Due mondi

L’INCONTRO

Tempesta: non si erano mai visti tanti lampi rasentare a pelo le punte degli abeti, aguzzi come lance, scuri come falci, ed i tuoni squarciavano l’incessante battere delle gocce sulle pesanti  fronde. Correndo tra rami e sassi, affondando gli artigli nell’umido terreno, si muoveva veloce verso un odore dolciastro: insopportabile, quanto irresistibile, quasi fosse una tortura non poter sapere di cosa si trattasse esattamente.  Sapeva di non averlo mai sentito; era convinto che fosse vicino, sempre più, ed era convinto di non poterne fare a meno, per quanto fosse nauseante di primo acchito ed allettante se respirato a pieni polmoni.  Un paradosso di sensazioni, una tempesta non solo esteriore l’aveva rapito e condotto lontano dai terreni usualmente battuti, lontano dai sentieri conosciuti, al di là di ogni limite consentito. Ogni pietra, ogni roccia e tronco e foglia impregnata d’acqua che calpestasse, ogni stridulo rumore, più remoto sentore, lo conducevano verso una parte di foresta che non aveva mai vissuto prima di allora. Il brivido lo attraversava e pervadeva, dalla punta delle ritte orecchie all’ultimo pelo della folta coda. Cominciò ad un tratto a percepire un lieve pianto, nascosto tra i suoi balzi, fatto di deboli singhiozzi e celeri sospiri. S’avvicinò sempre più a quel dolce lamento, come fosse una canzone, nenia in onore della pioggia, che s’inabissava nei più profondi luoghi e risuonava tra i rami più alti. D’un tratto arrestò la sua folle corsa d’innanzi ad una grotta, ai piedi di una piccola collina: da li proveniva sia l’odore che il triste pianto. Si fece forza, gocciolando sul flaccido terreno, le orecchie basse, la coda a mezz’aria, apprestandosi ad entrare. Qualche passo sull’asciutto e si scrollò di dosso l’acqua in eccesso, facendo schiantare parecchie gocce sulle pareti scavate dello scuro anfratto. Poi il silenzio. Il cadere della pioggia pareva appartenere ad un’altra dimensione, i tuoni sembravano addirittura lontani. Quel luogo pareva come incantato, celato in una sorta di spazio senza tempo, parentesi dell’universo conosciuto. D’improvviso una figura davanti ai suoi grossi occhi che la conoscenza portò a produrre un sottile ringhio, ma che l’istinto ridusse poco dopo al silenzio. Il volto rigato, i vestiti zuppi ed occhi rossi, ancora ricolmi di lacrime. Lo stupore si trasformò in trepidante attesa; la tensione si sciolse in un baleno. Ciò che gli si palesò davanti, se pur incarnazione di quello da cui per natura ed insegnamenti avrebbe dovuto tenersi più che lontano, gli fu subito vicino. Il pericolo gli parve non poi così tanto tremendo. La trasgressione fu semplice ed immediata. In pochi istanti gli si era ribaltato un mondo; aveva lui ribaltato il mondo stesso, in ogni sua più radicata certezza e consapevolezza; aveva infranto la regola più importante. Inevitabile e facile: naturale ed indissolubile. Quello che era accaduto in quel giorno di tempesta mai nessuno avrebbe potuto cancellarlo, anche se verteva pericolosamente contro ogni ragionevolezza. Un lupo ed un vampiro non avrebbero mai dovuto incontrarsi al di fuori della battaglia: pena la morte. Eterni rivali come eterna era la loro permanenza nel mondo; questo era il loro passato, presente e futuro di sempre. Futuro che era stato compromesso, cambiato in una manciata di secondi. Mai più nulla sarebbe stato come prima. Il lupo divenne bambino qual era, la piccola vampira ritrasse le fauci. Tutto era cambiato.

