Due luglio
Due luglio, e quella pioggia stronza cadeva come se non ci fosse nessun legame fra clima e stagioni, come se tutte le giornate dell'anno fossero uguali l'una all'altra. Quasi solo un'imprevedibile lotteria designasse il clima del giorno, così a caso.
Gaio saltellava nervosamente sulle punte dei piedi, non perché lo volesse proprio, o perché questo servisse a fargli passare il freddo, ma perché meccanicamente aveva fatto suo quell'atteggiamento da centinaia di telefilm visti alla tivù durante pomeriggi interminabili. Quegli episodi, quasi tutti di produzione americana, in cui l'uomo all'angolo della strada in una giornata fredda e grigia si soffia fra le mani e ballonzola allo scopo di sconfiggere il freddo. Gli sembrava una cosa logica; persino a luglio.
Effettivamente anche lui era a un angolo di strada e il suo lavoro era perfettamente in sintonia con quelle immagini preconfezionate tra migliaia di ore televisive. Già, il suo era un mestiere che si poteva benissimo definire a metà tra lo spacciatore classico e il chirurgo plastico. Tutto per gente che non poteva permettersi di andare in una clinica specializzata, ma volesse lo stesso modificare il proprio aspetto fisico. O solamente per chi voleva farlo e basta.
Droga fisica, era finito il tempo di sballarsi, di andar fuori di testa, viaggiare. Adesso si poteva modificare il proprio fisico, forme, colori, lineamenti: trasformarsi insomma. Del resto il principio era praticamente lo stesso, tu mettevi quella pagliuzza tra lingua e palato, e aspettavi il fulmine: una sensazione esplosiva di calore fisico, onnipotenza artificiale sparpagliata dentro di sé, tutto un muoversi e agitarsi disordinato di muscoli e fibre che precedeva ogni mutazione che potesse dirsi tale. Ed esplosive si potevano considerare anche le conseguenze: se l’acido lisergico ti faceva percepire ovunque esplosioni da t‐shirt colorate, questa roba ti cambiava pelle, capelli, dimensioni, colori, era come rinascere ogni volta sotto un’altra forma. Certo che gli effetti collaterali non erano nemmeno troppo conosciuti e la dipendenza che provocava era infinitamente maggiore rispetto alle droghe tradizionali, ma a chi assumeva quella roba e soprattutto a lui questo interessava relativamente.
Chiudeva gli occhi e si ispezionava le scarpe ogni volta che un essere deforme gli si presentava davanti, a volte persino incapace di parlare e di esprimersi; ma in fondo a lui bastava solamente qualche avanzo di sguardo umano per fargli capire cosa volessero da lui; si faceva quasi coraggio.
‐ Dai Gaio! – e consegnava un'altra pagliuzza, sperando ipocritamente in un effetto riparatore, ma sapeva benissimo che non sarebbe mai andata così. Sapeva benissimo cos'era la morte per overdose da quella roba. E ogni notte doveva ricorrere a qualche vecchia, ma sempre efficace, droga tradizionale per poter chiudere occhio senza ricadere in incubi popolati da palle di carne umana informi e urlanti che non volevano saperne di morire. Ma in qualche modo doveva pur vivere anche lui, e scrollava la testa confuso.
‐ Che estate del cazzo.
Se non fosse stato per il solito cliente della sera, a quell'ora se ne sarebbe già andato a casa a sgranocchiare qualche cosa davanti alla tivù, di quello era certo. Si muoveva ancora ritmicamente sulle gambe quando, confuso alla pioggia che scendeva con sempre maggior insistenza e alle ombre di quella sera precoce che ormai stava calando su di lui, scorse in lontananza il cappellino del suo ultimo cliente. Era proprio il suo, quello che indossava di solito, ideale, come una volta gli aveva confidato, per ogni stagione e per ogni evenienza.
Di quel ragazzo era la parte su cui il suo sguardo si posava con meno problemi, visto che il fisico, ormai irrimediabilmente deturpato dall'uso smodato di quelle pagliuzze, gli faceva solo tornare in mente quanta parte di colpa avesse in quella distruzione lenta di essere umano. Si tastò nervosamente il petto per assicurarsi che la bustina fosse ancora al suo posto, il cliente ha sempre ragione; anche se non riusciva proprio a immaginare ancora per quanto.
A questo si era quasi affezionato; sfoggiava un sorprendente sorriso nel ritirare la sua dose, luminoso, per lo meno le volte che riusciva ad affiorare dai lineamenti impegnati a divincolarsi dagli effetti di quella roba; quasi felice, sembrava volesse ogni volta ringraziarlo. E questa era una cosa che non l'aveva mai capita. A volte aveva anche scambiato qualche parola sul tempo, o sul traffico della città sempre più congestionato, ma erano probabilmente discorsi che a nessuno dei due interessava fare. E comunque cercava sempre di tagliare corto su qualsiasi argomento; certo era un atteggiamento che finiva col tenere con tutti, ma soprattutto con quel ragazzo. Parlare con lui, che pressappoco doveva avere la sua età, era una cosa che lo faceva pensare troppo e sentire un boia. E questo a lui non andava proprio bene. Lui vendeva e basta.
