Edizione straordinaria

Era lontana, circa sedici passi.
Scorgevo i suoi colori sgargianti, il suo trench, di un rosso acceso venirmi incontro
con passi alquanto sostenuti.
Il suo sorriso, quel sorriso, che solo a vederlo, ti aggiustava la giornata.
Tutto intorno appariva come statico, niente dava l’impressione, che da li a poco ogni cosa, avrebbe potuto mutare il destino di entrambe e non solo il nostro.
Il cuore, sembrava non essere calmo, mentre lei percorreva i pochi passi, che la separavano da un caloroso abbraccio, il mio abbraccio, che la aspettava.
Un gesto qualunque in un momento qualunque, diedi un occhiata all’orologio, erano quasi le ore 19:35 del giorno 23, una domenica di Novembre.
Le labbra stavano per sillabare ed accennare un saluto.
Quando tutto sembrò girare, poi il buio, un boato ininterrotto venire dalle viscere del suolo.
Non so come, ne perché, un risveglio.
Non percepivo più il mio corpo, non so quanto il tempo passato. Interminabili minuti.
Forse uno, forse due, ma non era questo il punto della situazione.
Con un filo di fiato, quello, che forse non avrei potuto neanche immaginare di avere.
Chiamai il suo nome, Rosaria.
Panico, macerie, dolore e dopo qualche istante sentii pronunciare altrettanto con voce flebile il mio nome.
Antonio! Intanto, scosse su scosse, scuotevano ogni cosa, crolli si susseguivano a boati.
Tutto sembrava portarci sempre più a fondo, sotto le macerie.
Intanto al di fuori, chi poteva aiutarci, finché eravamo lì ancora in vita, si stava attivando per prestare ogni genere di soccorso.
Persone, che erano lì ed udivano le voci, si apprestavano a scavare con le mani, forsennatamente, pur di strappare una sacra vita alla morte.
Quel che contava in quell’istante, era questo.
Per noi, che eravamo lì sotto le macerie e per coloro, che erano lì sopra noi a confortarci, a cercare, a costo di ogni sacrificio, di riportarci alla luce.
Intanto, udivo le voci di colui, che cercava di interloquire con me.
Mentre io, avevo un solo pensiero nella mente, ed era lei.
Mentre la voce mi chiedeva, io parlavo di lei dicendo: è qui, sotto le macerie! Ho chiamato il suo nome, mi ha risposto. Si chiama Rosaria Acanpora, ha 34 anni.
Tutto ciò che riuscii a dire. Poi instanti in cui non ricordo.
Attimi, che si alternavano a scosse ed intanto percepivo sempre la voce, che non aveva volto, quella che mi diceva ogni tanto resta sveglio, mi senti Antò?
Io rispondevo, sempre flebilmente e chiedevo ripetutamente di lei, mi dicevano, sta tranquillo. Ci siamo quasi!
Lei sta ammaccata come te. Ma tutto va bene anche per lei.
Noi siamo qui.
Antò! mi dicevano.
Ci hai detto il tuo nome, sappiamo che hai detto di avere 38 anni, ma possiamo sapere il tuo cognome, che ancora non l’hai detto.
Ero stremato come loro.
Ma nonostante tutto, mi chiedevano ancora, un piccolo sforzo.
Mi dicevano, ci siamo quasi. Non è molta la distanza per raggiungerti.
E lei? Chiedevo io.
Lei è socievole ed è simpatica più di te, Antò.
Ed io lo sapevo, che lo dicevano per esorcizzare l’attimo.
Dai, dicci il tuo cognome.
Mi chiamo, Antonio Sorrentino.
Ascoltami bene Antò, mi diceva quella voce senza volto.
Stremata, ma sicura, decisa, pronta ed attenta.
Noi stiamo provando a tirare fuori prima te, perché siamo un po più distanti da Rosaria.
Non preoccuparti.
Facciamo così, perché ti abbiamo trovato un po di tempo prima, di trovare la tua Rosaria.
Ah, Antò! Rosaria ci dice di dirti: che ti vuole bene!
Ditegli, che le voglio bene anche io.
Intanto il mio angelo, quello che stava dando tutto se stesso, con la sua squadra e con tutti quelli, che erano lì, mi disse: Antò! Noi siamo sicuri di essere quasi lì, al punto di darti almeno, uno spiraglio di luce.
Pensiamo con una spalata, massimo due, di farcela.
Solo, che dovrai in qualche modo, resistere ancora pochi istanti.
Non so da questo punto in poi dirvi, cosa è accaduto.

Tesoro mio, mi sono spento, alle ore 01:05 del 24 Novembre 1980 così, a soli 38 anni. Come te, che ne avevi solo 34.
In questo cielo da ora in poi, non ci resta che volare.

Io in funzione di pubblico ufficiale, medico in servizio, ed in supporto ai soccorritori dei Vigili del Fuoco, con il pronto e provvidenziale soccorso civile di Mario Tudisco, operaio di 48 anni, che anche da testimone, insieme ai presenti tutti, ed alla mia medesima persona, non può altro, che relazionare e dichiarare, costatandone il decesso alla suddetta ora, di Antonio.

Alla memoria dei tanti, ed in memoria di Antonio e Rosaria.

Questo racconto, si ispira e trae la sua narrazione, dai fatti realmente accaduti, nell’anno 1980 in Irpinia. Capoluogo della Regione Campania, anch’essa colpita da questo terribile terremoto, che spezzò le vite di tanti.
Distruggendo non solo case, ma sogni e quant’altro la vita stessa sosteneva.

I nomi ed i cognomi dei personaggi, sono presi e citati in maniera del tutto casuale. Quindi così da ritenersi: frutto dell’inventiva dell’autore.

Antonio e Rosaria, due nomi tipici di questa Regione, Sono i simboli rappresentanti di questo racconto.

Vite alla morte, furono strappate, questo è certo, con l’aiuto di tanti, che appunto furono “come si potrebbe dire”, scampati al pericolo. Ma e certo anche che questa immane catastrofe o tragedia qual dir si voglia, diede alla morte altre tante vite.
Uno scorcio di storia, che si uniforma ad altre storie.
Storie, che si accomunano nei tempi e lasciano spazio a chi ricorda bene quegli istanti, “di cui io ho sentito solo narrare”. Solo lo spazio, per poter con un velo di timore, si! Ma di certo anche, con qualche lacrima di commozione, ricordare tutti nessuno escluso.
A simbolo questa storia dice, ed ancora imprime.
In ricordo, ancora e sempre una prece.