Felice, due passi sul marciapiede.
Incontrò la signora Emilia sul marciapiede e in maniera educata le chiese notizie sulla salute del marito.
"Le sue condizioni sono stazionarie, ma il medico è fiducioso; con i nuovi ritrovati della farmaceutica presto potrà riprendersi"
Povera signora Emilia, suo marito di 85 anni era in stato vegetativo da ormai più di 40 anni a causa di un incidente domestico e lei, a 82 anni, credeva ancora di poterlo veder guarire. Si congedò dall'anziana signora notando il suo sguardo stanco ma speranzoso allo stesso tempo. In realtà lui sapeva delle enormi difficoltà in cui navigava; abbandonata da tutti i parenti e da quelli che un tempo considerava amici, la signora aveva l'appoggio di alcuni volontari e basta, gli dispiaceva ma anche lui aveva i suoi problemi. Nel frattempo raggiunse un incrocio dove i pedoni avevano diritto di precedenza, eppure fu quasi investito da un auto. Fece un salto per evitare la collisione e riconobbe l'autista distratto; era Giulio, un ragazzo che aveva avuto seri problemi di droga. La sua era una storia come tante altre, il padre operaio e la madre casalinga avevano sempre cercato di non far mancare nulla ai figli, poi lui cominciò a drogarsi pesantemente e la sorella se ne andò presto da casa. I genitori cercarono di stare vicino ad entrambi i figli, ma Giulio assorbì tutte le loro risorse. Poi per fortuna riuscì a smettere con quelle porcherie e suo padre chiese di poterlo fare assumere presso la ditta in cui lavorava; ma per Felice in quel momento il ragazzo era allucinato. Un signore si avvicinò a lui chiedendo se avesse bisogno di qualcosa, Felice ringraziò e disse di star bene.
"Questi giovani pirati della strada, tutti a piedi dovrebbero andare, a piedi!" L'uomo pronunciò quelle parole quasi urlando e lui lo riconobbe; era il signor Grassi, un uomo sulla cinquantina tragicamente rimasto solo. Infatti circa 20 anni prima sua moglie e i due piccoli figli furono investiti all'uscita della scuola materna: erano morti tutti e 3 sul colpo mentre il marito era all'estero per lavoro. Al suo ritorno fece cremare i tre corpi e li portò a casa dove dovevano essere tuttora.
"La ringrazio signor Grassi, ma le assicuro di star bene" Non voleva dar corda a quell'uomo altrimenti lo avrebbe costretto, per l'ennesima volta, ad ascoltare la sua tragica storia. Controllò che tutto fosse a posto e riprese a camminare lungo il marciapiede ripensando alla faccia di Giulio, era convinto di aver notato un'espressione sconvolta. Giunto all'altezza di via Roma entrò in tabaccheria e salutò l'anziana proprietaria.
"Buongiorno signora Lisetta, sempre in forma e allegra" La signora Lisetta aveva 74 anni e gestiva da decenni quella tabaccheria, ereditata dai genitori, che con il tempo era diventata anche ricevitoria per svariati tipi di giochi e scommesse. Il marito, ora in pensione dopo aver lavorato una vita in fabbrica, le dava una mano; era una piccola tabaccheria che doveva le sue fortune alla posizione strategica e alle gestione oculata della proprietaria.
"Buongiorno" Rispose lei che stava servendo un cliente, mentre il marito era alle prese con due ragazzine che pretendevano le sigarette nonostante fossero visibilmente minorenni.
"Ogni giorno è sempre peggio: ragazzini maleducati che ci minacciano, cialtroni che si alterano dopo aver perso al gioco, ubriaconi e drogati che pretendono di essere serviti a credito, siamo stanchi e avviliti. Ma tu sei venuto per altro non per sentire le lamentele di un'anziana bisbetica. Cosa ti serve?"
"Due pacchetti di caramelle e mi gioca un fortunello per stasera"
"Ecco. A te come va? Tua mamma mi ha detto che non ti sei ancora ben rimesso da quel viaggio, vero?" Chiese Lisetta che era amica di famiglia.
"La mamma si preoccupa troppo. Ho solo avuto un po' di problemi a riprendere i soliti ritmi"
"Sì, ma il tuo amico, quel Franco?"
"E lascialo un po' in pace Lisetta. Avrà già i suoi pensieri, ti ci metti anche tu?" La riprese il marito che nel frattempo si era sbarazzato delle ragazzine. Felice restò a bocca aperta, adesso non sentiva più nulla, attorno a lui tutto sembrava soffice ed ovattato. Dalla porta nera Franco gesticolava velocemente e gli stava dicendo qualcosa, ma lui non capiva, sentiva solo dei rumori e delle urla e vedeva Franco che si agitava sempre di più. Voleva fare qualcosa, ma l'immagine davanti ai suoi occhi si era cristallizzata, come in un fotogramma.