‐ Vero Gaio? Ancora poco e poi smetto di fare questo lavoro di merda.
All'inizio gli si era presentato con l'aspetto del figlio di papà con l’intenzione saggiare i limiti estremi di una vita, cercando in quel modo anche di rendersi interessante agli occhi di amici e amiche; e Gaio aveva cercato di tenerselo buono, odorando alta società e soldi facili da quel viso pulito e dai tratti perfetti. Ma poche volte in seguito gli capitò di intravedere quelle realtà nell’esistenza di quel ragazzo: una macchina in principio di lusso ben presto sostituita da una bici semidistrutta, qualche bella ragazza altezzosa sostituita poi dalla propria ombra sempre più mesta e informe.
Cercava sempre la Random, quella che non aveva effetti definiti, la più pericolosa. Non voleva saperne di Marylin o James Dean o Wolf, quelle, diceva sprezzante, erano roba per feste di carnevale: sembrava volesse solo distruggersi. Una volta, forse perché sentiva sempre più pressante lo sguardo silenzioso e indagatore di Gaio, aveva quasi cercato di spiegare il suo comportamento:
‐ Meglio non sapere dove si va a finire.
Sforzandosi di non guardare Gaio negli occhi, come per liberarsi di un qualcosa che doveva per forza essere detto. E poi aveva sorriso; e gliene aveva chiesto un'altra, sempre di quelle Random.
‐ Non ho voglia di guardarmi allo specchio e riconoscermi.
Fu una delle poche occasioni in cui si guardarono dentro, seppur quasi per sbaglio. E si sentì ancora più in colpa per la distruzione che era ormai in atto, trasformazione dopo trasformazione, una volta alto un metro e novanta, il giorno dopo nano, una volta obeso, un'altra scheletrico, oppure calvo, o coi capelli lunghi fino alle caviglie, vecchio, bambino, nero, giallo: sempre meno umano e definito.
L'ultima volta aveva inghiottita la pagliuzza davanti a lui, con i muscoli del viso e delle braccia non ancora completamente rilassati dopo la mutazione del giorno prima, senza nemmeno dire una parola. Gaio aveva accennato persino un saluto dopo aver preso il denaro, ma non ne aveva avuto la forza. Non sapeva il suo nome, non sapeva nemmeno cosa facesse per il resto della giornata, quale storia si trascinasse dietro quella determinazione distruttiva; e probabilmente non l'avrebbe mai saputo; ma lo stesso stava quasi male.
Perché con gli altri non succedeva? Da quando aveva iniziato a vendere quella roba non si era mai sentito così colpevole; tutti, bene o male, avevano gli stessi motivi per distruggersi, ogni volta era un qualcosa già sentito che l'aveva sempre reso freddo e insensibile di fronte a qualsiasi racconto di cliente. Ascoltava, annuiva, e incassava. Era sempre stato così semplice.
‐ Che cazzo hai Gaio?
Il cappellino servì comunque a riconoscere l’acquirente, era proprio lui. Si guardò intorno per controllare che non ci fossero troppe persone in quel momento attorno a loro, esaminò quella figura mentre si avvicinava, con il berretto oltremodo abbassato sugli occhi e il passo scaltro. Si risollevò per un attimo alla vista di quei segni di umanità, infilò la mano destra nella tasca interna del proprio giubbino, controllò che la bustina fosse al posto giusto, rimanendo per un istante in un'inconsapevole posa napoleonica.
Il ragazzo gli arrivò davanti fermandosi a pochi centimetri da lui. Sarà stato anche l'effetto della Random, ma non aveva mai notato l'altezza simile alla sua. Sentiva il suo respiro stranamente calmo e rilassato addosso; si decise a consegnarli le pagliuzze per l'ennesima volta. Solo un imbecille avrebbe potuto vederli in quella situazione irrazionale e non capirne il perché; un cretino o un poliziotto corrotto.
Quel tipo prese di scatto la bustina, se la rigirò fra le dita, forse indeciso, forse per valutarne la consistenza, il simbolo sfuocato di una squadra di football americano dondolava lentamente a pochi centimetri dalle pupille di Gaio; si lasciò cadere nel palmo della mano i soldi senza dire nulla ma non poté non valutare l’ingordigia con cui quel tizio ingoiò la dose. E nemmeno riuscì a sottrarsi alla vista del flash che balenò davanti ai suoi occhi quando il berretto calato su quel viso si alzò improvvisamente, quasi in segno di sfida.
Fu tutto molto veloce e imprevisto, fece appena in tempo a notare un battito nervoso di ciglia come sipario di uno spettacolo spaventosamente già visto, poi il ragazzo chiuse gli occhi e cadde al suolo con un gemito sordo e sin troppo eloquente.
Si riprese il resto della dose nervosamente. Guardò a casaccio il mondo attorno a sé: nessuno sembrava preoccuparsi di un uomo a terra.
‐ Via Gaio, cazzo, via.La sera, davanti alla tivù, decise di non pensare che quel viso perfettamente uguale al suo fosse opera di quella merda che quotidianamente vendeva.