UNA VITA INSIEME
Spesso si ci chiede come sia possibile conoscersi così a fondo senza mai essersi incontrati; come fosse stato possibile quella notte il loro incontro; per quale motivo fosse accaduto. Leggerezza: l’unica con la quale avevano vissuto fino all’accorgersi di esser alla fine diventati grandi, di nascosto, come se la vita, per quanto la loro davvero lunga, fosse solo un gioco. Come se il prendersi per mano a tempesta conclusa, il rincorrersi tra gli alberi, il vociare, le risate, l’incontrarsi per anni nello stesso luogo, non fosse stato tutto parte di un disegno ben preciso, nonostante per loro fosse soltanto il “caso”, solo un “gioco”. Dal destino non si fugge, per quanto si possa correr forte. Il gioco si sarebbe alla fine esaurito per lasciar spazio a qualcos’altro: ad uno sguardo, come inizio di una nuova avventura, ben più complessa della precedente. Lian la guardava sciacquarsi il viso tra le limpide acque della fonte, sedendo su un antico muretto, poco distante. Dovevano essere antichi resti romani. Il cuore fece un balzo insolito quando lei cercò il suo sguardo per sorridergli.
‐ Che c’è?‐
Arrossì e lo distolse: ‐ Nulla…‐ S’affretto a ribattere.‐
Lei rise, consapevole della reazione suscitata. Era forse ancora un gioco, ma non poi del tutto.
Eden sollevò un poco la candida gonna, del colore delle nuvole, in perfetta armonia con il pallore della pelle e gli occhi di un ghiaccio verosimile, per raggiungerlo. Gli sorrise ancora, prima di chiedergli una mano, protendendo la sua con naturalezza.
‐ Devo tornare…‐
Come il rintocco dell’ultima campana della sera.
‐ Tra poco gli altri si sveglieranno.‐
Ed il risuonar di antiche voci sperse.
‐ Anch’io.‐ Lian sentiva i pensieri dei membri del suo branco ininterrottamente.
‐ Allora a domani.‐
‐ A domani…‐ Dovette lasciare quella mano. Succedeva sempre, ogni giorno, da tantissimo tempo, per poi vederla scomparire saltellante dietro la radura e sentir svanire il suo profumo a poco a poco, fino a perdere i suoi pensieri tra il soffiar del vento. Un corvo batté le proprie ali sopra quelle teste che si allontanavano l’una dall’altra. Lian lo seguì nel suo lesto sorvolare gli alberi, ciò gli impedì  di sentirsi soffocare per l’allontanarsi di Eden. Poteva sentire i suoi pensieri, quando erano molto intensi, ma questo non gli bastava. La connessione era un suo dono particolare; infatti tra lupi era possibile essere sempre in contatto, in qualsiasi circostanza, mentre l’eccezione di Eden all’interno della rete di connessione doveva esser data dall’amore che Lian provava per lei, profondo ed incorruttibile nel tempo, questo aveva reso possibile tale telepatia. La foresta era fitta e solitaria, la notte; la casa dei vampiri era sempre rumorosa e movimentata da qualche festa. Loro caratteristica era infatti il vivere nella totale agiatezza e quindi potersi permettere il vizio della lussuria, tanto ambito, quanto quasi irraggiungibile, nella sua completa perfezione, da qualsiasi essere umano.
‐ Dove sei stata? –
‐ Madre!‐
L’occhio vigile della madre sembrava poterle scrutare nel più profondo.
‐ In nessun posto.‐ s’affrettò a voltarle le spalle per poi correre fino in cima alle scale, ma con sua non tanto grande sorpresa se la ritrovò proprio lì, al finire dell’ultimo gradino.
‐ Allora? – Il viso sempre più increspato, nonostante sembrava esser stato plasmato con la calce.
Dei vampiri si diceva che essi possedessero una bellezza straordinaria, al di là del naturale; una bellezza quasi demoniaca, tanto perfetta da poter derivare solo dal maligno. Era vero.
‐ Ho fatto un giro.‐
L’altra alzò gli occhi e la riprese:‐ Guarda le tue amiche! – dall’alto della scala getto uno sguardo su due ragazze che si intrattenevano con un gruppo di uomini, davanti al tavolo del biliardo, tra un bicchiere e l’altro. – Loro sì, che si divertono! Tu te ne stai sempre per conto tuo: passi le tue giornate a leggere o fuori chissà dove, chissà con chi… Sono anni oramai che ti comporti così.‐
‐ Non vedo dove sia il problema.‐
‐ Quando eri bambina credevamo tutti fossi una sognatrice, addirittura che avessi un amico immaginario. Io non l’ho mai creduto in realtà, ma fu tuo padre a suggerirmelo.‐
‐ Buffo…‐
‐ E’ tutto quello che sai dire?‐
Eden non rispose. Al solo pensiero di suo padre le venivano i brividi.
