Emidio

Emidio arrivò a toccare la scarpa con la punta delle dita.

Era accucciato a terra, con il braccio destro infilato a fondo sotto il letto e le ginocchia schiacciate sul pavimento in cotto. La spalla distesa tirava talmente da provocargli una fitta dolorosa e appuntita proprio sotto alla scapola.

“E dai, dai" le dita incerte sfiorarono di nuovo il cuoio del mocassino, ma niente di più.

“E dai porca miseria, vieni qua, dai" il mocassino scivolò qualche centimetro più in fondo, spinto dal tremare cronico della mano destra.

Emidio si distese a terra, con la camicia di cotone bianca e i pantaloni in fresco di lana stirati alla perfezione dalla signora Ebe, quinto piano. Vedova.

Strizzò gli occhi alla penombra, individuò la scarpa, si allungò ancora di più sotto al letto e non ci arrivò nemmeno vicino. Allentò la tensione alla spalla, riavvicinando la mano al corpo ma rimase lì disteso a guardare il pavimento coperto di polvere.

“Accidenti che schifo, è proprio sporco qui sotto.”

La donna che due volte alla settimana puliva tutta casa era una filippina di nome Pilar, ma lui la chiamava Maria perché Pilar proprio non gli sembrava un nome da donna. Lei era silenziosa e minuta, diceva di aver lasciato marito e due figli all’altro capo del mondo, e ogni tanto faceva brevi telefonate commosse, al mattino presto.

Maria gli piaceva perché parlava poco. Entrava in casa con il suo mazzo di chiavi mentre lui era ancora a letto, e quando la sentiva chiudere la porta e aprire le finestre della cucina prima di preparare il caffè, lui si alzava, si infilava la vestaglia, gli occhiali e le pantofole, poi entrava in cucina che lei era di spalle, intenta ad armeggiare con tazzina e zuccheriera.

Due volte alla settimana Emidio si concedeva il lusso di aspettare seduto e insonnolito, che gli servisse il caffè. Con il tempo era diventata perfino brava nel farlo.

Qualche giorno prima l’aveva trovata ferma di fronte alla televisione stranamente accesa, con le mani intrecciate premute sulla bocca. Lui si era fermato sulla porta, inebetito e sorpreso. Il telegiornale delle sette mandava in onda immagini di uomini scuri e piccoli in lacrime, di acqua, fango. Case distrutte.

Maria aveva occhi sgranati e tondi, mentre il caffè gorgogliava nella moka. Emidio aveva spento il gas e preso una tazzina dallo scolapiatti sopra al lavello.

“E’ il tuo paese ?" le chiese senza voltarsi. Le mani gli tremavano un po’, ma era normale a quell’ora del giorno.

“Sì" rispose lei con la sua voce sottile “è la stagione dei monsoni".

Lui sorseggiò il caffè e la guardò attento. Maria si riscosse e voltò le spalle alla televisione.

“Il caffè non è bruciato, vero?” gli chiese

“No, va bene. Hai chiamato a casa? Hai notizie, stanno bene ?”

“Non c’è linea per telefono, ancora non sappiamo niente"

Si era ritrovato senza nulla da dire. Lei aveva spento la televisione, prima di sparire in camera da letto con lo straccio per spolverare.

La volta dopo aveva una faccia tirata e magra. Emidio nel frattempo aveva saputo dalla signora del quinto piano che la madre di Maria era morta nel fango, così le aveva fatto trovare un biglietto di condoglianze scritto a mano, listato a lutto sull’angolo destro della busta. Lei lo aveva letto lentamente, scandendo le parole con le labbra mute, prima di infilarlo nella tasca del grembiule.

Emidio guardò tutta quella polvere sotto al letto e si chiese se risalisse ancora al giorno dell’inondazione, al giorno del lutto di Maria. Pensò al modo giusto per fargli notare quella mancanza, ma non trovò niente che non sembrasse un ordine e lasciò perdere.

Di recuperare il mocassino in quel modo non c’era proprio verso. Per cui fece forza con le braccia magre tentando di risollevarsi. Fu più difficile del previsto, ma alla fine si ritrovò ansante e in ginocchio, con una mano sul bordo del letto e strisce di polvere sulla manica stropicciata.

“Sono vecchio" pensò “così vecchio da rischiare l’infarto per una scarpa”.