Faccia di clown
Quando la pioggia comincia a scendere con piccole gocce che sembra quasi che bussino timide sul vetro dell’auto, ho spesso la sensazione che stia per iniziare qualcosa. Non so se dipende dalla luce che cambia all’improvviso, o dalla simultanea apertura degli ombrelli dei passanti, ma dentro di me c’è questa sensazione che, spesso, passa veloce e viene dimenticata.A volte però, come in questo caso, qualcosa cambia in me all’improvviso, nel senso che la musica che manda l’autoradio comincio a non sentirla più, la gente che passa è come ombre qualunque, tutto intorno prende il colore del cielo che manda la pioggia e sembra un contorno illeggibile, come quando si fotografa un oggetto in primo piano, sfocando tutto il resto.Quando l’attenzione si concentra sul volto o l’oggetto da fotografare, anche la mia mente si restringe ad un solo pensiero. E spesso, ed è questa la cosa più singolare e, se vogliamo, anche un po’ comica, quello a cui penso non è oggettivamente importante. Per niente. Voglio dire che non è detto che mi vengano in mente problemi o desideri o cose comunque che riguardano la mia vita. Ed infatti stavo pensando alla strada. Si perché ogni tanto passo di là, per quella strada, in particolare quando torno dal lavoro. Non mi piace infatti fare sempre lo stesso tragitto, non sono abitudinario in questo. Per il resto sì, devo ammetterlo, i cambiamenti mi sconvolgono sempre un po’! Poi mi abituo, soprattutto se si tratta di situazioni non particolarmente importanti. Però all’inizio c’è sempre una sensazione simile ad una piccola paura, ad un’incertezza per qualcosa che potrebbe destabilizzare un equilibrio ormai consolidato e che evidentemente, mi dà in qualche modo una certa sicurezza.Quindi mi chiedo sempre se il nuovo sarà meglio o peggio, come potrei magari trarne benefici o averne difficoltà. E’ un lavorìo mentale che quasi sempre si esaurisce in breve tempo, ma c’è.E a volte mi chiedo perché non inventano una macchina, un apparecchio che freni i pensieri inutili. Eh, sarebbe bello; immaginate di sentire un “bip” mentre state pensando che il nuovo capo che verrà nel vostro ufficio sarà un despota senza scrupoli o una persona ragionevole e ben disposta, oppure quando state cercando di capire se il cambio di senso di marcia della via in cui abitate sarà vantaggioso per voi oppure il contrario, se il videoregistratore che avete appena comprato sarà veramente stata un’occasione e se sarebbe meglio sistemarlo su quel mobile o su quell’altro.E vogliamo parlare della campagna acquisti della squadra di calcio per cui fate il tifo?!E via così. Sarebbe un “bip” di risparmio energetico per il nostro cervello veramente utile!E mentre “perdevo” energia mentale a pensare se fosse meglio azionare subito il tergicristallo dopo quelle prime gocce, sono stato aiutato da un bip proveniente dal cielo insieme ad ettolitri di pioggia, che mi hanno “costretto” a pulire il vetro.E così il pensiero è stato circoscritto alla strada, come dicevo poco fa.Mi ha sempre colpito il fatto che la mattina questa via è a senso unico in una direzione, mentre il pomeriggio lo è nell’altra. Sì, è veramente una cosa curiosa. Credo tra l’altro che dipenda dai banchi del mercatino che c’è la mattina e dal viavai di persone che lì comprano le cose più strane. Ma perché poi al pomeriggio il senso di marcia viene invertito, questo proprio non lo so. Ma, come volevasi dimostrare, anche questo non è certo un pensiero, diciamo così, costruttivo. Forse la spiegazione di queste mie piccole interrogazioni sta tutta nel fatto che sono sicuramente una persona