Dark Night
Quella che si apprestava di là dalla finestra, era la notte.
Nulla di strano dato l’orario al limite con la cena.
Tuttavia essa si mostrava cupa come mai avevo avuto occasione di vederne.
Persino il bagliore dei lampioni appariva debole più del solito e i fari delle automobili sulla via seguivano il tono nella misura di apparire addirittura spauriti.
Mi avvicinai alla lastra di vetro umido per guardare meglio.
Ricordo che i contorni delle abitazioni antistanti alla mia, si mostravano tondi e indefiniti.
Quei muri eretti in legno e pietra, parevano finirvi dentro ed essere rosicchiati.
Stropicciai gli occhi pensando di avere riposato poco, ma nulla daffare: l’effetto perdurava!
Perciò attribuii la colpa alla nebbia che in novembre cala sulla città velandola col bianco, sbagliando; come ebbi modo di costatare più tardi …
Dark Night
Mezzanotte
*
‐ Che v’inghiotta a tutti quanti!‐ Affermai pensando al potere di quella coltre e agli abitanti di quel luogo remoto.
Del resto è gente cui frega poco o niente degli altri.
Poi tornai nel letto a godermi il riposo.
Mancavano un paio d’ore a che suonasse la levata.
Col suono meccanico della sveglia negli orecchi non riuscii a fare altro che mantenere lo sguardo sul soffitto giallognolo della stanza.
Oltre a tutto dal piano sottostante la vecchia serpe di Grace compiva rumori inutili, strascinando le sedie da una parte all’altra della casa.
‐ La smetti?‐ Urlai prima di poter distinguere nuovamente il ticchettio della sveglia; segno che il messaggio era arrivato.
Capperi, sapere che a poche ore ti attende del duro lavoro non è il massimo della vita …
Andai a sondare il piano del comodino a caccia del tabacco.
La voce stridula di quella donna mi fece accapponare la pelle:
‐ Will è ora che tu vada!‐ ululò rompendo del tutto l’atmosfera ovattata.
La presenza di Grace è una schifezza che dovevo sopportare per via dell’averla presa in sposa.
Quel giorno dovevo essere stato, ubriaco.
E di trascorrere un’unica ora con lei, non lo augurerei al peggior nemico.
Era strana quella sera, dicevo …
Si avvertiva dal sapore dolciastro di terra sul palato e da un sottile cerchio alla testa.
‐ Ti svegli?‐, strillò per la seconda volta.
Adesso era giunto il suo momento per parlare e per quanto potessi replicare, svegliarmi era essenziale e ragione valida per sollecitarmi, non sarei riuscito a darle torto.
‐ Ho capito!‐ dissi forte, finendo di sputare nel cesso quanto rimaneva di quella foglia amara.
Un lampo squarciò il cielo in più parti e subito seguì il tuono a scuotere casa e far tremare i vetri.
Un nuovo boato giunse qualche istante più tardi.
Diamine, pareva che tutti i fulmini del globo si fossero fissati appuntamento in città.
La luce elettrica tremò stentando a lungo prima di riprendere vigore e rese tremule e orripilanti persino le ombre.
‐ Will, chiudi la finestra!‐. Urlò Grace.
A quella strega per di più, la grazia è sempre mancata.
Provvede sempre a farmi notare tutto.
Sbuffai.
‐ Will la finestra!‐, tornò a ripetere.
Crede forse che sia disposto a lasciare spaccare casa dal maltempo?
‐ E chiusa caspita! E chiusa!‐, risposi gridando.
Non stupitevi però, la nostra conversazione è continuamente fuori tono.
Non è un segreto che non si vada d’accordo.
Tornai in attesa pensando che aggiungesse qualcosa, un borbottio magari, ma non accadde.
Così infilai i pantaloni e la maglia sopra al pigiama perché fa freddo e sono convinto che sia inutile sciacquarsi più di tanto e poi se il padre eterno ci avesse voluto profumati, avrebbe messo al mondo qualche altra razza di gente non certo questa.
Discesi le scale convinto di incontrarla e sapendo che mi avrebbe proposto di mangiare.
