Fiat 1400 Bertone
La Fiat 1400 Bertone con i cinque occupanti a bordo andava veloce per quanto lo permettevano la strada stretta, le curve, i camion che la incrociavano ed un po’ di bruma residuo della notte. Da Piaggio Valmara, confine italo‐svizzero, era diretta ad Intra sempre sul Lago Maggiore. Gli occupanti, giovani finanzieri, non avevano scelto quella località per motivi turistici ma perché d’inverno, era febbraio, scarseggiava la…fauna turistica. Alberto Minazzo, romano, era alla guida, vicino a lui Giovanni Roncaccioli (Giovannone) stazza cento chili, romagnolo bravissimo cuoco, dietro Nando Gallozzi pure romano, Roppi Armando di Genova e Marrix Alfio catanese puro sangue (Marrix si pronunziava con le erre arrotate). L’unico veramente sobrio era l’Albertone simpatico, sempre allegro che durante il pranzo aveva ritenuto opportuno non avvicinarsi troppo a Bacco. C’è da domandarsi come degli squattrinati finanzieri (correva l’anno 195..) potessero permettersi una auto di pregio dal prezzo decisamente fuori dalla loro portata: risposta non era di loro proprietà ma di Ambrogio (Ambroeus) Bianchi proprietario dell’unico bar situato al confine e che, aveva acconsentito a prestar loro l’auto molto malvolentieri ma…c’era un ma. Posteggiata l’auto in divieto di sosta applicando sul parabrezza: “Auto targata NO ……in servizio della Guardia di Finanza” i cinque entrarono in un portone che, dopo un lungo corridoio portava ad un salone, riscaldato da una stufa a legna, popolato da signorine poco vestite e molto allegre, si avete capito era un ‘casino’ allora non ancora chiuso da quella simpaticona della senatrice Merlin. Alberto si mise a parlare con la maîtress che era alla cassa e così delle ‘signorine’, subito prenotate dai colleghi, ne rimase solo una poco appetibile. Il suo sguardo triste fece impressione ad Alberto, la cotale , non più giovane gli si avvicinò e: “Proprio non ti piaccio?” Quella frase commosse il giovane (Alberto era una ragazzo sensibile) e così decise di andare in camera con lei. “Scusa ma qui fa freddo…” “La padrona è una spilorcia, fa riscaldare solo la sala d’attesa, scusami un attimo, mi metto una maglia di lana a maniche lunghe. Lo spettacolo non fu dei migliori, la cotale aveva le tette che le arrivano sino…ma ormai Alberto era in ballo e si decise per una sveltina. Solito lavaggio del pene, stavolta con acqua calda, la tale si diede da fare con la bocca sino al finale previsto e poi, dopo essersi lavata la bocca si mise a piangere. Quella era la classica situazione in cui Alberto era senza difese, si allungò sul letto seguito dalla donna. “Mi chiamo Maria, sono siciliana di Raddusa, un paesino in provincia di Enna, i miei sono contadini ed io sono rimasta incinta dal figlio del padrone che non solo non ha voluto saperne nulla di quel bambino (poi è nata una bimba) ma ha minacciato i miei di cacciarli dal podere e così ho fatto questa fine. Son venuta al nord per evitare di incontrare qualche paesano, ho il cuore spezzato non potendo vedere se non molto raramente la mia bimba allevata dai miei. Io studiavo con sacrifici dei miei genitori ma ovviamente ho dovuto smettere…scusa se ti ho tediato con i miei problemi, ti chiedo solo un favore: stiamo un po’ insieme abbracciati, sei un bel ragazzo, per un po’ mi sembrerà di aver un marito, l’ho sempre desiderato, se vuoi staremo insieme una mezz’ora.” “Lo saprai che la paga di noi finanzieri…” “Tutto a mie spese, vorrei baciarti in bocca, se me lo permetti, vado a fare degli sciacqui col colluttorio…” Dopo circa mezz’ora suonò un campanello, era un segnale stabilito con la maîtress. Maria rifilò ad Alberto 2.500 lire che l’Albertone diede alla padrona. “È che cazzo, sei stato in camera un sacco di tempo!” “Era un po’ che non scopavo…” Quattro finanzieri erano allegri e raccontavano