molto curiosa. Ma qui voglio fare una precisazione: non sono un “impiccione”, nel senso che di sapere che lavoro che fa il vicino di casa oppure con chi è sposata quella famosa attrice, non me ne frega niente. Io sono curioso, o meglio, sarei curioso, di capire perché le persone (le persone in genere, anche quelle che non conosco) si comportano in un certo modo, perché indossano un abito piuttosto che un altro; o perché parlano da sole mentre camminano per la strada. Vorrei sapere cosa c’è dietro. Cos’è che fa comportare un individuo in un modo spesso singolare. E poi non mi si dicano le cose a metà: divento una belva! La mia curiosità potrebbe non farmi dormire la notte! Ma questo è un altro discorso.Assorto nel pensiero della strada, comincio a percorrerne il tratto dove ci sono sempre molte auto in doppia fila, zigzagando tra queste e le pozzanghere. Ciò mi distoglie dalla mia inutile curiosità e concentro l’attenzione sulla guida. Anche per non rischiare di investire i passanti che, cercando riparo dalla pioggia sotto le tettoie dei negozi, attraversano la strada, improvvisi come la pioggia.E freno infatti per far attraversare alcuni operai. Portano legno grezzo al negozio lì di fronte. Sono buffi, un po’ strani; tutti piccoli di statura con tute azzurre un po’ demodè. Riparto ma, con un riflesso fortunatamente pronto, schiaccio il pedale del freno per non investire un altro operaio che è sbucato all’improvviso non so neanche da dove. Si ferma, con le tavole di legno appoggiate su una spalla. Gli suono col clacson per invitarlo a passare. Lui allora, come se volesse sincerarsi di non rischiare di essere investito, sposta le tavole che gli coprono il volto e guarda verso di me.Non posso descrivere la sensazione che ho provato in quel momento. Credo di non trovare le parole per far capire quello che ho sentito. Forse una lastra di ghiaccio sopra la schiena nuda sarebbe passata più inosservata. E da lì che mi guardava con il suo volto….oddio, terribile! Era come se su quella tuta azzurra avessero messo la maschera di un clown. Ma non era una maschera; era la sua faccia!Non avevo mai visto una cosa simile, un volto quasi deformato, allungato, con strane orecchie, il naso… insomma era una faccia da clown, ma vera, in carne ed ossa!E mi guardava. Mi ha guardato per un momento interminabile. Mi guardava e stava fermo, respirando forte sotto la pioggia, con il fumo del suo fiato caldo evidenziato dall’umidità della pioggia. Sembrava non accorgersene della pioggia. Era lì tutto bagnato, con le pesanti tavole di legno sulle spalle e mi guardava. Ma perché mi guardava?! Forse anche lui avrebbe potuto pensare la stessa cosa di me, ma io …non avevo una faccia…così!Era come se lui lo sapesse e volesse dirmelo. O dirmi forse qualche altra cosa. Ma perché proprio a me?! Perché mi fissava in quel modo e perché non attraversava la strada? Quanto avrei voluto davvero che esistesse il “bip” in quel momento…Quello che desideravo di più era che passasse. Che passasse e mi dimenticasse. Ma perché avevo paura di essere ricordato? Forse avevo paura io di non dimenticare più lui…Ed invece del “bip” arrivarono i clacson degli automobilisti ormai in coda dietro di me, spazientiti per l’attesa. E questo sembrò risvegliarci entrambi, riportarci alla realtà. Lui passò, e passando sembrò che io per lui non esistessi più. Stavo pensando questo come ad una liberazione ed accelerai, ma non troppo, non abbastanza da non avere il tempo per guardare nello specchietto retrovisore. Mentre poggiava in terra le assi di legno, davanti al negozio, dietro la sua spalla