Non crediate.
Non perché mi vuole bene.
La mia cara moglie tiene alla mia salute per il poco guadagno racimolo la notte e se qualcosa andasse storto e perdessi anche quest’umile lavoro, per lei non ci sarebbe nulla da fare.
Morirebbe di stenti perché nessun uomo può sentirsi attratto da lei.
E così brutta e acida che la rifiuterebbero.
La incontrai sulla soglia della cucina, malvestita e con i capelli unti:
‐ Esci senza salutare?‐, domandò smacchiando le mani sul panno.
‐ Tanto ci rivediamo!‐, risposi con ironia. Magari ora avrebbe fatto silenzio.
‐ Che cosa vuol dire?‐, esclamò.
Litigare con me, è la ragione della sua vita …
‐ Donna, vado e non voglio far tardi!‐, affermai rivolto all’uscita.
Adesso sarebbe stata soddisfatta?
‐ Ho dello stufato di lepre, ‐ disse senza particolare inflessione.
‐ Perché ti ostini a propormelo? Non hai mai saputo prepararlo. ‐.
E la verità ma deve essere troppo anche per lei, perché gira i tacchi e va via.
Meglio così.
Le smancerie sono inutili e poi è meglio non celare che i sentimenti cambiano.
‐ Passo da Malcolm. Cenerò da lui!‐, farfuglio quando ormai sono all’aperto.
Per certo le passerà. Altrimenti può lasciarmi.
Del resto peggiore di così, tra noi non può andare.
Odo l’anta cigolare alle spalle.
Insufflo aria umida nei polmoni e impreco per non avere pensato piovesse tanto.
Grace osserva dalla finestra convinta che sia un cretino a non avere recato appresso l’ombrello.
‐ Va dentro e finisci di spicciare!‐, strido contro vento.
Vedo scemare la tendina e dietro di essa luce fioca.
Nemmeno i poveri hanno lampade tanto deboli.
Che notte strana questa.
Comunque Grace mi ha dato retta.
E per fortuna, non la rivedrò che domani.
Salgo in macchina infradiciando il pianale.
Se c’è una cosa che mi fa imbufalire e avere l’interno dell’auto sporco o infangato, ma per questa volta andrà così.
Non è possibile fare nulla.
Accendo la motrice del vecchio furgone GM e metto un pezzo di sigaro in bocca.
Poi sintonizzo la radio.
Mi terrà compagnia.
Stanno suonando: “I’m singing in the rain.”
Che idea strampalata!
Quasi che ci sia altro e che la vita sia un sogno meraviglioso.
Per me non è così che andata.
Bene però se Frank ci fa sopra un poco di dollari!
Senza di quelli sarebbe ancora più triste.
Perché un uomo vale quanto la capienza del suo portafoglio.
Per una volta mi metto a cantare.
Sapete, non ho una brutta voce.
Unicamente non ho mai pensato di ricavarci del denaro.
Un altro errore, chissà...
L’acqua oscura il parabrezza.
Canto con più voce.
Sono quindi miglia ad arrivare alla locanda di Malcom.
Una topaia sulla statale frequentata da persone di tutti i tipi.
Puttane, ladri e giocatori, in prevalenza.
Si aggiungano camionisti e viandanti più qualche marito in fuga.
Sì, sono convinto che vada esattamente in questo modo.
Da tempo tengo una personale statistica.
In America spariscono centinaia di persone ogni anno.
La maggiore parte adulta e di sesso maschile.
Uomini andati a comprare le sigarette e mai rincasati.
Alcuni rintracciati nei giorni seguenti.
Magari assai sbronzi.
Altri senza memoria.
Qualcuno con il cranio fracassato o il corpo appesantito dal piombo.
Mi piace pensare che quelli che non trovano mai siano i fortunati e che adesso si divertano ai tropici con una bella ragazza.
Quanti di loro sono passati proprio da Malcolm?
Dovrei farlo anch’io.
Partire e non fare ritorno.
Poi mi domando: per andare dove se ogni posto al mondo è un cesso?