La madre, accorgendosi di averla turbata, fece un lungo sospiro e tornò sui suoi passi, lasciandola sola.

“Ehi, Lian!” l’accolse il suo più fidato amico, Ero.
“Ehi!” gli diede una lieve testata in segno d’affetto. Non aggiunse altro,  come se il fardello infilato tra i denti potesse impedirglielo. I lupi però non parlano.
“Che cos’è quella roba?”
Lian non rispose; allora Ero lo prese per un angolo e cominciò a tirare, fino a che non si sentì il rumore di uno strappo. Fu una spallata di Lian farlo desistere. Nell’urto però la roba cadde a terra e si sparpagliò intorno.
“Vestiti?” esclamò con sorpresa.
“Sei il solito ficcanaso…”
“Che te ne fai dei vestiti?”
“Di solito li lascio più indietro…Ma chissà perché oggi non l’ho fatto.”
“Non hai risposto…” Ero gli ballava intorno, morendo dalla curiosità di scoprire che cosa stesse combinando l’amico.
“Smettila.”
“Dai: dimmelo, dimmelo, dimmelo!”
“Smettila!” ringhiò l’altro “non capisci che potrebbero sentirci?”
D’un tratto Ero si fermò. Intuendo la gravità della situazione, ci mise un po’ per rispondere, ma alla fine si sentii offeso dalla presenza di un segreto tanto grande e gli voltò le spalle.
“Ed ora che succede?” lo rincorse Lian.
“Cosa vuoi che succeda, amico, io non ho segreti per te!”
Lian sembrò colpito e promise: “Te lo dirò, vedrai.”
“E quando?”
“Presto.”
Ero la buttò sul ridere: “Presto, quindi adesso?”
“Così mi fai arrabbiare…”
“Che paura” assunse un atteggiamento baldanzoso “se Lian si arrabbia, davvero!”
Lian gli diede un’altra spallata, che Ero subito gli restituì, che poi divennero due e poi subito dopo tre, fino allo sfociare dello scherzo in una vera e propria zuffa.
“Che cosa succede qui?”
Un esterno autorevole gli si palesò poco distante. Era Dum, l’anziano del branco. Il pelo canuto e gli occhi ghiaccio facevano sempre il loro effetto. Guardò duramente Ero, poi se possibile ancora di più Lian e a quest’ultimo rivolse l’ordine: “Seguimi.” E Lian lo seguì.
Era un pomeriggio soleggiato al di là delle alte cime frondose, dai quali spiragli scendevano sottili fasci di luce e si poteva anche intravedere il passaggio di qualche candida nuvoletta  se si aveva la pazienza di aspettare.  Eden era pacata, ma allo stesso tempo raggiante, Lian era invece ombroso, di sicuro qualcosa lo turbava. Si fece pregare per tirar fuori quello che lo rendeva così pensieroso.
‐ La nostra natura – si decise infine – comincia ad essere evidente.‐
‐ Che cosa vuoi dire?‐
‐ Comincia ad essere un problema.‐
‐ Dum…‐ lesse Eden nei pensieri di Lian, con estrema facilità. Gli prese una mano e rivide tutta la scena. Poi, lasciandogliela, rimase in silenzio. Non era più così raggiante.
Lian, notando lo sconforto, l’abbracciò con delicatezza, sussurrandole: ‐ Ma non ho detto che mi voglio arrendere.‐
Eden sorrise. I vampiri non potevano piangere che sangue, ma Eden non piangeva quasi mai. L’ultima volta era stata alla morte della sorella maggiore che, dallo spirito ribelle, era stata punita per essersi addentrata nel mondo degli uomini, suscitandone il terrore.  Erano state molto legate ed era stato il padre a compiere tale crudele atto finale. Lui ed Eden si parlavano appena.
Ricordando tali accadimenti Eden disse:
‐ Sai a cosa andiamo incontro…‐
‐ Lo so – le rispose – ma non è detto che debba essere la nostra fine. Chissà se un giorno…‐
Ma Eden lo interruppe:‐ Non siamo più bambini, Lian! Il mio è un destino pesante e le nostre famiglie non lo accetterebbero mai e a te taglierebbero la testa solo se sapessero che ti trasformi quando sei con me, o forse solamente perché sei con me…‐
‐ Se solo sapessero chi sei…‐
‐ Ancora sogni!‐
‐ Vorrei che tu sapessi ancora sognare insieme a me.‐ Le rimproverò, con amarezza.