il suo volto stava ruotando verso di me. Come in una scena al rallentatore, le sue palpebre (chiuse per lo sforzo fisico) si aprirono verso il mio specchietto, come la sua bocca che inspirò l’aria umida e malsana della pioggia mista allo smog delle auto, gonfiando il petto e pure il mio cuore, che cominciò a battere forte, mosso da un’emozione difficile da descrivere.Mi guardava di nuovo. Anche se per un attimo, stavolta. Ma mi impauriva.Costretto (per fortuna!) a proseguire per non bloccare di nuovo il traffico, tornai a casa con quell’immagine impressa nel fondo degli occhi, una fotografia stampata sul vetro dell’automobile.Non nascondo che per diverse ore ho avuto addosso una sensazione simile ad una maglia sintetica a 40° all’ombra, un senso di angoscia di cui non sono riuscito a svestirmi neanche quando ho indossato il pigiama per andare a letto. Ed era già abbastanza tardi e non sono riuscito ad addormentarmi per un bel po’. E stavolta non erano certo pensieri poco importanti…‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐Choco mi telefona in ufficio dopo pranzo, tutta contenta. La sua vocina è così dolce, ma anche così buffa che le rifaccio il verso.‐ Sai chi c’è in città? – mi chiede –‐ Mah, i palazzi, le persone, le auto…‐ Scemo!, volevo dire: sai chi è arrivato ?!‐ Chi è arrivato? – e il mio punto interrogativo era più che altro un punto di paura che fosse arrivato qualche lontano parente da qualche paese altrettanto lontano, per qualche altrettanto inopportuna gita di piacere (io odio quello che sconvolge i miei equilibri e quindi immaginate cene e tour cittadini con sconosciuti stranieri a cui sorridere tutto il tempo, e che ti dicono “io amare molto questo paese”, oppure “qui mangiare molto buono è”, ecc.; tutto questo magari durante la diretta televisiva della finale di coppa!…).‐ Vera con il bambino! –‐ Ah!… ‐ era talmente contenta che non ce l’ho fatta a dire: “ e chi è ?! “.‐ Che bello. E’ da più tre anni che non la vedo! Stasera è da noi a cena.‐ Bene…‐ dico, ma penso che avrebbe potuto rimanere altri trent’anni nel suo paese!…(come sono orso, però…).‐ Non ci vediamo dal giorno del diploma preso al corso di arredamento.‐ Ma dai?! – ed ora la mia “orsutaggine” lascia il posto ad una inconsueta umanità (apparente…), e ricordo di questa amica di Choco, piccola di statura come lei e con dei capelli biondi lunghissimi, innamorata di uno scrittore tanto brillante quanto bizzarro, e molto più grande di lei.‐ E il suo uomo? – le chiedo sperando un po’ che non ci sia (la sua presenza aumenterebbe la destabilizzazione dell’equilibrio!) e un po’ sperando invece di sì, perché la sua originalità mi ha sempre incuriosito (e come potrebbe essere altrimenti per un curioso come me?) e anche divertito, tranne quando beveva un po’ di più e mi teneva mezz’ora ad ascoltare il racconto del suo viaggio in Oriente…‐ E’ a Berlino, per una premiazione. Ti ricordi che scriveva tanti libri sulle culture orientali?‐ E come no?!‐ Hanno un bimbo di quasi tre anni. Vera mi ha spedito alcune sue foto qualche volta. Siamo rimaste sempre in contatto. Non pensavo sarebbe venuta così all’improvviso.‐ Eh, infatti! – dico, ma Choco è talmente su di giri che non si accorge del mio tono un po’ ironico.