracca qualunque.
Più ci pensavo, più il piacere m’inebriava con una morsa crudele e dolorosa, bloccandomi il plesso solare, bucandomi la pancia.
Intanto lo zio si avvicinava al suo scopo, infatti, un istante dopo, scattai come una molla verso il davanti, divincolandomi ... il dolore della spaccatura era troppo violento per resistere.
Lo zio si ritirò un pochino.
‐ Buono, buono, vedi che ti passa subito ‐ mi sussurrò all’orecchio – rilassati bene, respira. –
Così feci, il dolore lancinante era già sparito, restava solo una forma d’indolenzimento; mi massaggiai le natiche, ormai molli e arrendevoli per l’obbedienza totale che mi ero imposto.
L’uomo riprese il suo attacco. Decisi di aprirmi con le mani, per riceverlo meglio e per provare maggiore vergogna di me stesso.
‐ Uhmmm – emisi un singulto, quando la capocchia dello zio prese possesso del mio sfintere, allargandolo esageratamente e per sempre.
Contrariamente a quanto mi aspettassi, lo zio uscì nuovamente dal deretano e mi diede qualche minuto di tregua, massaggiandomi l’orifizio.
‐ Ecco – mi disse – ora sei pronto ragazzo mio, ti sei bagnato del tuo stesso umore. ‐ Era vero, mi passai le dita nell’ano e scoprii che io stesso avevo prodotto un liquido inodoro, lubrificante, che non sapevo di poter emettere.
Lo zio tornò su di me e pian piano mi penetrò di nuovo, ma senza farmi male.
Avanzò nel budello con una lentezza esasperante, conquistandosi lo spazio nel mio sedere. Mai mi ero sentito così intimamente legato a qualcuno.
Mi tastai: un cordone spesso di carne ci univa, come un tubo, passando direttamente da un corpo all’altro.
Ci girai le dita intono, saggiandolo: era una sensazione stupefacente immaginare che mezzo cazzo di mio zio mi stava tutto dentro. La delicatezza con cui m’inculava era sorprendente.
Da un uomo così materiale mi sarei aspettato un rapporto brutale, invece agiva con estrema dolcezza e cautela, senza traumatizzare le mie carni dilatate.
Anche le sue carezze erano oltremodo delicate, probabilmente avendo le mani callose, deformate dal lavoro di campagna, temeva di farmi male.
Dopo alcuni minuti il pene mi penetrava completamente, e l’andirivieni nel sedere era costante e piacevole. Senza pesarmi addosso, lo zio mi stantuffava preciso, andando su e giù di parecchi centimetri.
A volte, appena penetrato per intero, si fermava tutto dentro, premendo solo col bacino, per farmi sentire il caldo dei coglioni, allora, visto che mi potevo muovere, ero io stesso a ruotare i fianchi sotto di lui, per gustarmi appieno il suo piolo di carne: ormai il cazzo dell’uomo era diventato veramente grosso e duro, però non mi faceva più alcun male, sentivo solo un calore.
A un certo punto, me lo tolse da dietro con un “plop” sonoro.
‐ Sei uno spettacolo, Poldo – disse ‐ Vieni, che voglio farti in piedi. Che culo hai! ‐
‐ E’ la prima volta – gli dissi per fargli piacere. Gli dovevo qualcosa, grazie a lui non avevo più incertezze: mi piaceva fare sesso passivo, subire gli assalti proibiti di un altro uomo.
Con le sue mani irresistibili chiuse il portello e fece sì che entrassi col busto dal vetro aperto. Il mio sedere e le mie gambe slanciate dalle scarpe col tacco, restavano alla sua mercé.
L’umiliazione di doverlo ricevere dietro, senza nemmeno guardarlo in viso, mi diede i brividi.
Lo zio si dedicò di nuovo a me con le mani e con la bocca, deliziosamente; per tenersi sempre in tiro, si masturbava lentamente, finché disse:
‐ Sei pronto, ragazzo? – ma non attese la risposta.
Il suo glande nell’aria notturna mi cercò l’orifizio e lo trovò. Al contatto m’inarcai porgendo meglio il deretano, subito dopo il cazzo entrava trionfale nell’ano e lo zio iniziò a scoparmi come una baldracca da trivio.
