DA QUI SI VEDE IL MARE

Appena raggiunto il luogo dell'appuntamento lei si guardò attorno ansiosa. Non aveva alcuna certezza che lui ci sarebbe stato; la sua era solo una speranza intensa, un po' folle, un desiderio così profondo che, nella sua testa, altro non avrebbe potuto che venire esaudito.
"Forse non era una speranza così folle" Pensò quando lo scorse, poco lontano, seduto su una panca di pietra. Lui si alzò appena la vide e le andò incontro sorridente e con le braccia tese.
"Temevo che non saresti venuto, non credo che sia stato facile per te. Grazie"
"Sono contento di poterti riabbracciare. Vieni, andiamo a sederci."
Quando furono seduti lei lo guardò in silenzio per un po'. Gli occhi chiari di suo fratello non erano mai stati così azzurri, lo sguardo così limpido e dolce, pieno di tenerezza, le rughe del viso distese. Quanto tempo avrebbero avuto a disposizione? Lei se lo chiedeva, col timore che lui svanisse all'improvviso prima che  potesse dirgli tutto quello che aveva nel cuore. Doveva parlare subito, non poteva più aspettare.
"Sai, io non immaginavo che i giorni che avremmo trascorso insieme, sarebbero stati gli ultimi  giorni della tua vita. No, non potevo proprio immaginarlo."
Lui non disse nulla: non voleva interromperla.
"Non subito, almeno, non i primi due o tre giorni di ospedale. Io, la sorella più piccola e tu, il fratello più grande; mi sentivo così inadeguata a prendermi cura di te, così insicura, così bambina!  E tu? Non volevi che chiamassi il medico per non disturbarlo. Tu, sempre timoroso di disturbare chiunque, ma sempre così pronto ad ascoltare, a consigliare, discreto, misurato, attento a non offendere la sensibilità altrui, senza mai giudicare, senza mai pretendere nulla. No, tu non eri certamente la persona del "te l'avevo detto".  Ho sempre avuto soggezione di te, forse per i diciassette anni di differenza d'età, o forse per quel tuo modo di essere così riservato, serio. Lo so che tu non avresti voluto, non era colpa tua se mi davi soggezione. Menomale che c'era il telefono, era più facile per telefono, e in quelle lunghissime conversazioni, in quel meraviglioso tempo che mi dedicavi ogni settimana, io ero un fiume in piena. Con nessuno avrei potuto aprire il mio cuore come facevo con te, da nessuno avrei potuto avere la stessa onesta obbiettività, la pazienza, la tenerezza. La timidezza mi ha sempre impedito di dirti quanto bene ti voglio, ma te l'ho scritto e tu mi hai risposto, ricordi? Ho conservato le nostre conversazioni  e ogni tanto le rileggo. Adesso tutto ciò che è stato scritto allora ha un significato diverso, più pesante, più profondo. Mi ritrovo ad analizzare anche le frasi più banali come "ci sentiamo dopo", in cerca di un contatto, di un ricordo più vivido. Come riempire il vuoto del telefono che non suona più?
L'ambulanza venne a prelevarti a casa, quel mattino. Salimmo insieme, tu in barella, ed io mi sedetti accanto a te. Avevi indossato un cappellino di lana perchè avevi freddo alla testa. Quando ti portarono in camera e ti sdraiarono sul letto io riposi negli armadietti i tuoi indumenti, sistemai vicino al letto le tue ciabatte. Era così strano, un tale controsenso! Nell'orario in cui tutti si alzano dal letto e si vestono per uscire da casa, io ti aiutavo ad indossare il pigiama e a metterti a letto. Questo mi obbligava a prendere coscienza che eravamo in ospedale, che eri molto ammalato. Automaticamente continuavo a sistemare le tue poche cose in silenzio. E' poco ciò che si porta in ospedale. Ad un tratto sentii la tua voce dietro le mie spalle: gentile, pacata, intensa.
"Hai guardato fuori? Da qui si vede il mare." 
"Da qui si vede il mare" E tutta la mia angoscia esplose.
Fui presa dal panico. Come nascondere le lacrime? Mi precipitai a guardare fuori, voltando il viso dove tu non potessi vederlo.
"E' vero, è bellissimo" Cercavo di ingoiare il pianto e parlare con voce ferma.
"Hai anche il terrazzino! Che meraviglia il mare!"
Ma tu sapevi già tutto, vero? Io nascondevo le lacrime e tu fingevi di non vederle. Sapevi già che non avresti più rivisto casa tua e sapevi già che tutti i progetti che ancora avevi in mente di portare a termine sarebbero rimasti incompiuti. Eppure tutti i pochi giorni che seguirono li dedicasti a me, preoccupato che fossi stanca, attento a non chiedere più di quanto non fosse assolutamente necessario. E io, ormai costretta a prendere atto del tuo declino così veloce, così inevitabile, col cuore che scoppiava di dolore, non potevo fare altro che assistere a tutta la mia impotenza di fronte a ciò che sarebbe accaduto. Avevi ragione tu quando mi dicevi che la vita non va come pensiamo noi. Avevamo perso un fratello solo da un mese, ma "avere subìto un grande dolore non ci affranca dal subirne un altro altrettanto grande a  breve distanza di tempo". Il contrario è solo la nostra illusione di tenere le redini di qualcosa su cui non abbiamo invece alcun potere.
"Da qui si vede il mare". E quando era tutto troppo insopportabile correvo lì sul terrazzino a guardarlo quel mare, come se affondando lo sguardo nella sua profondità potessi trovare risposte e consolazione."
Poi lei tacque sopraffatta dall'emozione, e si guardò attorno. Non c'era nulla tranne la panca di pietra sulla quale lei e il fratello erano seduti.
Lui pensò che quello fosse il momento di parlarle.
"Come stai adesso, in questo momento?"
"Bene, sto bene in questo momento."
Lui le fece una carezza:
"Devo dirti una cosa importante, svelarti un fatto di cui non sei ancora consapevole. Io non sono venuto da te. Tu, sei venuta da me."
Lei rimase un attimo in silenzio e poi capì.
"Vuoi dire che....Quando è accaduto?"
"E' appena accaduto."
"Come è accaduto?"
"Naturalmente. Nel tuo letto, nella tua casa, senza dolore."
Allora lei sentì il bisogno di porgli la domanda più importante.
"Ero sola?"
"No, non eri sola. Ora vieni, dammi la mano. Andiamo a casa."