***La serata è piacevole, nonostante io non ami stare ad ascoltare due donne che ricordano i tempi passati, escludendomi per metà del tempo dalla loro conversazione e che parlino del bambino (ma soprattutto di bambini!) dicendo che fa questo, fa quest’altro, mangia o non dorme, e che da tanta soddisfazione. Ecco io questa cosa non l’ho mai capita! Una bella macchina ti può dare soddisfazione, una squadra che vince un torneo internazionale. Ma un bambino!? Che fa? Ti porta in un’ora da casello a casello o consuma poco? Mah, certi luoghi comuni non li capisco proprio, anche se i bimbi mi piacciono decisamente. E infatti per buona parte del dopocena , mi “cibo” io il piccolo Marc, che, inspiegabilmente (!) mi trova simpatico e mi da confidenza. Credo che nei bambini scatti ad un certo punto una molla; dopo che sono soddisfatti che si è parlato di 2 ore di quanto sono belli e bravi, passano all’attacco e si sfogano. Quindi manifestano la loro improvvisa (ma studiata, attenzione!) vivacità, tentando di rompere i CD a cui tieni di più usandoli come freesbe o fingendo amore disinteressato per uno sconosciuto (quasi comprendessero il suo disagio a trovarsi in mezzo a due donne che parlano di cose che a lui interessano, in una scala da 1 a 10, ‐25), e lo compatissero. Allora decidono, mossi a compassione, di “farlo giocare un po’, almeno non si annoia”. E sicuramente non mi sono annoiato, primo perché sono stati così impegnato a “parare” i CD dei Pink Floyd e degli U2” che il piccolo monello scagliava contro il televisore, che il resto la serata è passato molto velocemente. Però, togliendomi la maschera da uomomaschilistacheodiaidiscorsifemminilienonsopportalepappeeipannoliniperchèsonocosedadonna, devo dire che quel bambino è adorabile. Mi guardava come per dirmi: “ti sei ammorbato, bello eh?. Ti capisco. Ne vedo spesso di tipi come te. Ma che ci vuoi fare, forse un giorno anche tu romperai le scatole agli amici con le gesta del tuo piccolo campione di calcio di 5 anni”.Confesso che per un momento (solo uno però, eh) ho seriamente pensato che sarebbe bello avere un frugoletto che gira per casa a cercare i CD dei Queen per distruggerli; e che anche se li distruggesse, il suo tenero sguardo e le sue manine omicide mi “squaglierebbero” a tal punto che forse non riuscirei neanche ad incazzarmi. Lo prenderei in braccio e gli spiegherei che così non si fa, che deve essere bravo, che papà ci tiene tanto ai dischi rock anni ’70, come se a due anni magari potesse capire le cose che gli dice un padre ormai già bello rincoglionito. Lo coprirei comunque di baci e (e basta!, mica ci vorrai cadere!…).‐ Perché non portiamo Marc al circo domani? – dice Choco a Tanya (guardando me, però…) e questa sua “splendida” idea è quasi più dolorosa del lancio contro il muro del primo album di Sting. Accetto solo dopo aver saputo che il circo che era in città in quei giorni non faceva spettacoli con gli animali; quello no, non lo avrei sopportato.‐ Ciao Tanya. A domani. Ti passiamo a prendere verso le 20. Ciao piccolo. Dai un bacio, ecc. e qui i risparmio le solite scenette, risatine, facce buffe che si fanno ai bambini quando si vuole che con un bacetto o un sorriso vi confermino che gli siete rimasti simpatici.‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐Il circo è un po’ fuori città, ma impieghiamo poco per arrivarci. E per fortuna, perché il piccolo campione di freesbe era stato messo a conoscenza dalle due alleate del fatto che a me piace cantare e, soprattutto, che conoscevo tutta la canzoncina degli animali, quella dello spot in televisione. Si può immaginare il numero delle volte che mi ha chiesto di cantarla, con le mie ormai sempre più nemiche che ridevano a crepapelle.Nel tendone grande grande, come lo chiama Marc, c’è molta gente, e per fortuna i nostri posti sono buoni, in prima fila, anche se laterali. Da lì possiamo avere vicino ogni tanto alcuni giocolieri e altri artisti. Io non amo