Cuore di sognatore
La luna brillava stagliando la sua forma di falce nell'aria tersa del cielo notturno, come pronta a tagliare quel lenzuolo scuro dietro cui si nascondono da sempre inimmaginabili segreti.
Una terrazza all'ultimo piano è quello che ci vuole in certe notti. Dario, a luci spente, stava con gli occhi fissi contro il cielo infinito, quell'infinito che ogni volta gli faceva venire idee strane e meravigliose, immagini e sensazioni che non conosceva ma che sentiva sue.
Uno sguardo all'orologio: mezza notte, l'ora delle streghe e dei fantasmi. Si volse intorno per vedere se qualcuno di loro non fosse per caso passato a trovarlo… Niente. Il guaio è che quelle creature esistono solo in un mondo che è dentro di noi.
Introdusse un cd nel lettore, si sdraiò sul divano a dondolo e con Santana in sottofondo e le stelle per compagnia, attese che Morfeo lo chiamasse dal mondo dei sogni. Nel frattempo pensava che il bello della fantasia è che ti riempie la casa di gente anche quando non c'è nessuno. Chissà, magari su qualcuna delle stelle che stava guardando c'era qualcun altro che quella notte non dormiva… Chissà su quale...
All'una, di Morfeo neanche l'ombra e siccome il disco era finito e di far cruciverba non aveva voglia, per non parlare della TV, decise di uscire a prendere un po' d'aria notturna.
Il suo appartamento era al quinto piano e stava per prendere l'ascensore come al solito, quando realizzò che non c'era alcuna fretta, nessun impegno da rispettare, poteva prendere tutto il tempo che voleva. Optò per le scale.
Il rumore dei passi sul marmo scandiva i piani mentre per i corridoi si spandeva un'aria ‐ un'impressione forse ‐ di qualcosa di sacro, di intimo, sebbene ai suoi passi non facesse eco che il silenzio. Pure, ciò evocava nella sua mente un coro di voci, una ridda di impressioni, immagini. Era come se ogni porta raccontasse la sua storia con voce calma, discreta e riservata.
Ognuna di quelle porte chiuse suscitava in lui la sensazione di un che di vivo e pulsante. Tra tutte però, una voce in particolare sovrastava le altre, anche se egli riuscì a sentirla veramente solo quando vi fu davanti: quella del portone. Era come la prima pagina di un giornale, non raccontava una ma dieci, cento, mille storie, tutte custodite in quel mondo ovattato e muto che si trovava oltre di esso: le strade, di notte.
Fuori lo accolsero l'aria fresca ed il silenzio, quest'ultimo ora molto più grande, una specie di enorme coperta sopra la città. Qualche macchina, ogni tanto, passava frettolosa, incurante del limite di velocità, descrivendo il suo passaggio nell'aria con scie luminose, che svanivano dalla vista per rimanere, ancora per un istante, immagine residua nell'occhio abbagliato, mentre il cupo rombo del motore diveniva un'eco sfumata in lontananza.
Nessun pensiero, nessuna frase, nessun ricordo gli veniva in mente. Solo quell'enorme rispettoso silenzio da cui si sentiva avvolto. Giunto ad un incrocio sorrise al semaforo che ripeteva il suo discorso colorato alla strada vuota e gli venne da pensare che neanch'esso dormiva, nella fissità dei suoi tre occhi alterni. Passando accanto ad una fontanella gli venne di bagnarsi la gola: il getto prepotente gli inondò la faccia e qualche goccia lo fece rabbrividire scivolandogli giù per il collo. Anche l'acqua era lì, imperterrita, costante, nonostante l'ora. Si guardò attorno: tutto era lì come sempre. Non smettevano di esistere quando la gente andava a dormire, la strada, il semaforo, l'acqua, i lampioni.
Forse, pensava, era lui che se ne andava mentre le cose rimanevano al loro posto… Ma le cose non imparavano, non cambiavano, lui si… Chissà quante persone erano passate negli ultimi…toh…vent'anni.
Venti anni. Un'eternità a pensarli tutti insieme, un attimo a viverli giorno per giorno… E chissà quante cose erano cambiate… come certo era cambiato chi era passato di là…
Il mondo era sempre stato lì, intorno a lui e sempre ci sarebbe stato, dopo di lui. E parlava, a modo suo, aspettando solo che qualcuno si fermasse ad ascoltarlo, come Dario stava facendo in quel momento. Ad ascoltare la Storia Infinita, l'eterno giro della Ruota della Vita.
Camminò ancora un po' ma, chissà perché, sentiva di aver finito, di aver capito qualcosa di nuovo, una specie di nuova lezione: la lezione del silenzio. Ora non doveva più ascoltarle, le mille voci del silenzio, se le sentiva dentro come una confortante compagnia. E il pensiero di essere sempre in moto, anche quando i sensi dicono il contrario, lo rese sereno: si sentiva semplicemente felice di far parte dell'Universo, come le stelle che brillavano lassù in alto sopra la sua testa, di far parte della Vita, felice di esistere.
Questo fu il pensiero che lo riportò a casa e che gli chiuse gli occhi, come la carezza premurosa di una persona amata.