quello che era accaduto loro, solo Alberto stava in silenzio, la storia di quella povera siciliana l’aveva coinvolto emotivamente. Tutti in branda sino alle tre quando ci fu in caserma una svegli generale: c’era in giro il Tenente Marcello Dani comandante della Tenenza di Cannobio con tutto il nucleo mobile, sicuramente era successo un grosso casino. Venne subito fuori che i cinque avevano usufruito della Fiat 1400 Bertone di Ambrogio ed il Tenente ne voleva conto e ragione. L’unico a rispondere era Alberto il quale chiese il motivo dell’interrogatorio. “Te lo dico subito caro Minazzo, nella macchina che avete guidato abbiamo trovato mille, dico mille orologi di contrabbando, siete nei guai.” Visto che nessuno apriva bocca Alberto ritenne opportuno intervenire: “Mi scusi signor Tenente, noi siamo andati ad Intra in Italia non siamo sconfinati in Svizzera.” “E bravi così credete di potervi salvare?” Sempre Alberto “Vede signor Tenente nessun Pubblico Ministero potrebbe senza prove concrete rinviarci a giudizio da quello che mi risulta.” “E così sei pure avvocato!” “Non ancora, sono iscritto al terzo anno di legge.” Il Tenente per un po’ rimase senza parole poi: “Non ti dare tante arie perché hai un fratello mio collega! “ “Non mi permetterei mai di vantare la parentela per scusarmi è come se lei ci ricordasse che è il figlio del Generale Dani.” “La normale faccia biancastra del Tenente in un attimo divenne di un colore purpureo, non riusciva più a profferire parola e così intervenne il Brigadiere Boninsegna Comandante della Brigata di Piaggio Valmara che prese da parte di Tenente e lo portò in sala mensa. Dopo circa mezz’ora riapparvero il Brigadiere ed il Tenente: “Il vostro Brigadiere merita una medaglia, mi ha convinto solo a farvi trasferire, domattina chiamerò il Comandante della Legione di Torino e vi farò assegnare a Domodossola, lì avrete il piacere di pattugliare giorno e notte i binari ed ora tutti in branda marsh.” La mattina successiva venne fuori tutta la storia: uno spione, infiltratosi fra i contrabbandieri, aveva segnalato al Tenente i traccheggi di Ambrogio e quindi era stato facile prenderlo con le mani nella marmellata. L’Ambroeus finì in carcere, la merce sequestrata ed i ‘magnifici’ cinque trasferiti a Domodossola. L’unica solo loro consolazione era stata quella che, per evitare di trasportare bauli e valige da un pulmann all’altro, si erano fatti accompagnare da due tassisti di Cannobio ai quali in passato aveva elargito tanti piaceri. Ad Alberto era rimasto un peso nel cuore anche perché in passato, per un periodo, era stato molto ‘amico’ di Anna sorella di Ambrogio. Alberto era un ‘vergine’ nel senso dello zodiaco ossia un pignolo che doveva andare a fondo a tutte le situazioni e così pensa e ripensa si fece assegnare alla scorta dei treni del tratto Domodossola‐Briga (Svizzera). Poiché parlava abbastanza bene il francese ed elargendo regali graditi ai dipendenti delle ferrovie Svizzere con merce in Italia era pecuniariamente accessibile mentre costava parecchio per gli svizzerotti, riuscì dopo vari tentativi riuscì a venire a conoscenza del nome dello spione che aveva inguaiato Ambrogio. Il cotale era un corpulento dipendente delle Ferrovie Svizzera di nome Luca Bernasconi che talvolta veniva in Italia per fare il pieno di vino in una osteria vicino alla stazione. Male gliene incolse: Alberto riunì i magnifici cinque, spiegò loro la situazione ed una sera in cui la ‘carogna’ Luca uscendo dall’osteria era completamente brillo e barcollando cercava di raggiungere la stazione di Domodossola per far rientro a casa, ebbe un percorso diverso: preso a legnate di brutto si fece quaranta giorni in ospedale a Domodossola senza poter toccare un goccio di vino e guadagnandoci anche in salute dato che anche perse molti chili di peso!