il circo, ma non solo per gli animali, è che mi mette un po’ di tristezza. Ho come l’impressione che dietro i sorrisi dei trapezisti, dei domatori e dei presentatori, ci sia una vita piena sì di sacrificio, ma anche di molto dolore. Ed intendo dire quel dolore interiore che si trasmette di padre in figlio, di famiglia in famiglia, quando si è costretti, non si sa perché, a svolgere ruoli obbligati. Ed il bello, si fa per dire, è che si ama questo modo di soffrire e ci si lascia trascinare senza mai ribellarsi, fieri del proprio ruolo e della propria immagine. E si sorride, apparentemente felici ed appagati, circondati da un tendone, o una roulotte, che sono la propria pelle, il proprio guscio, la propria madre, che non si ammira, forse si odia, ma che non si può lasciare. Perché comunque protegge, perché comunque fuori potrebbe essere peggio; si ha paura fuori dalla tenda, ci sono regole da rispettare, forse più difficili delle acrobazie su un trapezio.Ed eccoli, finalmente, i trapezisti. Sono quelli che preferisco, mi affascinano da sempre. Atleti fortissimi ed aggraziati, che sfidano il vuoto per un applauso, che ricambiamo poi, sempre, con un sorriso.Ed ecco di nuovo i clowns. Marc ride, anche se non capisce quello che dicono, ma non importa. Sono buffi, fanno cose buffe, sono proprio come dei bambini (tristi anche loro però). Fanno degli scherzi anche al pubblico, che ride di gusto e si coinvolge. Alcuni vengono fino da noi, altri fanno da spalla, restando più indietro. Hanno un compito di supporto, ma faticano con i tamburi, le urla e i balletti.Ad un certo punto ad uno di loro sfugge una palla e corre a raccoglierla, verso di noi. Lo rimprovera un po’ il capo clown e lui caracolla infastidito dietro alla palla che rimbalza proprio tra le mani di Tanya. Gliela porge, sorridendo ed indicando al piccolo il clown. Lui arriva, prende la palla rossa e fa per andarsene, quando il suo viso si gira verso il mio e si arresta, come folgorato, e mi guarda. Ho di nuovo la lastra di ghiaccio sulla schiena: è lui. E’ faccia da clown, il ragazzo della falegnameria, quello dell’altra sera che mi ha fissato mentre ero in macchina. E’ uno sguardo terribile, accentuato dal fatto che non ha una maschera, non ha quasi trucco, ma ha una faccia da clown! E’ difficile dire quello che mi passa per la testa in quel momento, ma sicuramente so che non è di nuovo per niente piacevole. Mi guarda ancora, per un altro istante interminabile. Ha la bocca aperta e i suoi contorni sono quelli di una bocca che urla disperazione, dolore e chissà che altro. E i suoi occhi sono grandi, grandi come la sofferenza che c’è dentro. E mentre è lì, con la palla in una mano e l’altra per terra che lo regge, trema, e viene richiamato con durezza dal capo dei clowns: “Che fai lì impalato? Ti sei addormentato? Vuoi che ti veniamo a prendere a calci?”. Si gira piano e poi torna col viso a scontrarsi col mio sguardo, o a cercarlo, e i suoi occhi ora sono colmi di sofferenza, la sua bocca è ancora più aperta, come se volesse dirmi qualcosa. Ma sono di nuovo i suoi occhi a parlarmi: mi chiede aiuto! Sì credo proprio che mi stia chiedendo aiuto. Ma perché a me? E perché vuole aiuto?Mentre penso a tutto questo, gli altri clowns lo hanno raggiunto e, scherzosamente lo prendono a calci nel sedere con i loro buffi piedoni. E lui scappa intorno al cerchio, salterellando come gli altri, che continuano a colpirlo. Fanno un giro tutti intorno e ci ripassano davanti. Qualche clown però mi sembra lo colpisca con forza, forse anche con cattiveria. Sembrano quasi schernirlo e lo apostrofano