E se non lo è, presto finisce per diventarlo.
Altrettante miglia occorrono da Malcolm per raggiungere il mattatoio.
E giuro: non è strada bella!
Tutta curve e dirupi.
E per che cosa poi?
Per andare a squarciare la gola ai vitelli.
Già, questo è il mio mestiere.
Sapete come si fa?
No?
Bene, allora ve lo dico io:
Gli animali sono spinti dal recinto all’interno di una corsia.
Uno per volta arriva a un capolinea.
Là una sbarra d’acciaio blocca il quadrupede in maniera da non farlo retrocedere.
Io gli sono davanti e sollevo il muso, mentre il collega infila una staffa di traverso perché non possa abbassarlo.
Appena ha fatto, retrocedo di un passo e con un coltellaccio ben affilato e lungo quaranta centimetri compio un movimento unico per recidere il collo da parte a parte.
Ci vuole forza e decisione.
Non è cosa per tutti.
Il sangue schizza a fiotti, finendoti addosso e sul pavimento.
Nel frattempo la bestia muggisce dal dolore, ma non può muoversi.
Trema.
Scalpita.
In quella posizione innaturale rimane fino a dissanguarsi.
Questione di pochi di minuti.
Al massimo cinque.
Una vacca è arrivata a dieci.
Pensammo che non sarebbe morta.
Comunque un caso particolare.
A ogni modo alla fine stramazzano.
A quel punto il collega apre lo steccato da un lato e con un gancio la trasciniamo altrove facendola scivolare sul suo stesso liquido e urine.
Già: non tutti sanno che appena muore se la fa sotto!
Anche Valmon, il cugino di Grace se la fece sotto.
Lo ricordo dondolare appeso alla trave del fienile e con la patta bagnata mentre in terra vi era una panca rigirata.
Valmon pareva contento.
Si era strozzato utilizzando un cordino elettrico.
Due sottili cavi tra loro intrecciati.
Nessuno ha mai compreso la ragione.
Il bello è, che quando torniamo, il posto è occupato da un altro animale!
Al macello ci sono tre file e tre macellatori.
In poche ore è una carneficina e in un anno una strage.
Questo è il mercato.
Thomas e Coleman sono i nomi dei miei colleghi.
Tipi spicci e di poche parole.
A sentire le loro storie vengono i brividi sulla pelle.
Badate però che non svolgo da sempre questo mestiere.
Occorre troppo stomaco per farlo.
Unicamente da quando ho chiuso lo spaccio.
Sette, otto anni al massimo.
E non è per colpa mia se in precedenza le cose non sono andate bene.
La gente di qui è strana.
Possiedono terra e sono allevatori.
La domenica mattina la trascorrono a messa e a battersi sul petto.
Poi tornano in casa e picchiano le donne.
Trattano male i bambini.
All’alba del lunedì sono già in opera.
Quando di buon umore, donano qualche obolo.
I soldi veri però li serbano per il circuito interno e il risparmio del mese finisce direttamente in banca o sotto qualche asse della loro abitazione.
Perciò solo gli spicci finiscono a chi non è del luogo.
Io sono di Toronto e chissà cosa mi è preso per venire da queste parti a cercare fortuna.
In pratica mi sono condannato da solo!
‐ Ciao Nathan. Cosa ti servo?‐. Domanda Malcolm.
Anche lui è un tipo strano.
Rosso di capelli e con lentiggini sul volto.
Vive con una ragazzina.
Non si sa se sia la figlia o una sbandata.
Nessuno trova da ridire e lo sceriffo è un uomo vecchio.
Malcolm ha sangue irlandese e crea nuvole di fumo denso di là dal banco.
‐ Non so!‐. Rispondo pensando che ho voglia di bere.
‐ In caldo abbiamo della lepre. Te ne faccio portare una porzione?‐
‐ Mondo vacca, ma cosa avete tu e la vecchia stasera? Tutti con lo stufato?‐
Ride Malcolm. Gioisce di gusto mostrando denti gialli.
Nessuno dei suoi clienti ama parlare della moglie.
