Dioniso o Bacco?
C’era una volta una principessa di nome Semele, amata da Zeus. Mentre era in felice attesa del figlio del suo dio la gelosia della moglie tradita, Hera, suscitò contro di lei le beffe delle tre sorelle: Ino, Autonoc ed Agave. La debole Semele, invece di sopportare in silenzio, concepì il desiderio impudente di chiedere al suo amante divino di manifestarsi... questi la accontentò immediatamente, scegliendo la più eclatante delle proprie forme: il fulmine, tanto che Semele, impreparata, ne restò incenerita.
Zeus non è minimamente disturbato dalla folgore che si abbatte sulla madre e decide di concludere da sé la gestazione, cucendosi il bambino all'interno della coscia.
In seguito Dioniso viene affidato alle tre zie, che avranno modo così di riparare il torto fatto alla sorella occupandosi del fanciullo, non solo come nutrici, ma anche come guardie del corpo: la gelosia di Hera, infatti, non è stata placata dalla morte di Semele e le affettuose zie provvedono a confondere il vagito del bambino con canti, suoni di flauto, tamburo e cembalo, nonché a trasferirsi dalla loro città di origine, Tebe, aldilà del mare nell'Eubea.
L'isola greca del mar Egeo è situata verso l'estremo limite orientale, godette di una propria civiltà autonoma già fiorente fin dal VIII sec.a.C. e solo nel 506 a.C. fu conquistata da Atene.
La vecchia,tesi del Muller, espressa già agli albori dell'Ottocento, secondo la quale Dioniso corrisponde ad una divinità arcaica precedente ai miti agrari e collegata con l'invasamento puro e la divina mania è stata attualmente rivalutata dalle ricerche storiche di E. Rhode. Lo stesso nome di Bacco, che godrà di maggior popolarità rispetto a Dioniso, deriva dal verbo "basein" chiacchierare, farneticare.
1 Greci lo collegarono spesso al culto frigio di Cibele ed Attis, per il carattere orgiastico di entrambi: come ad essi al Dioniso antico non sono sacri i campi coltivati, ma i boschi ed in modo del tutto particolare il pino e l'edera.
La più antica festa tributata a Dioniso consisteva in una danza notturna in una selva sacra, scelta preferibilmente su una montagna, che culminava nel divoramento di un animale vivo predisposto al sacrificio: diasparagmos.
In questa prima fase il parossismo è raggiunto semplicemente con la musica, soprattutto con quella acutissima dei flauti: non c'è nessuna notizia dell’uso di bevande inebrianti.
Perché Dioniso desidera un sacrificio così cruento? Forse per vendicarsi di Hera, dea del matrimonio inteso soprattutto come ordine imposto dalla società alla natura?
Se di fatto tutta la vicenda di Dioniso si pone fuori da questo ordine, il dio non sembra curarsene in alcun modo, né manifesta desideri di sopraffazione e di vendetta, anzi, appena raggiunta l'età della ragione ed appresa la verità sulla propria nascita scende nell'Ade, riprende sua madre e se la riporta a casa felice e contento.
Questo episodio richiama alla mente un'altra figura, meno lieta e fiduciosa nelle proprie capacità: Orfeo, forse appunto un sacerdote di Bacco, certo musico e poeta, divorato dalle baccanti stesse in un'orgia, forse per un tragico errore dovuto al parossismo del momento, o forse perché aveva cercato di porre dei limiti alla sacra ebbrezza.
Molto tardiva, certamente alessandrina, la bella leggenda del viaggio nell'oltretomba per salvare Euridice, l'amata sposa defunta.
Al contrario, i misteri orfici nascono per familiarizzare l'uomo col suo destino di creatura mortale, non certo per spaventarlo. Il mito di Dioniso accoglie questo aspetto della religione orfica e lo investe di una carica di ottimismo: nessuna divinità può imitare la sua straordinaria facilità di accesso all'Ade... nonché quella di uscirne!
