Conti tra cornacchie
Ho un debole per le cornacchie, tuttavia non posso che detestarle con forza, dal profondo dell’anima.
Ammiro la loro cultura, il loro maniacale culto del sapere: pensate che non esista creatura al mondo più pettegola e ficcanaso dell’anziana signorina che abita al secondo piano? credete che i vostri cazzi siano tutti al sicuro, una volta che siete usciti dal raggio d’azione – quel radar micidiale – della signorina del secondo piano? Ovviamente vi sbagliate.
Se pensate che la curiosità più acuta, al limite tra fervido interesse e malata ossessione per la novità, sia una prerogativa esclusiva del genere umano, allora è bene che ripetiate i vostri conti: esistono specie animate da un desiderio di sapere che è tale da far odiare loro qualsiasi brusco cambiamento imprevisto. Una specie che ama sapere tutto quello che succede, alla perfezione. Talmente bene da saper predire anche quel che succederà. Una specie che pur di sapere tutto è costretta a curiosare ovunque.
Pensate alle cornacchie di città, quelle che aspettano con ansia il martedì pomeriggio, quando i cestini dell’immondizia sono colmi e il loro pranzo è pronto per essere servito.
Pensate alle cornacchie di quartiere, del tutto abituate ai ritmi frenetici della città e i loro occhi, un tunnel infinito oltre i confini dell’immaginazione, verso l’inferno e oltre l’inferno.
C’è qualcosa che non abbiano già previsto? Sareste in grado di raccontar loro qualcosa che non sappiano già? Forse sì, forse no.
Una considerazione che mi sento di poter esprimere con certezza è che le cornacchie sono mostruosamente malvagie. Per semplificare il concetto astratto e troppo elastico della malvagità, diciamo che le cornacchie sono aggressive. Non ci trovo niente di strano in questo, perché l’aggressività è un parametro che cresce di pari passo con l’avidità di sapere che un individuo possiede.
Era una mattina radiosa e magnificamente piena di sole, che, nonostante la stagione invernale, riusciva a scaldare il cuore e i pensieri che, di conseguenza, da esso scaturiscono. Un senso di sottile leggerezza mi offuscava la mente. La passeggiata mattutina volgeva al termine quando, imboccato l’ultimo vialetto fiorito che mi separava da casa, sono stato costretto ad assistere ad una scena pietosa che ha risvegliato in me la freddezza della razionalità. Ho dapprima sentito dei lamenti. Non era facile distinguere tra lamenti e grida feroci, poi ho visto in terra che, a pochi metri da me, stava un gruppetto di cornacchie.
Era un gruppetto di circa quattro o cinque esemplari e sembravano tutti giovani e in forma. Queste quattro o cinque cornacchie stavano circondandone un’altra, un altro uccello della loro stessa infima specie.
Tra schiamazzi e frenetici battiti d’ali, il tutto a cercar di mascherare un acuto gridolino di sottofondo, non ci è voluto molto per capire che si trattava di un litigio, un’aggressione (un “battibecco” pensavo, un istante prima che il senso dell’umorismo mi abbandonasse).
La povera cornacchia al centro del cerchio veniva ripetutamente percossa dalle altre che le si scagliavano contro con indescrivibile ferocia.
Mi era sconosciuto, come ovvio, il motivo di tutto ciò; tuttavia, per quanto non conoscessi la storia della cornacchia “aggredita”, consapevole che avrebbe potuto trattarsi della cornacchia più farabutta che i cieli avessero mai ospitato in volo, ho deciso di prendere le sue parti: mi sorpresi a urlare qualche stupida frase intimidatoria e, con fare bizzarro, scacciavo via le aggreditrici e, con esse, la povera vittima.
In un attimo le cornacchie avevano preso il volo, compatte in gruppo tutte insieme. È bastato un attimo e non era più possibile distinguere la vittima dai suoi carnefici.
Tutte le cornacchie allora cominciavano a guardarmi, dall’alto degli alti rami del pino sul quale erano salite. I loro colli inclinati da un lato. I loro occhi di carbone lasciavano trasparire chiaramente il loro stupore misto a irritazione: com’era possibile che uno stupido bipede, così arretrato da non saper neppure volare, costretto così a camminare con fare così goffo, ondeggiando di qua e di là, com’era possibile dunque, che una specie così inferiore riuscisse a sorprendere le loro brillanti menti, a fare loro scacco matto?
Un’ombra di odio attraversò veloce i loro sguardi. Tutto ciò non aveva alcun senso per loro; che motivo avrebbe avuto mai uno stupido umano, che interesse avrebbe mai potuto ricavarne quello straniero, a interrompere un semplice e ordinario regolamento di conti tra cornacchie?
Tutto ciò era incomprensibile per loro, degli esseri incapaci di provare compassione. E li faceva arrabbiare. Li faceva innervosire come non mai. Qualcosa era sfuggito al loro controllo e sono sicuro che anche la povera vittima che avevo salvato fosse, ora, irritata più che mai da questo inspiegabile colpo di scena.
Io, che le sorprese le ho sempre amate, sicuramente non ho gradito quella che quegli uccellacci avevano appena progettato per me: improvvisamente quelle bestie alate si trovavano addosso a me, tartassando il mio corpo ripetutamente, a colpi di becco.
Non riuscivo più a ragionare, stordito dalle percosse. Mentre una mi colpiva dietro, sul collo, ecco che un’altra mi attaccava sopra la caviglia destra e, subito dopo, un’altra mi prendeva all’orecchio mentre due erano riuscite a farmi sanguinare la faccia colpendomi sopra il sopracciglio sinistro. Ero nel panico più totale e il mio frenetico agitare di braccia non aveva fatto alcuna differenza.
In una questione di secondi quelle perfide creature avevano cambiato vittima e allora ho deciso di scappare, sconfitto e incredulo.
Ripensandoci ora, ricordo che, prima di fuggire con la vista offuscata dal sangue che colava sul mio volto, ho notato delle persone affacciate alle finestre dei palazzi intorno a me. Ho scorto delle facce dubbiose, quasi incerte, che sembravano provare compassione per me ma, allo stesso tempo, nessuna di loro sembrava volesse intervenire in mio aiuto. Sembravano spaventate, non volevano ritrovarsi al posto mio, il posto di uno sciagurato che si era messo in testa di turbare la quiete della normalità.