Eddie e la sua arte magica
Un tempo giocoliere e mimo per le strade di Dublino, Eddie adorava smisuratamente le sue mani, che reputava piccoli strumenti dal grande potere demiurgico. Così, stanco di compiere sterili acrobazie in aria con palle variopinte, aveva deciso un giorno di dare una sterzata alla sua vita e di iniziare a plasmare figure con sembianze umane che, cariche di espressività, potessero raccontare una storia.
Da qui, era esplosa una prepotente passione per la scultura. Dopo aver appreso la storia e i rudimenti di quest'arte, poco più che trentenne e affascinato dalle sculture di Michelangelo studiate sui libri, aveva deciso di imparare la lingua italiana e andare a vivere a tempo debito in un luogo incantato della Toscana.
Lì, immerso nella natura e lontano da atmosfere cosmopolite e svaghi mondani, sarebbe sbocciata l'incredibile vena artistica che altri hobby sperimentati nel corso della sua pur giovane vita non avevano fatto trapelare.
Il ragazzo vedeva se stesso come un originale incrocio tra Edward mani di forbici e Leonardo Da Vinci. Con il primo, oltre al nome aveva in comune il fascinoso look da outsider e la strabiliante magia che si sprigionava dalle mani, mentre con il secondo condivideva la grande ammirazione per paesaggi ameni come quello sullo sfondo della Gioconda.
Trasferitosi finalmente in Italia, si stabilì in un grazioso e spazioso appartamento di un antico borgo medievale in provincia di Siena.
Da lì, poté gettare le basi del suo successo come artista, confidando sia nella provvida fonte di ispirazione della vista di cui godeva dal laboratorio allestito in casa, sia nell'efficacia di un potente mezzo di diffusione come Internet, che avrebbe reso note le sue opere in tutto il mondo.
Dalle mani del "ragazzo straniero", come veniva chiamato sul posto, iniziarono così a prendere forma figure di madri e sorelle, padri e figli, virtuosi e peccatori. Un intero "paesaggio" umano, insomma, vettore di storie con trame ben congegnate e con precise collocazioni in uno spazio fisico ben delineato, indipendente dal resto come un palco pronto a ospitare una rappresentazione teatrale.
Al culmine degli slanci creativi, come per rafforzarne l'afflato, la mente di Eddie proiettava immagini di veri capolavori che, visti dal vivo, lo avevano fortemente impressionato. Uno su tutti era il Cristo velato, che aveva ammirato durante un viaggio a Napoli. Trovava strabiliante la precisione con cui il velo, dalle infinite pieghe che come rivoli si dipartivano da un fiume, seguiva fedelmente le forme del corpo, e sensazionale la vita che animava il volto del Cristo, traboccante di emozioni e tutt'altro che fisso e silente pur nascendo dalla fredda pietra che è il marmo.
Mentre realizzava le proprie opere, piacevolmente imprigionato in una sorta di distacco dalla realtà, il ragazzo straniero provava la stessa ebbrezza contemplativa con cui Boccadoro, figlio della penna di uno scrittore che amava molto, Herman Hesse, osservando un giorno una statua raffigurante la Madonna fu colto da una rivelazione tale da imprimere una svolta decisiva alla propria vita, indicandogli chiaramente di seguire il destino scritto per lui, quello di scultore.
Le figure concepite dalla creatività di Eddie erano l'alfabeto di un suo personale linguaggio legato a esperienze, sentimenti e sensazioni del passato ma anche del presente: vi trasferiva infatti, ora nei lineamenti di un volto, ora in un particolare movimento catturato, ora in una data postura, tutto ciò che assimilava costantemente nel luogo incantato in cui viveva. Quasi volesse ripagare la natura per i doni emotivi che ogni giorno gli offriva, il "ragazzo straniero" riversava in quelle sue creature tutta l'energia che l'ambiente intorno elargiva a profusione. Poteva essere un semplice canto di uccelli, uno stormire di fronde, la melodia prodotta dall'acqua che sgorgava da un ruscello poco distante da casa, l'alba che stupiva sempre per l'intensità struggente, il tramonto dai colori fragorosi.