"Felice!? Felice, stai bene?" La voce del signor Mario lo ridestò da quell'allucinazione.
"Bene, si, tranquilli. Grazie, adesso vado che ho da fare" I due anziani non dissero nulla, lo conoscevano da troppo tempo e sapevano dei suoi comportamenti alle volte originali, quasi bizzarri limitandosi ad un cenno di saluto con la testa.
Felice uscì dalla tabaccheria e riprese a camminare sul marciapiede dove trovò un barbone appoggiato ad un muro che chiedeva l'elemosina. Senza esitare infilò la mano nella tasca dei pantaloni per recuperare delle monete, quando notò lo sguardo di quell'uomo: non era umano, i suoi occhi non erano di questo mondo, era sicuramente uno di quegli esseri incontrati laggiù, nella foresta. L'uomo allungò verso di lui il cestino facendo tintinnare le poche monete appoggiate sul fondo e lui esitò un momento, poi prese coraggio e guardò nuovamente gli occhi del mendicante, due occhi neri, profondi e ammaliatori; gettò le monete nel cestino e si ritrovò al buio.
Non era spaventato, in un certo senso aveva già vissuto un'esperienza simile anche se l'altra volta non si trovava per le vie della sua città e mentre era assorto nei suoi pensieri una voce improvvisa lo fece trasalire.
"Felice. Tu sai perché ti trovi qui?" Non lo sapeva ma voleva prestarsi a quel gioco e chiese sicuro
"Ci siamo già incontrati, vero?"
"Forse. Dipende da cosa credi di aver visto e sentito, da ciò che vorrai vedere e sentire questa volta, dipende da te, come sempre" Felice avrebbe voluto rispondere a tono, dire che lui non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, ma non ne ebbe la forza, né il coraggio.
"Ma perché proprio io? Perché?" Chiese allora sconsolato.
"Perché hai pagato, come sempre. Tu riesci a superare l'ostacolo che invece paralizza quasi tutti gli altri"
"Allora qualcun altro prima di me ha visto e sentito, il cestino non era vuoto"
"Hai ragione, ma il fatto di pagare dà accesso solo ad alcuni a ciò che è e non tutti sono disposti a vedere e sentire; ma tu, cosa vuoi fare?" Felice si pizzicò ripetutamente le chiappe per convincersi di essere sveglio; sentiva il dolore ma da qualche parte aveva letto che in certi sogni si è talmente coinvolti da avere la sensazione di percepire anche il dolore, quindi chiese al suo interlocutore
"Dimmi la verità, sono sveglio o sto sognando?" L'altro non rispose subito, per alcuni istanti Felice ebbe il timore di essere sopraffatto da quel buio e quel silenzio, cominciò a tremare.
"Nei sogni non si trema. Allora, cosa vuoi fare?"
"Fammi vedere e sentire"
Era di nuovo sul marciapiede, invisibile agli altri. Percepì immediatamente tanta solitudine, ma anche invidia e odio, indifferenza, rassegnazione, cattiveria. Gente che si incrociava, ognuno con la sua storia; ognuno con i suoi problemi. Persone che si evitano per non rischiare di dover condividere qualcosa con gli altri, egoisti al punto da ignorare il prossimo a costo di restar soli. Ma cosa stava succedendo alle persone, possibile che il genere umano si fosse ridotto a questo punto? A nessuno interessava nulla di niente e nessuno all'infuori di se stessi. "Non vorrai farmi credere che siamo ridotti così male, mi stai ingannando" Accennò Felice poco convinto "E' tutto lì, davanti ai tuoi occhi, sforzati ancora un po', cerca una storia interessante e seguila"
Felice scandagliò il marciapiede e sentì fortissimo l'odio e poi la rabbia emessi da un uomo che camminava a passo spedito; decise allora di seguirlo per capire cosa provocasse tutta quella rabbia. L'uomo camminò sul marciapiede per qualche minuto per poi prendere una via laterale e dopo alcuni metri si fermò davanti al portone di un palazzo dove suonò ad un citofono, di lì a qualche istante si aprì un portoncino e lui vi si infilò velocemente. Raggiunse il quarto piano salendo dalle scale, l'ascensore era guasto, giunto sul pianerottolo suonò un campanello. Una donna aprì lentamente la porta e lui spinse con tanta forza da scaraventarla a terra, lei si rannicchiò in un angolo e lui prese a darle dei calcioni tremendi "Ma che sta facendo?" Felice era sconvolto, ma l'altro non proferì parola. Intanto l'uomo aveva smesso di prendere a calci la donna che lentamente si stava rialzando in piedi e a passo deciso si diresse in quella che doveva essere la camera da letto. Al buio, nascosti sotto le coperte, due bambini di circa sei sette anni tremavano e piangevano; l'uomo li strappò dal letto e cominciò ad infierire anche su di loro e in quel momento sopraggiunse la donna che brandendo un coltello da cucina cercò di colpire l'aggressore. L'uomo evitò il fendente e fulmineo colpì la donna con un manrovescio facendola cadere rovinosamente contro lo spigolo dell'armadio, immediatamente il pavimento si tinse di rosso e il volto della donna parve sfigurato "Nooo!!!" urlò Felice stravolto da quello scempio "No, no! Fermati! Fermali!"
