Euclide l'avvenente
Chiamarsi Euclide Giuseppe Maria poteva ed era una calamità per il portatore di questo nome, se poi si aggiungeva il cognome Miseria il quadro era completo. Solita storia, un nonno portatore di quel nome aveva chiesto (meglio dire imposto) al figlio Gaspare di battezzare il nipote col suo nome, il nonno Euclide era stato convincente considerata una sua qualità peculiare: era molto ricco e come la maggior parte dei benestanti voleva sempre imporre la sua volontà. Mentre per cambiare il cognome sarebbe occorsa la decisione di un magistrato né si poteva per motivi di opportunità ricorrere al cognome materno De Troia, la madre Maria Pia preferì chiamare sin da piccolo Euclide col nome di Peppe, non si poteva dire un cambiamento completo di nome, era il suo secondo appellativo. A scuola sino alla quinta elementare nessuno fece caso a quel nome fuori del comune ma sin dal primo giorno di lezioni alla prima media le prese per i fondelli da parte dei compagni di classe era all’ordine del giorno. Secondo i principi di non violenza inculcatigli dal nonno religioso, Peppe all’inizio fece lo gnorri ma un giorno all’uscita dalla classe, in giardino della scuola gli girarono i zebedei e decise che era ora di metter fine a quella presa per i fondelli: ‘Euclide! Euclide! Euclide!’, caricò di botte il primo compagno di classe che gli capitò vicino e gli fece gli occhi neri, se lo poteva permettere data la sua stazza di ragazzo robusto, da quel momento fu per tutti Peppe. Conquistò anche la ammirazione delle femminucce compagne di classe che lo guardarono in altro modo, aveva dimostrato di essere un vero maschio. Passato a miglior vita il nonno, Peppe, anche se minorenne si trovò proprietario di un bel gruzzolo sia in terreni che in fabbricati oltre ad un sostanzioso conto in banca. Chiese al padre suo tutore l’autorizzazione ad acquistare il motorino Aprilia 50 CC., lo fece modificare da un amico meccanico per portare la sua velocità sino a settanta chilometri all’ora, caricò sul trapuntino posteriore Stella una sua compagna di classe e giunse alla loro scuola ‘Paino’ fra l’invidia dei compagni e delle compagne. Dietro anche consiglio di papà Gaspare, Peppe per togliersi anche di dosso quell’atmosfera di prepotente e di riccone, invitò alla trattoria ‘Del Popolo’ tutti i venti compagni di classe. Lunga tavolata, dieci colleghi dieci a destra e dieci a sinistra, capo tavola Peppe. Ad un certo momento Peppe si accorse che da sotto il tavolo una mano cercava di aprirgli la patta dei pantaloni, si guardò in giro mancava solo Stella, non poteva essere che lei, un mistero come aveva fatto a posizionarsi sotto il tavolo. La ragazza forse per il troppo vino ingurgitato prese in bocca il pisello di Peppe diventato subito pisellone e poi ingurgitò il tutto. Peppe cercò di fare l’indifferente, qualcuno si accorse del suo cambiamento in viso ma la certezza della manovra ci fu allorquando Stella, gioco forza, fu costretta ad uscire da sotto il tavolo, risata generale e: ‘Pompinara! pompinara! La ragazza sparì dalla circolazione, il giorno dopo non si presentò in classe, preferì farsi trasferire in altro istituto. La famiglia Miseria, non più in miseria dietro imput del padre Gaspare e d’accordo Peppe trasferì il proprio domicilio in via Garibaldi, quinto ed ultimo piano di un ampio appartamento che si affacciava anche in viale della Libertà con visione del porto di Messina e dei traghetti che diuturni trasportavano uomini e mezzi sino a Villa San Giovanni. Con la maggiore età ed il conseguimento della patente Peppe acquistò una Fiat 695 Abarth cui, more solito aveva fatto modificare il motore portando la velocità superiore ai duecento k/m ora con il conseguente maggiore rumore della marmitta sfondata. Il signorino talvolta riusciva a non pagare le contravvenzioni dei vigili tramite qualche amico, altre volte…pagava. Non essendoci a Messina degli autodromi, Peppe sfogava la sua voglia di velocità sui tornanti dei Monti Peloritani, il rumore della sua Abarth si poteva sentire dalla via Palermo sino a Dinnamare sopra i mille metri di altezza. Il panorama era rilassante, un piacevole silenzio dopo tanto rumore. Al ritorno quasi tutto il tragitto a folle, Peppe voleva godersi il meritato silenzio. Il giovane aveva preso confidenza con Gnazio Caruso portiere del suo stabile, il cotale non più giovanissimo era poco loquace ad contrario di tanti suoi colleghi ma sapeva tutto di tutto soprattutto quando incassava una meritata mancia. “Gnazio passando per via Colapesce ho visto tre belle ragazze entrare in un portone, mi è parso che fossero delle professioniste, ne sai nulla, qua ci sono cinquanta Euro.” “C’è una casa di appuntamento, i prezzi sono alti.” Peppe se ne fregò dei prezzi alti, suonò al citofono dell’ultimo piano, fu accolto gentilmente da una signora non più giovane: “È la prima volta che la vedo, come posso esserle utile?” “Vorrei conoscere da vicino una delle tre ragazze…” “Un attimo che le chiamo. “ Quando si presentarono Peppe riconobbe una sua compagna di Università: “Marisa…” “Lei si sbaglia signore, io mi chiamo Lucia.” Peppe capì il suo errore, chi faceva la prostituta non si presentava mai col