Eden lasciò il giaciglio in cui si erano abbandonati all’incedere del tempo e raggiunse un tronco poco distante, a cui il tempo aveva riempito la superficie di muschio ed aveva fatto seccare il cuore. Lì un sottile raggio riusciva ad accarezzarle il volto, facendolo brillare, come se la sua pelle fosse fatta di polvere di stelle. Lian ne rimase affascinato.
‐ Come sei bella…‐
Eden rimase immobile.
‐ E la sarò eternamente.‐ disse per sottolineare ancora una volta la loro abissale lontananza, come acqua e olio che per quanto si cerchi di amalgamare insieme, si divideranno sempre.
‐ Se il mio destino è morire – sentenziò Lian – morirò al tuo fianco. Non riuscirai a tenermi lontano da te.‐
La raggiunse e la baciò intensamente, per poi aggiungere:
‐ Non è stato un caso, quella notte, che io ti abbia sentita e poi trovata.‐
‐ Destino?‐
‐ Sì…‐ la baciò di nuovo – Destino.‐

LA PACE NON Può DURARE PER SEMPRE
Un corvo li sorprese, spezzando quel momento, col suo freddo batter d’ali. Lian si ricordò di averlo già visto.
‐ E’ molto strano.‐
‐ Cosa?‐ Eden credeva fosse impazzito – Cos’è strano?‐
‐ Quel corvo…‐ Indicò on lo sguardo.
‐ E’ un corvo.‐ Lo prese in giro.
‐ Era qui anche ieri.‐
‐ Come sei sospettoso! Potrebbe essere solo un caso.‐
‐ Solo un caso?‐
‐ Sì.‐
‐ Ma non abbiamo appena finito di dire che nulla avviene per caso?‐ la prese nel sacco.
‐ Allora ricordi, mi ascolti?‐
‐ Ne avevi qualche dubbio…‐
‐ Mmm…‐ ad Eden piaceva tantissimo punzecchiare Lian, era il loro passatempo preferito.
Lui la buttò a terra ed insieme si ritrovarono a pochi centimetri l’uno dall’altra sull’umido terreno del sottobosco, circondati dal tutto e da niente. Esistevano solo loro, in quello spazio senza tempo, nel possibile dell’impossibile di quella storia senza precedenti.
D’un tratto un suono sordo, poi uno acuto dritto alle orecchie di Lian, che divenne serio.
‐ Cos’ hai?‐ chiese Eden, carezzandogli una mano.
‐ Sento urlare la tua gente, ma così lontano…‐ detto ciò si alzò in piedi e lì rimase, senza nemmeno scrollarsi via le foglie che gli erano rimaste appiccicate ai vestiti.
Anche Eden si fece prendere d’improvviso da un senso di ansia ingiustificata. La foresta si riempì di rumori mai sentiti, nel profondo di un silenzio che non aveva età. Di lontano le orecchie di lupo avevano captato una storia di dolore e morte e non era stata soltanto una sensazione, ma un accadimento vero e proprio.
‐ La mia gente?‐ Eden avrebbe preferito qualche dettaglio in più.
‐ Un essere femminile, dicono che sia stato eliminato…‐
‐ Come eliminato?‐
‐ Tolto di mezzo.‐
Lian scandì le sue parole con chiarezza, senza voler lasciare spazio a nessun tipo di fraintendimento. Gli occhi di lei divennero lucidi e tremolanti, il timore traspariva tra il chiaro azzurro d’iridi ghiacciate; le labbra dischiuse ed immobili esalavano freddi e rapidi respiri. Il lupo che dimorava nell’uomo non aveva volto le orecchie in nessun’altro luogo dal primo segnale di pericolo udito; restava immobile e dalla sua espressione non si poteva dedurre che cose orribili.
‐ Che cosa l’ha uccisa?‐ chiese Eden impaziente – Un altro vampiro, un lupo, forse?‐
Lian le ringhiò soltanto per aver pensato una cosa simile.