‐ Lo sai che eri veramente vergine? – mugugnava lui sempre più arrapato.
‐ Lo sai che sul fazzoletto c’era una macchiolina di sangue? – parlava quasi balbettando per i colpi che m’infliggeva.
‐ Lo sai che t’inculo? Che il tuo sedere è mio? Lo sai tesoro? –e giù colpi profondi nel mio sfintere: ormai, il maschio prepotente era venuto fuori e l’inculata era diventata violenta, profonda e ritmica.
‐ La vuoi la sborra di zio, eh? – chiese, ma senza darmi possibilità di replicare. ‐ Ti vengo in culo, zoccola! Sei la mia puttanella ... – mi tirava per i fianchi, per saldarmi il pene nelle natiche.
Ormai sentivo che era all’acme ... e anch’io.
Mi sentivo una sgualdrina, peggio, un “femminella” vestito come una puttana e trascinato “in camporella” da un vecchio laido ... vergogna e piacere si mescolarono nel mio sangue.
I colpi di cazzo non mi facevano più alcun male e il bruciore dell’ano era parte della goduria ... il mio sedere si incendiava e solo una innaffiata di sborra poteva domarlo.
Fu più forte di me, rinunciai a puntellarmi sul sedile con le mani e me le portai ai fianchi per allargarmi le chiappe ... appena in tempo:
‐ Uhm – mugolò lo zio – prendimi ... sì, prendimi tutto in culo, Poldo ... Siii! – Non ero esperto, ma dalle spinte sconnesse e dai tremiti delle sue cosce incollate dietro di me, capii che stava venendomi dentro.
Si staccò da me poco dopo, ignorandomi completamente:
‐ Andiamo adesso, s’è fatto tardi! – disse.
6
Viaggiammo in silenzio. Un quarto d’ora dopo eravamo presso la sbarra della sua tenuta, la casa era ancora distante un centinaio di metri.
Stavo per scendere ad aprire, ma lui mi fermò con la mano.
Lo guardai senza capire. Senza una sola parola, lo sentii armeggiare con il mio jeans, che avevo appena rimesso.
Il mio coso era a metà, né duro né molle, lo sperma versato nel sedere era ancora troppo presente, troppo vivo, perché perdessi del tutto l’eccitazione.
Sorprendendomi come mai avrei creduto, lo zio si abbassò sul mio cazzo e, senza cerimonie, lo succhiò tra le labbra.
Grossolanamente, ma senza incertezze, lo zio mi stava facendo il primo pompino della mia vita.
Non lo fece mai uscire dalla bocca, lo succhiava di continuo, sentivo il respiro affannoso che soffiava dal naso e il rumore liquido della bocca che pompava. Durò solo pochi minuti, ero troppo pronto a esplodere e lui troppo implacabile nel succhiarmi il cazzo.
Quando capì che ero pronto, mi prese in mano i coglioni, poi continuò l’opera di pompaggio. Il liquido seminale, a lungo trattenuto, sgorgò copiosamente, il ritmo del pompino non cambiò: ricevette l’eiaculazione in bocca senza colpo ferire, come se nemmeno si accorgesse che stavo venendo ... pompava e succhiava, senza fermarsi, fino a quando il pene non fu moscio e lui non ebbe bevuto l’ultima goccia di sperma.
La mattina, dopo una dormita memorabile, trovai diecimila lire sotto il cuscino.
“ Ecco, pensai, proprio come una vera puttana! ” Ma mentre arrossivo, un sorriso malizioso si disegnò sul mio volto e sotto le lenzuola mi cercai il cazzo, nuovamente in tiro.
Epilogo
Questa è la prima confessione che ho fatto a Mary riguardo alla mia gioventù, quando avevo scoperto di provare piacere e vergogna allo stesso tempo a essere usato, umiliato e femminizzato.
Le dissi che odiavo questa mia caratteristica ma che ne ero anche schiavo e, nei periodi di astinenza, il desiderio mi rodeva dentro come un fuoco che non si spegne.
Mia moglie non si scompose ...