‐ Ti offro un whisky‐, esclama con voce roca. ‐ Credo proprio sia quello di cui hai bisogno.‐
‐ Bene!‐, rispondo deciso.
‐ Se la prima bevuta è gratis, pensa a preparare la successiva in fretta. Non vorrei che si affermasse in giro che approfitto della tua benevolenza.‐.
Di nuovo rivedo i canini di Malcolm.
Erravo ad affermare che fossero gialli. Più esattamente sono sul marrone.
Mastico del sigaro e scolo quel bicchiere e ancora un altro e forse aggiungo qualcosa.
Porca vacca, dentro ho sempre freddo!
Una ventata fredda dirada l’aria viziata del locale.
A metter piede dentro e un contorno aggraziato di donna.
Deve essere fradicia.
Questo tempo non è adatto per una signora.
Tossisce.
Non mi ricordo di averla vista da queste parti.
Avrà circa trent’anni.
E a giudicare dalle curve, ben fatta.
Nessuno però sembra osservare.
Solo Malcolm.
Noto che ora confabulano tra loro.
Poi lui la accompagna a sedersi dalle mie parti.
La squadro di profilo.
Per una così, sarei disposto a dimenticare tutto.
A ricominciare altrove.
Di certo non sarà sola.
Avrà un uomo ad accompagnarla …
Ma è qui da dieci minuti e nessuno è entrato.
Bevo un sorso.
‐ O la va o la spacca!‐, dichiaro prima di scolare il bicchiere e alzarmi.
Barcollo per un istante.
Poi mi avvicino.
‐ Salve!‐ affermo quando le sono accanto.
Sembra far finta di non avere udito.
‐ Notte assai umida e buia!‐. Affermo.
‐ Già!‐ Risponde voltandosi ed è davvero più bella di quanto mi aspetti.
‐ Non è di queste parti o sbaglio?‐, domando.
‐ No, infatti!‐, risponde nervosamente.
‐ Posso sederle accanto?‐ domando con gentilezza.
Qua l’ambiente è quello che è, può farle comodo un uomo a proteggerla.
‐ Mio marito è fuori. Sta per entrare ... ‐.
Bene. Sì. Dicono un po’ tutte così.
‐ Io non la lascerei sola nemmeno per un minuto.‐. Osservo spostando verso di me la sedia.
Torna a guardare davanti nervosamente.
‐ Vuole ordinare da bere? Offro io‐, le sussurro all’orecchio non appena seduto.
Perché girarci attorno?
E una notte unica questa.
Lei mi guarda come se non mi vedesse, poi una mano mi si appoggia alla spalla.
‐ La signora è con me! ‐. Afferma un giovane ragazzo.
Anche lui si distingue.
Potrebbe essere mio figlio.
BE non è da me insistere inutilmente.
‐ Peccato!‐, affermo. ‐Intendevo solo scambiare quattro chiacchiere. Adesso vi lascio perché ho daffare ... ‐
Torno a sedere al mio posto.
Non c’è mai una volta che sia fortunato.
Peccato.
Malcolm giunge poco dopo da loro con due porzioni di stufato.
Insomma: alla fine è riuscito a piazzarlo.
E mezzanotte quando vado via.
Sento dire alle spalle: ‐ Buona serata Will ‐.
E Malcolm ovviamente.
Sa sempre chi entra o chi esce.
Ricambio il saluto e un morso mi afferra nello stomaco.
Cosa caspita ci vuole a dire: ‐ Buona serata Will!‐.
Una frase semplice.
Alle volte non completamente sincera, ma riferita con sufficiente naturalezza da sembrarlo.
Quando mai Grace ci ha provato?
Sempre a parlare dei conti da pagare e di mangiare.
‐ E colpa di Betty!‐. Farfuglia da là Malcolm.
‐ Già Betty!‐ Rispondo.
Nemmeno m’interessava quella donna al locale.
Solo una maniera facile per far trascorre un poco di tempo.
Mah! Tanto è andato tutto storto.
Sputo in terra.
Non ho più saliva.