forte con frasi che fanno ridere il pubblico (e anche Marc), ma a bassa voce gli dicono cose terribili. Gli urlano “mostro”, “essere ripugnante”, “faccia di clown”, stasera ti riportiamo nelle fogne da dove sei venuto. Rimango attonito, sono sbalordito dalle cattiverie che ho percepito in quegli uomini, perché lo trattano a quel modo? Che ha fatto di male? Poi rifletto su quello che si vede in giro, su quello che si legge sui giornali, ripenso alle volte in cui anch’io, come tutti più o meno, ho avuto una sensazione di ribrezzo mista a paura forse, nel vedere persone deformi. Ma capisco, senza peraltro giustificare, che quegli uomini hanno trovato in lui il mezzo per sfogare forse le proprie frustrazioni, ed allora lo sbeffeggiano, lo colpiscono, lo ingiuriano. E la loro cattiveria gli fa male più del suo stato. Mentre corrono di nuovo davanti a noi, lui rivolge ancora lo sguardo. Ora sono sicuro: sta cercando aiuto. Da me! Mentre agita il capo deforme, rotolandosi nella polvere, scorgo una lacrima sul suo volto. Quasi si ferma tremante come se volesse attendere che qualcuno la asciughi; come se aspettasse che qualcuno la porti via, per non farla seccare, per non farla morire.Non so quanto siano rimaste colpite Tanya e Choco da quell’episodio. Ma visto che non ne hanno parlato, se non per dire che c’era un clown con un viso strano e che era in qualche modo brutto, capisco di aver visto io quello che lui mi ha chiesto di vedere. E, dopo aver accompagnato i nostri ospiti, mentre il ghiaccio sulla schiena si scioglie, cerco di prendere sonno.‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐Il volo è alle 15.30 di sabato ed io e Choco ci siamo offerti di accompagnare Tanya e il bambino all’aeroporto. Sono stati molto bene con noi e Choco è contentissima di aver passato qualche giorno con la sua amica. Ed anch’io per la verità, messe da parte la mia solita “orsite” e la diffidenza, ho passato qualche serata diversa e simpatica e, sembrerà strano, un po’ mi dispiace che partano. Anche se comunque domani sera c’è una partita importante ed un’eventuale intrusione di Marc gli avrebbe potuto far fare la fine del freesbe. Prima di andare all’aeroporto Tanya vuol comprare alcune cose da portare al suo compagno, ed allora ci fermiamo in alcuni negozi. Mentre Choco e Tanya comprano velocemente qualcosa io rimango in macchina con il “piccolo distruttore di CD”, che, dopo i primi 5 minuti in cui ride e scherza e mi chiede se andrò a trovarlo (e partirei subito, solamente per lo sguardo e la tenerezza con cui lo dice), comincia a sfoderare la quasi infinita lista dei “perché?” che hanno in dotazione tutti i bambini tra i 3 e i 6 anni. Esauriti i “perché” (ed anche le energie del sottoscritto) comincia a dare segni di insofferenza sempre più difficilmente controllabili, soprattutto per chi non è il genitore e non può certo “rimproverarlo” con toni troppo duri. Sono costretto quindi a portarlo dalla mamma, lasciando l’auto in “doppia fila”, cercando con lo sguardo di assicurarmi che i vigili non siano nei paraggi.‐ Che c’è Marc? – chiede Tanya un po’ scocciata (ma tenera) con il bambino e un po’ mortificata per avermi dato il pargolo in ostaggio.‐ Forse è stanco o ha fame – dico in via interlocutoria, quasi per toglierle l’imbarazzo‐ Ma se ha dormito e mangiato un’ora fa! – dice Choco prendendomi in giro – non ne capisci proprio niente di bambini tu, eh? – Ah, io non ne capisco niente – penso – ho risposto ad almeno 30 “perché?” in soli 10 minuti e quasi senza barare……‐ Guarda che carina questa cornice – mi dice tirandomi per un braccio – starebbe bene nella camera dei tuoi, con quel mobile antico che hanno comprato.