suo vero nome. “La precedo.” In camera: “Scusa la mia gaffe, è stato istintivo per me…non ti faccio una domanda sciocca la classica: che fai qua dentro?” “Finalmente dimostri di essere intelligente, non mi vada ‘stare’ con te, più tardi torniamo sotto insieme, puoi anche non pagarmi ma se…” “Non ci vuole molto a capire il motivo…i soldi sono un necessità e la loro mancanza crea problemi e ti fa prendere decisioni che in altri momenti…” Marisa prese piangere, è l’unico modo per intenerire un’anima pura come quella di Peppe che: “Qui ci sono cinquecento Euro, sdraiamoci sul letto, voglio solo guardarti in faccia, sei molto bella.” Forse la cortesia ed anche il denaro portarono Stella a finire il piagnisteo, dopo mezz’ora: “Ora scendiamo dalla signora, dalle cento Euro, non mi sento di stare più qui, accompagnami al bus, ritornerò a Milazzo dove risiedo.” “Niente autobus se vuoi puoi venire a casa mia, ho la macchina qui sotto.” Marisa dapprima titubante si convinse, Peppe sembrava una persona per bene. “Mamma questa è Marisa una mia compagna di Università, risiede a Milazzo, l’ho invitata,a casa nostra per studiare insieme.” “Finalmente ti sei deciso…” “Non mi sono deciso a niente, mia madre vede in ogni ragazza che le faccio conoscere una mia probabile moglie, vuole diventare nonna, le ho detto che se lo può dimenticare, i ragazzini di oggi sono dei rompiballe, io voglio godermi la vita.” “Non fare il duro, anche se ci conosciamo da poco non mi sembri il tipo, ed ora, se possibile, facciamo tacere la fame…non quella cui pensi tu, zozzone che non sei altro, andiamo in cucina.” Paola, la cuoca accolse con giovialità la nuova venuta, le strinse la mano: “Fra mezz’ora in sala da pranzo.” Alla fine del pasto: “Paola è veramente brava, quasi quasi mi metto a vitto da voi.” Maria Pia: “Ti invito io dato che il qui presente…” “Telefono a mia sorella Violetta a Milazzo.” Anche papà Gaspare gradì la presenza in casa di Marisa, la baby aveva conquistato tutta la famiglia. Dopo cena un po’ di televisione poi Maria Pia: “Dormirai nella stanza degli ospiti, ti presterò una mia camicia da notte.” Peppe più tardi raggiunse Marisa nella sua camera: “Voglio stare un pó con te se me lo permetti, se te la senti raccontami la tua storia.” “Mia madre è morta di cancro, mio padre pescatore è sparito in mare, mia nonna tira avanti con la pensione di riversibilità, viviamo in una piccola casetta, non abbiamo altre entrate, ecco spiegato…” “Puoi restare quanto vuoi, potrei accompagnarti in auto a casa tua.” A Milazzo Peppe conobbe Violetta la sorella di Marisa, una sedicenne che dimostrava molto meno della sua età. Decisione istintiva di Peppe: “Potete venire tutte a casa mia a Messina, Violetta potrebbe frequentare la scuola al liceo Bisazza, son sicuro che sarete ben accette dai miei.” La nonna Benedetta rifiutò: “Sono abituata a vivere in questa casa, ci voglio morire, voi due andate con Peppe, penso che vi tratterà bene, auguri a tutti.” La commozione accompagnò i tre sino a Messina, tutta la loro vita sarebbe cambiata. Le due sorelle si trovarono subito a loro agio ben accolte da tutti gli appartenenti la famiglia, la mattina Peppe e Marisa all’Università in macchina, Violetta a piedi al Bisazza. Marisa aveva preso l’abitudine di passare la notte in compagnia di Peppe, una sera una novità: Violetta volle far compagnia alla sorella nella camera di Peppe che non seppe cosa supporre. “Ti ho pensato a lungo, sei un uomo fuori del comune, vorrei ricompensarti a modo mio, tu chiudi gli occhi.” Peppe fu baciato dalla testa ai piedi, poi ritorno su ‘ciccio’ inalberato al massimo che fece provare alla baby il suo sapore, era questo il ringraziamento di Violetta. Agli esami di licenza liceale di Violetta erano presenti in cinque Paola compresa che si commosse sino alle lacrime poi tutti al ristorante. Promozione con ottimi voti da parte di Violetta, un mutamento da parte di quest’ultima, truccata da Maria Pia era completamente cambiata, era diventata una donna. Qualcosa si modificò nel menage di casa Miseria, la conoscenza da parte di Peppe e di Marisa di una loro insegnante dell’Università: tale Letizia Urbani docente delle materie di storia, di lettere e di semeiotica, era una donna di media statura, capelli biondi all’indietro, volto volitivo un po’ mascolino, gambe ben allenate in palestra, sorriso piacevole. A tavola signorilmente fece i complimenti a Paola, andò sul balcone a fumare una sigaretta seguita da Marisa, anche lei fumatrice. Peppe e Violetta andarono nel salone, la ragazza abbracciò il suo benefattore, qualcosa stava succedendo fra di loro… Letizia invitò Marisa a casa sua in via del Vespro, nessuno comprese il motivo di quell’invito, solo Peppe ebbe un flash: Letizia forse amava più i fiorellini delle femminucce che i piselloni dei maschi, ci azzeccò, Marisa il giorno dopo confessò alla sorella ed a Peppe di aver lei scoperto gli stessi gusti si Letizia. “Più di una sorella maggiore sono per Violetta una seconda madre,!” “Si ma qualche volta un ‘passaggio’ a tuo cognato…” “Non se ne parla proprio, se ti comporterai male con Violetta sono c. tuoi!” “Per c. intendi cazzi?” “Si proprio quelli e per di più amari!”