Faccio qualche passo sulla ghiaia e prendo dalla tasca un altro pezzo di tabacco.
Finirò a perdere i denti, ma dal padre eterno meglio andarci con gli acciacchi.
Domani sarà un altro giorno e tornerò in questo letamaio al termine delle ore di riposo.
Era una brutta notte dicevo …
Si avvertiva dall’ululare dei lupi senza che in cielo ci fosse la luna e non mi era capitato di udirne tanto prolungati.
‐ Che caspita avete?‐ domando mentre urino sulla ruota del furgone perché il cesso del locale fa talmente schifo da pigliare la scolo solo a toccare la maniglia della porta.
Con calma apro lo sportello.
Il mio winchester è appeso sul cassone.
Avvio il motore e innesto la marcia.
Mi dico che se questa notte quei famelici cani avessero a cercare rogne, perdiana, le avranno trovate.
Io ne ho di ragioni per litigare con il mondo intero.
Il furgone saltella sulle buche traboccanti d’acqua e ricomincia a piovere.
Quindici miglia di strada in discesa.
Quasi interamente nella foresta che dal paese scende a valle.
Vecchi abeti e pietre secolari.
Qualche animale notturno tipo l’allocco.
La percorro da anni e che crepino tutti; è disgraziata.
Malcolm lo ripete spesso:
‐ La colpa è di Betty.‐.
Lo afferma così di punto in bianco.
E quando meno lo aspetti, senti che pronuncia quel nome.
Magari muovendo piano le labbra, mentre ripone ad asciugare i bicchieri.
Era giovane e il mattino assolato quando gli capitò di trovare una testa mozzata di fronte al locale.
Altri pezzi li recuperano dei paesani seguendo la strada verso valle.
Prima una gamba di donna, poi l'altra.
Un piede, un braccio mi pare.
In una progressione folle in cui l'unica regola era costituita dalla misura.
Un miglio e mezzo a pezzo.
Tutte quelle parti erano state ripulite talmente bene da apparire finte, quasi fossero pezzi di plastica di un manichino.
Le mani, lunghe e affusolate le trovarono per ultime; poggiate delicatamente su un foglio di giornale e su un cippo.
Inutile affermarlo, Malcolm ne restò assai colpito.
Secondo la sua versione quella maschera pista di sangue, solo il volto era pieno di lividi, era viva quando l'aveva raccolta e gli aveva sorriso.
Indagarono per giorni anche su di lui.
Non emerse nulla.
Escluso fosse lui l'assassino l'indagine si arenò e la colpa fu attribuita a un camionista di passaggio che secondo gli ispettori venuti da fuori città l'aveva trasporta per mezzo Canada prima di abbandonarla ridotta a quel modo.
Per ciò, per quella morte, non c'era un vero colpevole e neppure movente.
A chi appartenessero quei resti, non si seppe mai così restò senza nome.
L’unico a dirsi sicuro a riguardo fu sempre Malcolm.
Per lui non poteva che chiamarsi Betty.
Quanto alla ragione, disse che non poteva essere diverso.
Trascorse poco tempo e si lasciò con la moglie.
Esattamente fu abbandonato.
Nessuno trovò strana la cosa e se chiede a lui di chi sia la colpa, affermerà sempre: ‐ E di Betty !‐ e in ultimo aggiungerà che a lui ha portato fortuna.
Nell'accendere il quadro dell’auto, penso che ognuno rechi la propria croce …
Il motore gratta nell'innestare la marcia.
Impreco quando scorgo due sagome a ridosso dei parafanghi.
Una è magra. L’altra, goffa.
‐ Porca puttana. Volete ammazzarvi?‐. Urlo senza calare il finestrino.
La più chiatta sembra udire, perché si volta.
Ha occhi scuri come le tenebre e un’espressione indecifrabile.
Dovrebbe essere una donna.
Una brutta donna.
Porca vacca mi dice sempre male!
‐ Predicatori della minchia. Vi hanno sbattuto fuori di casa perché stanchi del vostro sermone? Così adesso vagate in strada e desiderate crepare?‐.
