Ein vorurteil o il pregiudizio
Albert Einstein è seduto su di uno scoglio. E’ un masso calcareo, bianco, levigato dal mare. La posizione di Einstein è insicura, con la mano destra trattiene il peso del corpo. Indossa calzoncini corti a mezza coscia, scuri. Gambe magre, agili, piccoli piedi in gentili sandali bianchi. Una polo chiara, lo scollo è ampio, slabbrato dall’uso. Una raggiera di capelli bianchi mossi dal vento che gli giunge alle spalle. Ne intuisco la direzione dalla superficie del mare dietro di lui con piccole onde nervose, frequenti. Il volto è serio, ma c’è un accenno di sorriso tra i baffi scuri.
Una baia, forse un lago. Solo due piccole barche all’ancora. Non si scorgono persone, neanche sulla sponda opposta. Una posa per una foto di famiglia o, dato il posto, una fuga d’amore, gli anni non contano. Comunque l’operatore deve essere femmina: Einstein sembra qui voler dare il meglio di sé!
A grossi caratteri verdi su uno sfondo azzurro una sua frase: ‘Es ist schwierriger ein vorurteil als ein atom zu zeratoren’. (E’ più difficile infrangere un pregiudizio piuttosto che un atomo). Sul retro della cartolina la calligrafia di mia nipote Sara: “Se passi da Vienna per il congresso, telefonami.”
In una fredda sera d’aprile, in una Vienna avvolta da una bufera di neve, attendo Sara alla Clinica della Birra. Tavoli di legno, spazi angusti contesi da mucchi di cappotti appesi, ragazzi, ragazze, voci, risate, luci, odori. Sara entra con i suoi ventiquattro anni, punteggiata di neve. Mi individua subito. Sono l’unico avventore solitario. Devo avere un aspetto frastornato.
“Coraggio zio, arrivano i rinforzi!”
Stento a vederla come donna, come un cervellone di fisica che vive tra cervelloni alla corte di un aspirante al Nobel. Prevale la sua immagine di bambina che gioca con altri bambini, i miei figli, su di una assolata spiaggia di Calabria.
Un’immensa milanese, la cotoletta viennese, si intreccia a parole e a birra opaca e ghiacciata
‐“Il VORURTEIL: il pregiudizo, qui come và? È veramente così dura come asserisce il tuo vate?”‐ le chiedo mentre saluta un biondo collega al tavolo vicino.
“Zio, ricordi cosa dicevi a noi ragazzi? Per cambiare un pregiudizio si dovrebbe intervenire con maschera e fiamma ossidrica, come se si trattasse di ingranaggi di ferro!”
“ Ma dimmi, qual è la posizione politica degli studenti, sono di sinistra?”, le chiedo mentre un canto duro e scandito prende il sopravvento.
“Appartengono quasi tutti ad associazioni di destra, anche se poi manifestano in piazza quasi ogni giorno.”, mi risponde.
“Ma non ti sembra un’incongruenza?”‐ urlo, per superare il canto fattosi sempre più intenso
“Sì, certo. Ma non circolano tra di noi pensieri chiari. Si ha la sensazione che si voglia celare qualcosa”; oramai urliamo entrambi per farci sentire.
“Il VORURTEIL!”, le rammento. Lei mi sorride e tace.
All’uscita Sara mi precede sul marciapiede di fronte. Continua a nevicare.
“Stai fermo sulla porta che ti immortalo.”
Un autobus di linea si è fermato alla mia destra. Il conducente ci guarda con volto serio. Attende che si scatti la foto per ripartire! Mi sento arrossire. I passeggeri dell’autobus ci osservano impassibili. I secondi si allungano. Il flash mi viene in soccorso e il moto riprende