Secondo un'altra leggenda egli non sarebbe altro che la reincarnazione del piccolo Libero, figlio illegittimo di Zeus mortale, tiranno di Creta. Naturalmente, terreno o no, egli ha una moglie gelosa che invia le proprie guardie, i giganteschi Titani, a catturare il bambino, armati di falsi giocattoli sonori. 1 giganti passano il segno: non solo catturano il bambino, ma lo fanno a pezzi, che cucinano addirittura due volte: prima arrostiti e poi gettati a bollire in pentola (notiamo l'antitesi col diasparagmos!) e se lo mangiano. Assiste, del tutto impotente, la sorellina Minerva (Atena secondo i Greci) che tuttavia non si perde d'animo perché ha visto che il cuore del fratello è misteriosamente sfuggito allo stano festino. Così, non appena i Titani si allontanano, l'intrepida bambina esce allo scoperto, raccoglie il cuore e lo porta al padre il quale, rivelando poteri decisamente insospettati per un tiranno, sia pure di Creta, fulmina i Titani, raccoglie i pezzi del bambino, rimette a posto il cuore e lo risuscita. Ma non basta: assicura al figlio che questo bizzarro trattamento gli ha conferito l'immortalità. Va rilevato qui lo strano ruolo d'Atena, che come Hera dovrebbe essere una garante dell'ordine, ma ne respinge la dimensione "femminista" e preferisce ricorrere all'autorità patema. Atena condivide la verginità e l'abilità guerriera con una altra dea: Artemide‐Diana, tanto che per certi aspetti le due figure si confondono; la prima agisce nell'ambito cittadino, garante delle attività artigianali, la seconda è regina dei boschi e signora dell'oltretomba. Entrambe sono in ottimi rapporti col fratello Dioniso.
Questa vicenda, ricordata dai giocattoli infantili che i sacerdoti di Bacco sono soliti usare nelle sue processioni. illumina il diasparagmos di una luce diversa: non più crudeltà gratuita ma assimilazione col dio che per primo è stato fatto a pezzi ed è risuscitato per il bene dell'umanità contro la tirannia di Hera.
Dioniso è sopravvissuto e cresce sano, forte e vigoroso nella mitica contrada di Nysa, che i Greci identificarono talvolta con l'Arabia e talvolta con l'alto Nilo.
A questo punto si innamora follemente della principessa Arianna. Purtroppo egli non può ottenere legalmente la sua mano, non potendo vantare regni terreni, in compenso, da quando vi è sceso per ricuperare sua madre, è signore incontrastato dell'Ade. Dunque, per far bella figura con la sua fidanzata, pensa bene di farla uccidere dalla fida sorellina Artemide che, in qualità di dea dei boschi, maneggia molto bene arco e frecce.
La triade femminile che il mito dionisiaco trae dalle più remote origini indoeuropee, già suggerito dalla presenza delle tre zie nutrici, si ripropone ora nella piena maturità di Dioniso per garantirgli la gioia: Semele, dea della terra. Artemide, dei boschi, Arianna signora degli alberi da frutta.
Secondo una versione più tardiva Arianna era la figlia del tiranno di Creta, sorella del Minotauro, che aveva contribuito ad uccidere per amore di Teseo, il quale però l'aveva ben presto abbandonata. Qui la figura di Dioniso che trasforma la sposa infelice in una dea è decisamente più simpatica. Il risultato comunque è lo stesso, perché la sposa si porta in dote un bel bagaglio di frutta: uva, fichi, olive...
Non sono piante citate a caso e meno ancora è un caso quello che porta al Dioniso greco questo pesante bottino agricolo, completamente sconosciuto al più antico dio dei Traci.
A differenza delle mitiche contrade in cui si svolge la vicenda dionisiaca, che gira tutt'intorno alla Grecia senza toccarla, la terra d'Attica è povera e spoglia. Il suo clima è fra i più miti del Mediterraneo, ma la terra fertile, cioè ragionevolmente umida, è ben poca e divorata dalla salsedine: le montagne che proteggono dall'aria del mare... frenano anche la pioggia. Potrebbe mantenere al massimo 100.000 persone, mentre, allo scoppio della guerra del Peloponneso, la popolazione greca si aggira attorno alle 300.000 unità! La vecchia gloria di Atene, di essere abitata dagli unici Ionici che avessero saputo resistere alla conquista dorica, nasconde molto probabilmente una ben più modesta realtà: al tempi delle invasioni doriche l'Attica non valeva il disturbo di intraprendere una campagna d'armi!