Ora ride e con lei lo fa anche la persona accanto.
E un uomo.
Scopre il volto butterato tenuto celato sotto il cappuccio.
Davvero: non li vorrei vicino nemmeno a pagamento.
Libero la frizione, ma la donna allunga il braccio fino a poggiarlo sul montante.
‐ Togli quella manaccia? Fatti da parte!‐, sibilo girando contro lo sterzo.
Del resto non amo i prepotenti e i vagabondi!
‐ Se vuoi, puoi insistere. Dirò che era buio e non ti ho visto. Sono capace di farlo sai ... ‐.
Le ruote vanno a vuoto sul fiume di fango diretto alla valle.
Impreco e accelero.
Lei sembra riuscire a trattenere i cavalli.
Una grandinata di sassi e melma sale dal basso della macchina imbrattando le fiancate.
Lei sembra ridere di gusto, ma il volto non ha nulla di umano, trasfigurato nello sforzo fisico in una maschera animale.
Innesto la retromarcia.
Sono certo che gli pneumatici torneranno a far presa sul terreno e riesco a liberarmi.
Percorro qualche metro all’impazzata, pensando di avere bevuto qualcosa di troppo.
La vettura gira su stessa, quasi ribaltandosi.
Innesto di nuovo la marcia, seguita da un’altra e ancora.
Adesso sono sulla statale e per una sola maledetta occasione, lieto di raggiungere presto il mattatoio.
Quei due, realmente, avevano un aspetto ributtante.
Non faccio a tempo a respirare che un tonfo sordo e una sbandata mi avvertono che qualcosa di pesante è a bordo.
Recupero il winchester che punto verso il retro.
‐ Che tu sia quello che penso o qualcos’altro, vecchia baldracca: vero come dio, questo gioiello ti sistemerà!
Avverto lo scoppio e il rinculo mi fa dolere il polso.
‐ Pagherai anche questa!‐, affermo mentre odo un rantolo di dolore provenire dal cassone.
Provo ancora la sensazione di avere un’allucinazione in quella notte scura.
Che tutto sia un sogno?
Che Grace non si mai esistita?
Che il fallimento non abbia sempre contornato la mia vita?
Gli alberi ai lati della strada mi appaiono distorti.
Sono sempre stati tanto alti?
‐ Will hai bevuto troppo e sei in una curva … ‐ m’incalza all’improvviso la voce dentro la testa.
Afferro lo sterzo mentre col muso urto il pietrame montato a secco sul pendio.
Ne tiro giù una pertica.
‐ Questa cavolata ti costerà Will. Sai quanto viene riparare il parafango?‐.
Ora è Grace a parlarmi.
‐ Fatti gli affari tuoi!‐. Urlo mentre rimetto in strada il furgone.
‐ Nemmeno adesso mi lasci in pace?‐.
Lo scoppio provocato dalla sponda nel trapassare l’abitacolo è netto e sinistro.
Deve averne di forza quella donna per averla divelta dal cassone.
Sparo un colpo sulla linea metallica.
Se è all’altro capo, incasserà altro dolore mi auguro.
Di nuovo il silenzio, rotto dal fracasso delle marce che scalo in prossimità del tornante.
‐ Evviva sono in salvo!‐ grido nel momento in cui mi convinco che quell’essere malefico non ci sia più.
Poi osservo sullo specchietto retrovisore e dall’oscurità emerge lentamente il volto grasso e tondo della donna.
I capelli bianchi le ciondolano ai lati di guancie affette dall’acne.
Le fosse del naso, sono larghe quanto quelle di un toro infuriato.
‐ Bastarda. Mi vuoi ammazzare?‐ Urlo.
Dietro di lei c’è l’uomo magro.
Ha il mento in avanti e denti in oro.
Tiene alta la gamba sull’abitacolo e un’ascia nella mano.
Il lurido impermeabile scuro svolazza nella pioggia battente.
Lo dicevo, era una notte come mai ne avevo viste e m’inseguiva la morte.
Fu allora che presi la decisione di andare giù per il burrone.