Gli piaceva pensare di riuscire a trasferire la vita nelle sculture, dotandole di un metabolismo tutto loro con cui potevano assorbire ogni vibrazione proveniente dall'esterno.
Col tempo e con l'aiuto di qualche conoscenza fatta sul posto, l'artista, appellativo che andò a detronizzare quello di "ragazzo straniero", creò anche un sito Web personale, allestendo così una degna vetrina per i suoi lavori. Grazie all'intraprendenza e all'efficacia dei social network, riuscì dunque a farsi una fama, non solo come scultore ma anche come uomo, per via della scelta di vita in qualche modo estrema che aveva abbracciato e che suscitava ammirazione.
In molti amavano infatti le opere del suo ingegno, di certo diretto riflesso di un animo eletto, ma venivano conquistati anche dalla forte personalità che lo aveva indotto ad abbandonare i ritmi mondani in favore di un rifugio in seno alla natura, nonostante la giovane età.
Tale era il consenso che Eddie iniziava a riscuotere anche nei cittadini del piccolo borgo, di colpo percorso da un'energia contagiosa, una sorta di risveglio dopo un lungo letargo, che le madri di alcuni giovani del posto gli chiesero non senza imbarazzo se potesse insegnare ai loro figli, insicuri e timidi, quell'arte tanto affascinante e dal sapore squisitamente antico in grado, chi lo sa, di proiettarli anche verso il futuro, visti i successi lavorativi che lo scultore stava riscuotendo.
Vinta l'iniziale riluttanza, l'artista decise di dare lezioni a un piccolo gruppo di adolescenti; poi, resosi conto di avere una sorta di vocazione per l'insegnamento e di poter a sua volta apprendere dai ragazzi, migliorando il proprio italiano con la pratica costante, fu conquistato sempre più dall'entusiasmo. Dati gli ottimi risultati ottenuti, prese dunque una decisione: dar vita a una vera e propria officina di talenti che aiutasse tanti "Edward" del borgo a uscire finalmente dal bozzolo.
Con l'aiuto di molti volontari, animati dall'idea di realizzare un progetto comune e di pregio, BeCreative divenne così una realtà, affiancata da un motto che ne sottolineava l'intento: "Creare per crescere".
L'intera comunità avrebbe beneficiato dell'iniziativa, come testimoniò il tempo.
Oltre all'interesse che l'officina di talenti suscitava nei paesi limitrofi, richiamando un numero crescente di visitatori e turisti, Eddie, ora inarrestabile, aveva avuto anche l'idea di ridare dignità, con un tocco artistico, a vecchi tronchi disseminati un po' dappertutto nei pressi della sua casa‐laboratorio. Senza abbatterli, in modo da lasciarli a testimonianza di una vita che fu ma che poteva ancora essere, seppure sotto un'altra forma, ne lavorò dapprima la superficie, per poi ricavarne forme quali fiori, funghetti, rami e altre meraviglie della natura.
Il tocco finale lo lasciò ai suoi giovani allievi, ai quali assegnò il compito di dipingere l'opera finita con colori vivaci che richiamassero il paesaggio intorno, aggiungendo note di colore che costituissero un'attrattiva per tutti.
Diffusasi la notizia sul territorio, in tanti venivano a vedere entrambe le realtà ideate dall'artista, che nel frattempo aveva separato il laboratorio dal resto della casa aprendolo alle visite a pagamento. Spinto da una logica tutt'altro che commerciale, Eddie aveva pensato che l'accesso al pubblico a un prezzo simbolico potesse contribuire al finanziamento della propria attività in continua espansione, senza sottrarle però la dimensione intima e speciale che lo caratterizzava, l'anelito da cui aveva preso vita.
La magica creatura, come il giovane outsider di Dublino amava definire la realtà complessiva messa in piedi, sarebbe stata premiata in futuro con vari riconoscimenti, sia per il prezioso contributo dato per la visibilità offerta a giovani talenti del posto, sia per l'impegno profuso per la valorizzazione del territorio.
Tutto questo, instillò in Eddie un orgoglio tale da potersi definire paterno e che, puro e scevro da fatui sogni di gloria, lo spingeva ogni giorno a compiere la sua missione: lasciare che l'arte trasformasse dei fragili virgulti in solidi arbusti.