Delle tre piante su cui si fonda tutta l'economia agricola dell'Attica, piante che i Greci vogliono sacre a Dioniso, solo il fico è originario. La piantagione su larga scala dell'ulivo e della vite rappresenta, già nell'VIII sec.a.C. secondo gli studi dell'Hyams, un tentativo di "intervento ecologico" su un territorio dal manto forestale ormai gravemente compromesso dall'indiscriminato abbattimento di alberi per la costruzione di navi. D'altra parte, anche coltivando viti ed ulivi, l'economia dell'Attica continua ad essere fondamentalmente artigianale e commerciale: si vendono vini ad alta gradazione alcolica (il clima eleva il tenore zuccherino) ed olio in cambio del grano che non si può produrre. Che cosa significa dunque dire che Dioniso, già figlio di Semele ed opposto rispetto all'ordine costituito, diventi anche il signore di quelle piante che permettono alla Grecia di affrancarsi dall'incubo della fame?
Con l'avvento della civiltà romana, alla figura di Hera si sovrappone quella di un'altra dea‐moglie: Giunone.
A differenza di tante divinità ereditate passivamente dall'Olimpo greco, quest'ultima non è affatto la copia esatta di Hera, ma una divinità autoctona del mondo latino, con molti contatti con la civiltà etrusca; è vestita di pelle di capra, animale che le resterà sacro, ed è rappresentata armata di asta e serpente. Garantisce la sacralità del matrimonio, tanto da essere considerata la dea pronuba per eccellenza, ma presso i Romani l'ordine rappresentato dalla famiglia è soprattutto espresso da una sana prolificità.
Giunone raccomanda la castità alle mogli, ma non pensa neppure per un attimo di potersi arrogare il diritto di punire le infedeltà di suo marito; al contrario: ella ha nel confronti di tutti i mortali, compresi gli innumerevoli figli illegittimi che Zeus (anzi ora si chiama Giove) semina qua e là, un atteggiamento dolcemente materno che le vale il titolo di Sospita (Ausiliatrice) nonché Madre e Regina.
La nuova Hera‐Giunone ricorda molto da vicino Semele e solo per questo può essere considerata madre di Dioniso, che diventa Bacco. Col passar del tempo comunque il suo culto s'è evoluto in forme sempre più serene: vino, donne canti e tanta fecondità.
Non solo dunque scompare lo spaventoso sacrificio dell'animale divorato vivo, ma in genere, si rinuncia alla carne: durante l'estasi, come ci comunica Platone non senza una punta di sarcasmo, le baccanti vivono di acqua dei fiumi e credono di nutrirsi di latte e di miele.
Nell'immortale tragedia di Euripide i canti e i balli portano appunto ad un'estasi divina di tipo assolutamente mistico ed è solo la comparsa dell’elemento disturbatore, lo scettico Penteo, a risvegliare nelle donne reminiscenze bestiali portandole a consumare sull’uomo l’antico sacrificio, per cui non era stato preparato nessun animale, il che vuol dire che già ai tempi d’Euripide (407 a.C.) il sacrificio era solo un lontano ricordo.
Comunque anche quando c’era il diasparagmos s’identificava con un rifiuto dell’ordine inteso non come barriera contro la violenza, ma, al contrario, come il più sottile ed insidioso degli elementi sobillatori. Se le baccanti divorano un animale sono i Titani che si divertono a cucinare un bambino!
Pertanto i devoti di Dioniso non cucineranno affatto, almeno per la durata del rito: si nutriranno di acqua, miele selvatico, latte o carne cruda … a secondo di quanto porta il Fato, che per i Greci non è mai caso, ma al contrario espressione di un ordine intrinseco molto affine al concetto indiano di Karma.