Cosa porta il temporale
Guardavo quello spettacolo dall’ultimo piano del terrazzino, felicemente solo e infelicemente libero. Non pensavo a nulla di particolare, aspettavo il temporale e mi sentivo senza senso, affascinato e impaziente di poter assistere a qualcosa di straordinario e potente. Le forze della natura mi erano parse sempre grandiose e incontrollabili… chi poteva dirlo che da un semplice temporale ne scaturisse una fine del mondo? Un altro lampo
Contai fino a dieci…
E un tuono parve scuotere le fondamenta.
Poi venne il silenzio…
Improvvisamente udii un sibilo e una volata stregata investì ogni cosa che incontrò nella sua via: era aria fredda e umida come il respiro dei defunti… ti faceva venire in mente l’insensatezza della vita e la caducità delle cose.
Si sollevò un enorme polverone di foglie, terra e carta: con un po’ di fantasia ci potevi vedere dentro ogni cosa, comprese delle forme in continuo mutamento che si restringevano e si slargavano come anime inquiete. Il polverone si alzava simile a una tromba d’aria, fischiando e oscurando buona parte degli altri edifici circostanti al mio.
Ma ancora non voleva piovere… c’erano solo folgori e rimbombi di tuono preminenti al caos che ne sarebbe derivato. Osservavo senza la forza di muovermi, con il vento e la polvere contro il viso e una stupida vertigine che mi tentava di unirmi a quella forza distruttiva. Avrei allargato le braccia e via come un aquilone. Sorridevo e mi sentivo un po’ folle, ma era bello così… ti sentivi fare parte integrante di quella tempesta che piegava gli alberi e rivoluzionava il mondo con polvere e disordine.
A un tratto un rumore sordo proveniente alle mie spalle mi fece soprassaltare. Veniva dal buio della mia camera da letto. Raggelai all’istante…
Un lampo illuminò per un attimo l’interno della stanza e in una frazione di secondo ebbi una allucinazione, poiché era in pratica inverosimile spiegare quello che mi parve di intravedere in un angolo della camera. Seppure non volessi ammetterlo mi era sembrato di scorgere una sagoma raggomitolata contro il muro, tra la scrivania e il letto. Doveva essere stato per forza un gioco di luce o il movimento delle tende che sbattevano agitate dal vento contro la porta. Io in quell’appartamento di tre stanze ci vivevo da solo. Intanto il cielo si era fatto ancor più buio.
Non ebbi nemmeno il tempo di razionalizzarci sopra che una voce femminile m’invitò tra le ombre della stanza:
“Perché non vieni dentro? Dai vieni qui da me. Vieni” ‐ c’era qualcosa d’implorante in quell’invito da sirena. Ti rassicurava e ti riempiva di tenerezza.
“Chi… chi c’è.. là…là dentro?” ‐ ebbi la forza di domandare tentando di scorgere la padrona di quella suadente e calda voce.
Cominciò a piovere, gocce rade e grosse come monete.
Tuonò così forte che sentii le mie dita avvinghiate sulla ringhiera del balcone staccarsi di colpo per il timore di finire sotto. Feci un passo avanti verso la mia camera. Non avevo mai creduto al soprannaturale e pensai subito allo scherzo di qualche mia ex fidanzata che si era intrufolata in casa mia per riconciliarsi o per rivendicare qualche torto subìto.
“Chiunque tu sia, non fare la stupida e vieni fuori da lì!” ‐ le intimai avvicinandomi sempre più alla porta senza vedere ancora niente eccetto ombre e tenebre.
“Sono arrivata da molto lontano, e sono stanca e sporca… sono arrivata con la tempesta e non ho molto tempo per fermarmi con te,” ‐ precisò la sagoma avvolta dal buio.
Mi stava salendo una risata isterica… tra un po’ avrei acceso la luce per scoprire chi fosse così stupida da farmi uno scherzo del genere. Non tolleravo solamente quella strana paura che attardava ogni reazione facendomi sentire un idiota spaventato.
Il rumore della pioggia impazzava selvaggiamente... le gocce si frantumavano sulla ringhiera del balcone schizzandomi sulla schiena.