‐ No‐ le rispose senza tanto girarci intorno – Un umano.‐
Il che era molto peggio. Se fosse stato un vampiro la risposta sarebbe stata semplice; un poco più complessa se fosse stato un lupo, ma un uomo, inteso come essere umano, era la causa più terribile. Quando un vampiro moriva a causa di un uomo non era mai il solo. La storia insegna: ce ne sarebbero stati altri, forse una guerra, ma Eden non voleva precipitarsi nel pensare subito al peggio. Fremeva dall’andare di persona sul posto per accertarsi con sicurezza che Lian non si fosse sbagliato. Tragico il mondo quando credi di essere al sicuro; quando al contrario non lo sei. Corsero il più velocemente possibile verso il luogo dell’orrore; senza mai guardarsi, i loro pensieri restavano connessi. Era una realtà difficile la loro; frutto soltanto di qualche leggenda o fantasia, la loro esistenza, per molti, per alcuni invece realtà minacciosa da dover forzatamente risolvere. E quale modo di risolvere al meglio la situazione che l’uomo abbia mai conosciuto se non l’estinzione, la distruzione, ovvero il macchiarsi di orribili crimini in nome di una qualsivoglia giusta causa o per quei figli che ancora debbano essere messi al mondo? L’orrore negli occhi di Eden non appena ciò che le apparve fu chiaro come alla luce del sole. Si trattava di Yava, sua affezionatissima sorella minore. La rabbia fu incontenibile.
‐ Sono ancora qui, da qualche parte.‐ dichiarò Lian, guardandosi attorno.
Eden cominciò a deformarsi dagli zigomi, alla fronte, poi gli occhi ed infine i denti. I rossi capelli le si arricciarono per diventare ancora più vividi. Lian la guardò attonito senza più riconoscere in lei ciò di cui era innamorato. Il corpo di Yava nel frattempo si stava sgretolando al fine di mischiarsi al suolo su cui era caduta per sempre.  Grigia cenere tra giallastri fili d’erba, corrotti dal male. Nessuno spirito, nessun’anima che vi uscisse. I vampiri erano vuoti al loro interno; soltanto una mostruosa illusione e parvenza di essere umano. L’unica  cosa che vi assomigliasse davvero fu il gesto di Eden di inginocchiarsi accanto a quel piccolo cumulo grigiastro per dire qualche parola, non che pregasse il Bene, affinchè Yava potesse trovare per lo meno la strada per raggiungere la sorella, in qualunque posto fosse.
‐ Viviamo, se pur morti, in una realtà tanto grande, quanto è piccolo il luogo in cui siamo confinati: legati da mille paure, come quella di non sapere come andare avanti, nonostante il nostro essere immortali. Noi siamo pochi e loro tanti. Ci chiamano “assassini”, ma sono loro che ci hanno imprigionati qui e condannati a vivere segregati per sempre. Moriamo a causa della nostra e della loro etica, come mosche, sterminate dall’inverno. Noi, senza tempo, afflitti dalla paura del domani.  E’ ridicolo! –
Non piangeva Eden, anche se Lian poteva percepire il suo dolore come fossero lame conficcate nel suo petto.
‐ Quando alla fine non sarà rimasto nulla di noi, neanche allora il genere umano potrà dirsi soddisfatto. Continuerà a crescere per sperperare, ad indottrinarsi per generare malcontenti e guerre. Rincorrerà stupide ambizioni per tutta la vita, dimenticando le cose più importanti, come per esempio l’amore. Essi si condannano ad una breve e triste vita fatta di piccole gioie, grandi sacrifici e grandi sofferenze e vogliono punire noi, che siamo felici e perfetti.  E se sapessero con più certezza di voi lupi, si organizzerebbero subito anche per la vostra estinzione.
Eden fermò le sue parole. Un esercito di piccole rane bluastre e fluorescenti era sbucato da dietro gli alberi.
‐ Le vedi anche tu? – Gli chiese, spalancando gli occhi.
Lian annuì.
‐ Allora è vero… Il nostro mondo sta morendo. La magia intende abbandonare questa foresta desolata.‐
Rimase seduta, mentre questi esseri le passavano accanto, saltellando.
‐ Migrano verso l’interno‐  spiegò Lian – perché la guerra sta per cominciare.‐
‐ Devo avvertire la mia gente – decise Eden.