Nelle notti successive, quando si poteva, volle sapere tutto, anche nei minimi particolari. In genere si stendeva al mio fianco e mi eccitava tenendomelo in mano: essendo su di giri parlavo con scioltezza e piacere, finché, in un modo o nell’altro, lei mi faceva eiaculare per la goduria e il coinvolgimento.
Una sera che aveva lasciato la bambina dalla nonna, mi disse di prepararmi a una notte speciale e a vestirmi di conseguenza.
Mi gettò sul divano degli indumenti intimi femminili, nuovi, comprati apposta della mia misura. Restai di stucco, anche per la freddezza con cui mi aveva appena trattato. Stavo per dire qualcosa, ma lei mi zittì.
‐ Taci – disse – da adesso le cose cambiano, caro. Io sono la Padrona, tu il mio sottoposto ...
Io decido, tu obbedisci; io sono libera, tu sei schiavo, anzi – disse – con un sorrisetto malizioso – Schiava e troia! –
Si allontanò senza degnarmi di uno sguardo e aggiunse:
‐ Preparati in fretta, sgualdrina! –
Restai sul divano allibito, ma intanto, il subdolo meccanismo del piacere proibito s’impossessava di me ... non avrei saputo né voluto ribellarmi.
E mentre mi vestivo da prostituta, un’eccitazione sordida s’impossessava di ogni mio poro.
Il calore mi salì alle tempie, mentre cercavo di immaginare il mio destino.
Quella notte Mary mi fece capire subito quanto duro e pesante, sarebbe stato il mio percorso e quanto terribile e perfida sarebbe stata lei, come mia aguzzina.
Quando fui pronto, mi aspettavo in un modo o nell’altro di fare sesso con lei, invece mi stupì, mentre in camera indossava una tuta nera di latex.
Senza nemmeno guardarmi mi porse un bicchiere e disse:
‐ Vai in cucina a masturbarti e vieni nel bicchiere. Appena hai finito, torna qui ... col bicchiere, naturalmente! –
Mi smontò e mi fece sentire ridicolo, in corsetto e reggicalze, con le scarpe col tacco nere, mi sentivo inutile e pieno di vergogna a girare da solo per casa in quello stato.
In piedi, come un miserabile, vicino al tavolo della cucina, chiusi gli occhi e feci del mio meglio per eccitarmi con la fantasia.
Riuscii a venire, comunque, e controvoglia mi recai da Mary con la sborra ancora calda in mano.
Lei era seduta, con le gambe accavallate e aspettava ... io non sapevo nemmeno cosa dire, volevo sparire, tanto mi sentivo mortificato in quell’abbigliamento, che addosso a me sembrava volgare e ridicolo.
Passata l’eccitazione, non ero che un uomo peloso con le calze nere e le mutandine di pizzo.
Lei mi squadrò attentamente, mortificandomi ancora di più, poi disse lentamente:
‐ Bevila tutta! –
‐ Adesso? – dissi cercando di prendere tempo.
‐ Sbrigati e taci schiavo! –
Controvoglia alzai il bicchiere e lasciai che lo sperma mi colasse lentamente in bocca.
‐ Lecca il bicchiere! – Capii perché lo aveva scelto largo.
‐ Vedi, troia – disse Mary – ti ho fatto sborrare prima perché tu sei uno schiavo di merda, non sei qui per giocare e godere, ma per subire e soffrire. –
Allora si alzò e mi mise un guinzaglio al collo, poi mi trascinò in bagno, dove un enorme specchio implacabile mi restituiva la mia immagine, squallida, con la bocca impastata di sperma.
‐ Appoggiati al lavandino, puttana. – disse mia moglie – perché voglio vedere che faccia fai mentre t’inculo. –
Mi faceva morire con quelle parole ... avrei voluto fuggire, ma sapevo che sarei stato punito ancora più duramente ... che meraviglia, pensai, assurdamente, mentre la puttana che è in me si preparava a quell’ennesima mortificazione carnale.
Mary prese tra le mani un membro nero, enormemente lungo e spesso e mentre se lo innestava al bacino, accostò, sorridente, il suo viso al mio, da dietro:
‐ Useremo il sapone, come lubrificante, appena si asciuga, brucia di più ... mi raccomando, non strillare troppo forte ... Amore! –
Quella sera capii che ero perduto ... e ne fui intimamente felice.
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