Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?
‐Non ce la farò mai. –
Pensai ad alta voce. Avevo trascorso due ore e quarantacinque minuti a osservare la riproduzione del quadro di Gauguin, posto sopra il mio pianoforte della mia camera dove studiavo in quelle giornate in cui non potevo recarmi in conservatorio, cercavo di dargli un senso, come se sperassi che di punto in bianco il quadro prendesse forma e mi desse delle risposte al senso della vita...
Mi sentivo confusa, frastornata, forse la colpa era della notte insonne, dopo aver ricevuto una telefonata dal mio ex. Non si dava pace da quando gli avevo detto che non provavo più nulla per lui. Mi avevano detto che statisticamente è dimostrato che l’uomo non accetta di esser lasciato, ma pensavo non sarebbe stato il mio caso, Andrea non mi lasciava più vivere. Secondo lui io avevo un altro, ma non era così, a quarant’anni non avevo paura di stare da sola. E prima di fare quella scelta ho riflettuto a lungo, non avrei mai sposato un uomo solo per abitudine. Avevo bisogno di una scrollata per svegliarmi, e solo un caffè poteva aiutarmi!
‐Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo.‐ era la domanda che continuavo a canticchiare quasi come fosse un tormentone estivo, invece mi ossessionavo a cercare di comporre un brano gnomico cercando di ispirarmi ad un compositore del 1300. Dovevo distrarmi, rigenerarmi prima di immedesimarmi nel brano. Dieci minuti dopo il mio caffè era pronto. Presi la tazzina e tenendola stretta tra le mie mani mi sedetti sulla ringhiera del mio balcone al quinto piano di un’anonima palazzina del centro storico. Chi mi osservava da giù avrebbe potuto pensare a un mio possibile suicidio, ma non avrei avuto mai il coraggio di farlo almeno non prima di aver bevuto il contenuto della mia tazzina e comunque non con quel metodo; se avessi dovuto fare una scelta, avrei preferito un cocktail alla Gauguin. Mi lasciai sedurre dall'aroma del liquido nero. L'intenso profumo di caffè mi rilassò sull'istante. Osservai verso la mia sinistra, al di là dalla strada. Forse era questo il senso della vita: una tazza di caffè tra le mie mani come a trattenere il mondo e fuori dove c'erano dei bambini sorridenti che giocavano in un piccolo parco. Mai come quel giorno gli schiamazzi dei bambini mi facevano tanta compagnia. Amavo osservare il simbolo della gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Rientrai con le idee più chiare. Ripresi a comporre le note come stregata da quel quadro che sembrava sempre più vivo, il testo avrei dovuto consegnarlo per le ore sedici e mancavano solo due ore altrimenti addio alla borsa di studio di tremila euro.
‐Ti aiuto io, se mi lascerai sfiorare il tuo corpo. –
Chi aveva parlato?
Che stessi diventando pazza e sentivo delle strane voci?
‐Abbandonati a me lasciati coccolare dolce Erica. –
Alzai lo sguardo verso il quadro e…
l'uomo mi afferrò la mano e mi fece entrare nel quadro, era calda e decisa, mi teneva stretta e mi dava sicurezza. Mi sussurrò :‐ non aver paura‐ Cominciammo a camminare, a sinistra c'erano due donne seminude, bellissime, provavo invidia nel vedere i loro seni perfetti, turgidi; a destra c'erano altri due uomini, vestiti solo nella parte inferiore del loro corpo, sembravano scolpiti nel marmo, avevano dei toraci bellissimi, non potevo distogliere i miei occhi da loro. L'uomo che mi teneva la mano si spogliò e si mise nudo, non provavo alcun imbarazzo, anzi, mi deliziava e mi eccitava guardare il suo corpo muscoloso e perfetto, i suoi glutei tonici, il suo forte petto, il suo membro imperioso. Si avvicinò a me e delicatamente mi tolse i vestiti, provai a ribellarmi, il mio pudore sembrava vincere sulla mia eccitazione, ma lui mi ripetè sorridendo:‐ se mi lasci accarezzare il tuo corpo ti aiuto a vincere la tua borsa di studio‐ Iniziò a sfiorarmi con le sue mani possenti, le sue carezze provocarono un brivido lungo tutto il mio corpo, lo lasciai fare come ipnotizzata. Ci lasciammo travolgere dalla passione e dai baci,noncuranti dei due uomini e delle due donne che ci guardavano, forse i loro sguardi mi eccitavano ancora di più, urlai quando il suo membro marmoreo entrò dentro di me,in quel momento entrò tutta la sua passione...e mi prese completamente chiusi gli occhi assaporando l'imminente orgasmo.
‐Erica, Erica!‐
All'improvviso mi sentii chiamare, aprii gli occhi e mi trovai sdraiata sul mio divano, vestita, il quadro era al suo posto inanimato, e la mia amica mi urlava:‐Ma, sbaglio o hai scambiato le mie gocce di benzodiazepine con le gocce di aspartame, erano messi accanto nella mensola della cucina.‐