Due "cordiali". Grazie
Certe volte i ricordi si accavallano, numerosi e confusi, ed io non riesco a incasellarli nei giusti periodi. Peccato. Ma stamattina ho visto una vecchia locandina, e un ricordo limpido, presente come appena vissuto, mi ha strappato un sorriso e un po' di nostalgia. Avevo diciannove anni e da poco avevo cominciato a vivere la mia sconvolgente storia d'amore. Non vivevo ancora a Torino, ma a Torino venivo insieme a lui quando potevamo trascorrere una serata e una notte insieme. La serata era stata, come sempre, bellissima, e la notte se n'era volata via fulminea, mai sazia, mai vissuta abbastanza. Alle cinque del mattino corso Giulio Cesare era deserto, solo qualche tram sferragliava nel silenzio della città ancora addormentata. Noi cercavamo un bar aperto. Possibile che non ce ne fosse uno? Eccolo il bar aperto! Un faro nel deserto. L'eco delle portiere sbattute e la nostra corsa, mano nella mano, per attraversare il corso. Io ridevo, mi fai cadere, lo sai che non so nemmeno camminare sui tacchi, e tu mi fai correre! E dopo un attimo avevo le scarpe in mano. Ma il tempo era poco, un treno mi aspettava in stazione. Il trucco del giorno prima mezzo disfatto, i capelli arruffati, le gambe tremanti di stanchezza e gli occhi pieni di sonno. Cosa bevete? Un cordiale, come mi piaceva quando diceva un "cordiale"! Lui non lo chiamava Cordial Campari, come tutti gli altri, lui lo chiamava "Cordiale" quasi con tenerezza. Anch'io, anche per me un "Cordiale". Le nostre mani si sfioravano intorno ai bicchieri, i nostri corpi si appoggiavano l'uno all'altro, mentre in quel bar silenzioso e odoroso di primo mattino, o forse ancora di notte fonda, aleggiava il senso di un addio incombente; non si poteva strappare nulla di più, tutte le ore possibili erano state consumate, divorate. Ora c'era un treno che mi aspettava in stazione e non si poteva cancellarlo, non si poteva far finta che non ci fosse, anzi bisognava sbrigarsi. Il barista guardava scocciato le scarpe che ancora tenevo in mano, e io pensavo, ma come fai a non sorriderci! Non vedi come siamo innamorati! Ma intanto pensavo al treno, un altro addio, certo non era un addio, ma come un addio, ogni volta veniva vissuto. Poco più tardi ero affacciata al finestrino mentre il treno lasciava silenziosamente la stazione. Non c'era stato più spazio per le parole, a parte ti telefono più tardi, solo sguardi, occhi che non si erano distratti fino a quando era diventato impossibile vedersi ancora. A quell'ora del mattino su quel treno c'erano sempre le stesse tre o quattro persone, pendolari. Ormai loro sapevano tutto: che avrei pianto, e che poi, sopraffatta dalla stanchezza, mi sarei addormentata. E io sapevo che potevo stare tranquilla perchè al momento giusto avrei sentito la voce gentile di uno di loro: signorina si svegli, siamo arrivati.