‐ Verrò anch’io! – La sua voce dura e le sue intenzioni irremovibili.
Eden non batté ciglio: sentiva una scure penderle sopra la testa. Al momento rivelare l’orrore sembrava essere il meno peggio. Lupi e vampiri erano nemici fin dall’inizio dei tempi. Pena per una loro eventuale unione era la morte. Mentre camminavano, fianco a fianco, la loro forza  s’intrecciò attorno ai loro corpi per formare un legame unico, fermo ed indissolubile, fatto di speranza, di coraggio, ma anche di profonda rassegnazione.
‐ Padre…‐
Una decina di vampiri presi dall’ira gli furono subito addosso.
‐ Le rane se ne stanno andando, come lacrime della foresta, nelle quali è contenuta tutta la nostra magia e saggezza.‐
‐ Un lupo.‐  Ringhiò iracondo.
‐ Il suo nome è Lian ed è con me.‐
‐ Come hai osato?‐
‐ Non è lui il problema, padre. La guerra sta per cominciare.‐
Il vampiro per eccellenza non sarebbe passato sopra all’onta procuratagli dall’ingenua figlia. Avrebbe prima ucciso entrambi, per poi occuparsi della guerra che incombeva sulle loro teste. Ma questo Eden lo sapeva ancor prima di mettersi in cammino. L’onore al primo posto: per essere temuto e rispettato da tutti. Un capo non poteva mai smettere di guardarsi alle spalle. Mai.
‐ Ha ragione! – esclamò la madre, da cui si era appena congedato un messo –
‐ Hai tradito la tua famiglia, la nostra razza. Ciò è imperdonabile‐ decretò il vampiro, fermo della sua posizione ‐ e sarà causa della tua morte, come per tua sorella, la legge dei vampiri è uguale per tutti coloro che siano tali.‐
‐ No! – s’intromise la femmina, mostrando pietà per la sua progenie – E’ venuta per avvisarci, non ripetere gli stessi errori del passato, c’è sempre tempo per cambiare le linee guida della nostra specie, nel tentativo di essere migliori!‐
‐ Essere migliori?‐ derise le affermazioni appena udite, nonostante venissero dalla sua eterna compagna – noi vampiri siamo perfetti e quindi per noi è impossibile essere migliori di così!‐
Scoprì i denti, per mettere in atto le sue intenzioni. Lian si mise in mezzo, trasformandosi.
‐ Sali! –
Eden gli salì in groppa ed insieme volsero alla fuga. I vampiri, lanciatisi all’inseguimento con il loro leader, però erano troppi. Correvano tutti in direzione della loro fine.
‐ Ho fatto un sogno: – confidò eden al suo amore – ho sognato il mondo degli umani svilupparsi verso l’alto in vetrate altissime e sottili, lucenti torri, illuminate giorno e notte dal riverbero del cielo, ed a terra ogni cosa correre su veloci binari, in grado di prolungarsi anche sopra l’infinita grandezza del mare, per permettere loro di raggiungere ogni luogo senza staccarsi da essi. Ho visto l’uomo divenire grande e conquistare tutto, persino il sottosuolo, dopo aver vinto l’impossibile temperatura del centro del pianeta. L’ho visto volare in tutta la galassia, per poi scoprirne tantissime altre e diventare il signore incontrastato di tutte. Ho poi visto noi sopravvivere appena e voi vivere ancora più nell’ombra, decimati. Per quanto possano essere stupidi e limitati, in confronto all’infinito, il mondo è loro.‐
Il lupo fu raggiunto e morso alle zampe. Rovinò a terra; Eden cadde poco distante. In una frazione di secondo i vampiri gli furono addosso e per quando Eden fu di nuovo in grado di mettersi in piedi, il lupo era già in fin di vita. Così prese un ramo e gli fu accanto, sotto lo sguardo impietoso del padre, lo baciò e si trafisse al petto, condannandosi a morte. Le sue ultime parole, mentre con la coda dell’occhio scorgeva già i lumi delle torce degli uomini che venivano a compiere il massacro, furono a quest’ultimo rivolte:
‐ Il senso della vita non sta nell’ambizione, nell’onore o nelle ricchezze, ma nell’amore, ed io oggi muoio per rammentarti questo, affinché abbia in testa queste mie parole, nel giorno della nostra morte.‐