“Non farti pregare, vieni qui da me… desidero solo lavarmi da tutta questa polvere. Ho poco tempo e devo rimettermi in viaggio per altri luoghi” ‐ mi supplicò.
“Accendi la luce e fatti vedere!” le ordinai con tutto il pragmatismo che possedevo.
E la luce si accese davvero… e finalmente vidi ciò che di più inconcepibile e bello non potessi mai immaginare.
Era una donna.
Era nuda.
Ed era ricoperta di polvere dalla testa ai piedi. Polvere secca e grigia.
Se ne stava lì, sotto il cono di luce della lampada della scrivania, seduta con le spalle contro il muro, sorridente e piena di una dolcezza che si amalgamava alla perfezione con quella sua voce da bambina triste.
Ci possono essere diverse risposte all’assurdità che stavo vivendo, forse qualcun altro al mio posto sarebbe morto di paura, forse si sarebbe gettato giù dal balcone o magari avrebbe assalito quella sconosciuta, ma la mia mente era immune dall’ignoto mondo magico dei fantasmi, così entrai e con coraggio la osservai tentando di scorgere sotto la patina della polvere qualche lineamento conosciuto.
M’inginocchiai dinnanzi e le sfiorai una mano… non so perché lo feci, ma standole così vicino c’era qualcosa in lei che t’inteneriva. La sua mano era solida e non era un’apparizione.
Mi piaceva e non scorgevo in quegli occhi senza colore nulla di negativo o d’insano.
“Non so chi sei, ma alzati che andiamo a lavarti… e poi mi racconti da dove diavolo sei sbucata fuori” ‐ dissi pieno di premure.
La donna sorrise e sporse la mano impolverata. Mano nella mano, mi seguì lungo il corridoio fino al bagno in silenzio, camminandomi a fianco con una leggerezza spettrale.
Un tuono echeggiò tra le pareti.
Presi un asciugamano, del sapone e una spugna, aprii il rubinetto della doccia e per nulla turbato da quella perfetta nudità cominciai a insaponarla tutta, accorgendomi che, via via che acqua e sapone eliminavano lo spesso strato di polvere, i miei sensi si animavano dal desiderio di possederla.
“Mi piace come mi lavi, sai?” ‐ sussurrò tra lo scrosciare dell’acqua finché mi resi davvero conto che sotto la doccia c’ero finito anch’io, vestito e assalito da una voluttà che non avrei mai ritenuto possibile per uno spirito indifferente come il mio.
Ci baciammo a lungo e per tutta la durata di quel temporale eterno ci amammo senza scampo.
Ci rincorremmo nudi in ogni stanza, felici e vivaci, instupiditi dall’innocente gioco dei sensi, eravamo in preda a una lussuria di meraviglie… non c’era più polvere, non c’era mistero, c’era solo un uomo e una donna che si amavano.
Fuori diluviava in una notte troppo nera, i tuoni facevano tremare i muri, i lampi tagliavano da ogni parte spazi di cielo e nubi, e fiumi d’acqua sembravano trasformare la città in una laguna. E noi senza dire una parola, instancabilmente ci congiungevamo in amplessi dolci e furenti, ci scambiavamo i codici dell’amore, c’incantavamo con gli sguardi e ci disincantavamo con gli eccessi. Eravamo come animali, come creature senza colpa che ridevano in faccia a Dio per la sua totale indifferenza. Eravamo orfani di tutto. Liberi e leggeri.
Ovviamente ogni cosa finisce o si trasforma in qualcos’altro…la notte stava schiarendo portandosi via anche quell’interminabile temporale. I tuoni si allontanavano e i fulmini impallidivano lontani all’orizzonte.
“Ora devo andare via” ‐ mi disse la donna scostandosi da me. Si alzò dal letto e di lei rimase solo la forma del suo corpo nelle lenzuola arruffate.
“Va bene” ‐ acconsentii con il cuore incancrenito.
“Sappi che non ci vedremo mai più” ‐ sottolineò tristemente dalla soglia della porta del terrazzino.
“Lo so!”
E quando l’ultimo debole tuono salutò l’alba, lei lo cavalcò, o così mi piace pensare, e se ne andò per ritornare polvere e tempesta.