Il mendicante lo stava fissando tendendogli il cappello per l'elemosina, Felice aveva il pugno chiuso sopra di esso e stava per aprire la mano ma si bloccò e parlò rivolto al poveraccio: "Ma tu, chi sei?" L'altro lo guardò intensamente e poi rispose "Senti amico, vuoi sganciare la grana o intendi startene lì impalato tutto il giorno?" Felice lasciò cadere una manciata di monete nel cappello aspettandosi qualcosa, ma non accadde nulla e vista la faccia del mendicante si convinse di aver avuto un altro incubo. Decise dunque di tornare a casa, sua mamma avrebbe saputo consolarlo con un buon pranzo e così si avviò lentamente sul marciapiede. Dopo alcuni passi incrociò un uomo dall'aspetto familiare che camminava spedito a capo basso e istintivamente lo fermò per chiedergli: "Ehi amico, dove vai così di fretta?" Era impazzito? L'uomo, senza scomporsi rispose sorridendo "Ma è ovvio, a fare un massacro" Felice strabuzzò gli occhi e l'altro scoppiò a ridere "Certo che è un tipo strano lei" E senza aggiungere altro riprese a camminare velocemente, mentre lui, Felice, era ancora impalato a bocca aperta. Quel giorno non riuscì più a fare nulla, nemmeno a mangiare e dopo aver passato una notte insonne l'indomani si recò in edicola dove acquistò il quotidiano della provincia. In prima pagina, in basso a destra, c'era la seguente notizia:<trovata morta, vittima di un incidente domestico, una donna di 32 anni> E poi:<I 2 figli, di 6 e 7 anni, visibilmente provati e sotto shock, non hanno ancora parlato e quindi non hanno aiutato a far chiarezza sulla dinamica dell'incidente" L'articolo continuava all'interno con tutta una serie di ipotesi più o meno fantasiose su come fosse avvenuto l'incidente, un funzionario ipotizzava che la donna avesse subito delle percosse prima di morire, ma nessuno aveva visto o sentito nulla e il marito, avvisato dell'accaduto, aveva lasciato immediatamente il posto di lavoro per raggiungere la propria abitazione, teatro della disgrazia. Una foto ritraeva la famiglia al completo e Felice riconobbe le facce del suo incubo tranne l'uomo, infatti non somigliava minimamente al pazzo omicida della sua visione, né tanto meno all'uomo incontrato sul marciapiede, eppure la dinamica dell'incidente e le vittime coinvolte erano identiche a quelle che aveva visto. Si recò al lavoro con molti interrogativi che gli martellavano in testa; troppe cose erano cambiate dopo quel maledetto viaggio. La mattinata filò via liscia e a pranzo parlò ai suoi di quel fatto di cronaca.
"Poverina, così giovane, con i figli piccoli e poi chissà il povero marito" Sua madre era veramente addolorata.
"Ma se la picchiava" Rispose il marito.
"Ma non dire eresie" Ribatté lei.
"Ma è scritto sui giornali e poi ne parlano, la gente dice che lui è un poco di buono"
"Saranno le solite dicerie. Tu Felice cosa ne pensi?"
Stava rivivendo la scena dell'omicidio, gli sfuggiva un particolare, ne era sicuro.
"Felice, mi stai ascoltando?"
"No mamma, scusa. Sto ripensando a una cosa"
"Cosa ti turba, possiamo aiutarti?" Chiese suo padre.
"No grazie, esco a fare due passi e poi rientro al lavoro a sistemare dei sospesi"
"E il caffè?"
"Lo bevo al lavoro mamma, non ti preoccupare"
Stava percorrendo il marciapiede, come faceva spesso, voleva solo camminare e schiarirsi le idee o forse no, aveva una speranza in fondo al cuore, sperava di incontrare il mendicante del giorno prima. Mentre camminava intravide dall'altra parte della strada un ragazzo che spacciava, la cosa era talmente evidente che, schifato da quella scena, Felice attraversò la strada e stava per raggiungere il giovane spacciatore quando lui se ne accorse e se la filò a gambe levate insieme a tutti gli acquirenti. Solo uno di loro restò lì, fermo, lo sguardo a terra, ma Felice lo riconobbe subito: era Giulio.
