Discount

Era scontato, lo stracchino di marca, così ne ho comprato un panetto da mezzo chilo, pur sapendo che sarebbe inacidito ben prima di poterlo consumare tutto.
È stato un gesto volontario di spreco. Magari piccolo, insignificante, ridicolo perfino. Ma in quel momento volevo sprecare, volevo fare una cosa che sapevo sbagliata. Volevo sbagliare sapendo di sbagliare. Per una volta volevo una conseguenza certa, scontata, delle mie azioni.
Ero stanco, degli infiniti, irrisolvibili, imprevedibili epiloghi delle mie storie. Stanco dell’inutilità delle mie fatiche quotidiane. Il lavoro, la casa, il rapporto con la mia attuale fidanzata, la cura degli affetti. Tutte cose, dalla concretissima e irrimandabile rata del mutuo, alle più aleatorie  e areiformi problematiche del ménage a deux con ***, che non andavano mai nella direzione desiderata, o anche solo prevista.
La mia vita era una macedonia di spiacevoli sorprese, condita dal succo ambiguo della prevedibile imprevedibilità. Sembra un controsenso, un banale gioco di parole, lo so, ma l’unica certezza che mi è rimasta, è quella di non avere certezze. L’unica previsione che riesco ancora a fare, è che sicuramente sbaglierò la previsione. Intanto metto nel carrello anche questa vaschetta di macedonia, che rispecchia così bene la mia condizione. Potenza della metafora.
Nulla va come vorrei. Niente funziona come dovrebbe. Probabilmente sono io ad essere sbagliato, non dico di no. È un’ipotesi che ho sempre preso in considerazione, fin da bambino. Come tutti credo. Ma quel residuo di raziocinio, o presunto tale, che ancora credo di avere, mi dice ogni giorno che tutto il mondo è sbagliato, tutti siamo sbagliati. È evidente. É scontato.
Anche la cioccolata da spalmare è scontata. Bella tentazione. È scontato che ci casco. Un altro atto di arrogante autolesionismo edonistico, masturbatorio perfino. La cioccolata, come surrogato del sesso, e dell’affetto, è masturbazione. O la masturbazione è cioccolata.
Io e *** non facciamo sesso da due mesi. È scontato che qualcosa si è incrinato nel nostro rapporto.
Lei  protesterà per la comparsa del vasetto nella dispensa, ma poi condividerà con piacere quello strappo alla nostra dieta, al nostro scontato salutismo di coppia colta e consapevole. E magari recepirà il messaggio.

Ci sono così tante cose scontate, o meglio, che si dànno per scontate. 0,99 al chilo i clementini. Prezzi che suggeriscono quasi la filantropia. È scontato che ci caschiamo tutti. La strategia del deprezzamento, vero o presunto. Colgo d’un tratto l’intelligenza, la furbizia delle persone che si mostrano umili, che dànno di sè un’immagine semplice. Apparentemente.
Una rete di agrumi senza semi si deposita nel carrello.

I grandi frigoriferi del reparto surgelati rinfrescano l’ambiente, quasi ci vorrebbe un maglione in più. Le confezioni scontate fanno bella mostra di sè, attraverso la caligine delle porte di vetro.
I bastoncini di pesce te li tirano dietro a 1,5 euro. Li ho già comprati una volta, erano grigi dentro. Da bambino erano bianchi, nivei, perfetti. Anche i bastoncini di pesce non sono più quelli di una volta. Era scontato che anche quella ingenua perfezione decadesse.

Prendo un sacchetto di baccalà, sotto le dita sento i pezzi di pesce, duri come pietre, freddi e inodori. La memoria mi riporta alle vasche di stoccafisso dei negozi sotto casa. L’odore si sentiva da una parrocchia all’altra.

Noi nati negli anni sessanta, siamo la generazione del packaging. L’arte del confezionamento è nata in quegli anni. Piano piano ci siamo abituati a riconoscere le cose dalla scatola, dalle etichette, dai nomignoli, dai colori. Tutto sempre molto scontato.

Spingo abilmente il carrello tra i corridoi traboccanti di merce. Dovrei essere felice di questo stato, di questo momento di facile acquisizione, di comoda offerta.
Le lusinghe del discount riempono in fretta il mio carrello. Oggi poi ho deciso di essere indulgente, addirittura ingenuo. Mi lascio abbindolare volutamente. Cedo alle tentazioni dei prezzi, delle belle confezioni e dei ricordi d’infanzia. *** avrà certamente da ridire sulla mia spesa, lei è sempre così irreprensibile, così razionale e utilitaristica. Così pragmatica. Quando le conviene.

La convenienza si insinua tra i miei neuroni, mentre completo il giro dell’oca. Salto la casella dei prodotti dietetici, supero il reparto assorbenti, evito le bancate di detersivi che pungono le narici, percorro a passo lento gli scaffali della pasta e dei sottaceti e sott’olio. Passo in rassegna, come un generale, le file allineate di bottiglie di vino. Tonno scontato, carne in scatola scontata, spaghetti scontati, Bonarda scontata. L’abitudine riprende il sopravvento, prendo le cose di sempre, giudiziosamente ossequioso alla conveniente tradizione personale.

Mi presento in coda, davanti a me ci sono tre persone, con i carrelli belli colmi anche loro. Occhieggio i loro gusti, spio la loro privacy calorica, lascio che la mia presunzione legga le loro liste della spesa, come se fossi un sociologo o un medico che cerca sintomi e segnali. Loro fanno lo stesso, è scontato. Arriva il mio turno. Sono tentato di chiedere uno sconto. Ma al discount è già compreso, non si usa più chiederlo, sarebbe assurdo, ridicolo e anacronistico. Perfino provocatorio e maleducato. Ed è scontato che io sia una persona civile ed educata.