‐ Sì, è vero, potremmo chiedere quanto costa; magari un altro giorno, altrimenti rischiamo di perdere l’aereo. E comunque io passo spesso qui vicino, tornando dal lavoro (e per un attimo mi torna in mente la prima volta che vidi Faccia di clown), posso fermarmi….‐ Marc vieni qui – urla Tanya che non si era accorta che il bimbo si stava allontanando, ci sono le macchine.‐ No, non attraversare!......ma Marc come tutti i bambini spesso fanno, sembra avere fretta di disobbedire alla mamma e di tornare alla macchinaRimaniamo bloccati mentre il piccolo sbuca dalle auto posteggiate e si ritrova improvvisamente in strada. Tanya urla e un’auto arriva veloce e poi un’altra. Frenano, ma sembra tardi, Marc guarda l’auto che sta per investirlo con il pollice in bocca, come quanto guarda i cartoni in TV e il rumore dei freni taglia l’aria in stereo con il grido disperato di Tanya. Due braccia all’improvviso sollevano Marc che, protetto dal corpo di un uomo robusto, se la cava, rotolando incolume insieme all’uomo con la tuta azzurra, che gli ha salvato la vita mettendo a repentaglio la propria.Corriamo dai due e Tanya stringe in braccio Marc coprendolo di baci e lacrimoni di disperato sollievo. Io e Choco aiutiamo l’uomo a rialzarsi e stiamo per esprimergli la nostra gratitudine per il coraggioso gesto, quando si volta verso di noi ed io faccio un salto all’indietro, quasi terrorizzato: è “faccia di clown”! è lui ad aver salvato la vita al piccolo Marc, ed ora si rialza da terra, dalla strada dove io, pochi giorni prima, lo avevo visto con le assi di legno sulle spalle. Mentre Choco lo ringrazia e gli chiede se sta bene, se haa bisogno di qualcosa, io e lui ci guardiamo non sapendo cosa pensare e cosa dire.Non c’era stavolta in lui lo sguardo che chiedeva aiuto, c’era un’espressione buona, quasi serena. Ma è stato un attimo. Tutto ad un tratto il volto ha cambiato espressione e, come se si fosse ricordato di essere chi era, si è alzato di scatto ed ha cominciato a correre, lasciandoci increduli.‐ Ma dove va? – dice Choco‐ Aspetti, sta bene? – ma lui corre, si volta e corre e si volta di nuovo mentre corre, lasciandomi lì con occhiate che sembrano sempre più vicine a quelle delle volte scorse.‐ Ma chi era? – mi chiede Choco‐ Non so, davvero‐ Ma perché è andato via così? Sembrava che scappasse‐ Non so…‐ Ma che hai? Sei strano….‐ No, no…. È che quello che è successo…poteva finire male‐ Beh, certo. Meno male che tutto si è risolto per il meglio. Stasera dormiremo sereni. La guardo sicuramente poco convinto….‐ Ciao Tanya e a presto‐ Ciao Choco. Grazie di tutto. Siete stati molto carini. Venite a trovarmi presto‐ Sì te lo prometto. Saluta il tuo “scrittore” e la prossima volta venite insieme. E prima che Marc faccia il militare…..‐ Ciao Tanya. Buon viaggio. Abbi cura di te e di Marc – le dico mentre il piccolo aspirante suicida mi sta sciogliendo i lacci delle scarpe…‐ Ciao peste. Lo abbraccio forte e lo bacio mentre Choco mi guarda teneramente. Mi devo preoccupare?!!Un’ora dopo la partenza siamo in centro e giriamo per negozi; tranquilli parliamo di Tanya e Marc. Compro il CD di Sting, ma forse non perché Marc lo ha rotto, ma perché mi fa pensare a lui….E perché voglio cercare di occupare il più possibile la mente per non pensare al ragazzo con la faccia di clown.‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐ ‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐‐Quando compro il giornale, soprattutto nei giorni di festa, per abitudine leggo i titoli della prima pagina,