"Ma cosa stai facendo ragazzo, avevi smesso con questa merda. Ai tuoi verrà un colpo se sanno che sei qui" Il ragazzo alzò la testa, le lacrime gli avevano inumidito tutto il viso e con fatica pronunciò alcune parole sconclusionate "Tu vedi, tu senti, sei uno di loro, salvami!" Felice restò per qualche istante zitto ad osservare Giulio che sembrava più stralunato del solito "Senti ragazzo, ti eri già fatto quando sono intervenuto? Stai calmo che adesso ti porto a casa, tranquillo, con i tuoi troveremo una soluzione. Su avanti, appoggiati a me, non sembri in grado di camminare da solo" Felice prese sotto braccio Giulio che in quell'istante prese a parlare "Lo vedi? Sei sempre il solito, cuore d'oro e animo gentile. Devi rientrare al lavoro, sai che farai tardi, eppure non esiti ad aiutare chi ne ha bisogno" Felice stavolta non ebbe esitazioni e rispose duramente "Senti, chiunque tu sia. Io non capisco tutta questa sceneggiata, questo mistero, dimmi chi sei, cosa vuoi?" "Sono Giulio, sono Armando, sono Roberta, Luisa, Enrico, Mara. Sono chi vuoi, sono chi ha bisogno di aiuto e da te è questo che voglio, aiuto" Felice si convinse di essere impazzito, doveva fare qualcosa o quella situazione lo avrebbe annientato. Preso dai suoi pensieri non si accorse di essere giunto a casa di Giulio e fu sorpreso quando davanti a se riconobbe la madre del ragazzo che, visibilmente agitata, stava chiedendo spiegazioni. In quel momento Felice riprese possesso dei suoi pensieri e con uno sforzo non indifferente riuscì a focalizzare la sua mente su quella scena.
"Cosa è successo a mio figlio? Perché e qui con lei? Come.."
"Si calmi signora, si calmi. Mi dia una mano a portare suo figlio in casa, le spiegherò tutto, ma si calmi"
Portarono Giulio in camera sua e lo fecero distendere sul letto, poi la madre avvisò il medico di famiglia che promise di passare velocemente per una visita a domicilio. Felice spiegò con parole comprensibili, cercando di non confondere ulteriormente la donna, la situazione del ragazzo secondo il suo punto di vista e si meravigliò del fatto che una madre, sconvolta dal problema del figlio drogato, prestasse ascolto ad un uomo che conosceva solo di vista e fu ancora più sorpreso quando davanti a loro comparve Giulio, che lo ringraziò e promise di chiudere per sempre con quelle schifezze. La donna fu travolta dall'emozione e si lanciò verso il figlio abbracciandolo e baciandolo. Poi si rivolse a Felice e disse:
"Grazie, grazie lei è, lei è un santo"
Lui non era un santo e per giunta era in ritardo, il suo capo l'avrebbe richiamato, come sempre. Per fortuna il suo ruolo nell'azienda gli permetteva una certa elasticità di orario, la sua mansione non era collegata direttamente alle altre attività e, d'accordo con il suo superiore, aveva una certa libertà a patto che rispettasse i tempi di consegna.
Il boss non c'era, risparmiandogli così una lavata di capo e lui avrebbe recuperato agevolmente il tempo perso. Era riuscito anche a fissare un appuntamento con il suo psicologo, dopo i fatti del sud America aveva sostenuto alcune sedute e adesso sentiva il bisogno di riesaminare alcune questioni.
Avvisò la madre dicendo che sarebbe rientrato tardi, infatti a tarda ora uscì dal lavoro e si recò direttamente dallo psicologo. Giunto davanti alla palazzina ristrutturata da poco ebbe un attimo di esitazione, stava facendo la cosa giusta? Sì, doveva farlo.
Lei lo accolse nel suo studio arredato sobriamente ma con un particolare tocco di femminilità che lo rendeva agli occhi di Felice molto erotico.
"Bentornato Felice, accomodati pure" Felice sapeva già come muoversi e si accomodò su una poltrona. Lei si avvicinò e si mise seduta davanti a lui accavallando quelle lunghe e sinuose gambe che lo facevano impazzire "Dottoressa, eccomi di nuovo qua" "Felice, ti ho già detto che io sono Mara, la dottoressa lasciala stare" Disse lei cordialmente "Certo, mi ricordo. Allora Mara, da dove cominciamo?" Chiese Felice "Ma è ovvio, si ritorna in sud America"
Felice, come colpito da una mazzata, scivolò nell'oblio e dopo un tempo indeterminato riaprì gli occhi: davanti a lui si materializzò una scena che lo perseguitava da allora, era di nuovo in sud America e Franco stava chiedendo disperatamente il suo aiuto.