Figlia del vento e delle nuvole
E’ una splendida mattina di piena estate. Il sole già alto colora le cime delle montagne e le colline scivolano come dense pennellate di verde nel lago ancora insonnolito.
Intravedo solo una barca a remi in lontananza. Un pescatore paziente, in piedi, con la sua canna a mosca sembra frustare la superficie dell’acqua senza tuttavia ferirne lo specchio. Difficile che peschi qualcosa, e lui lo sa. Eppure quel movimento del braccio, la danza della lenza che volteggia lievemente nell’aria e il dolce cullare dell’imbarcazione sono sufficienti ad animare l’uomo di speranza o, forse, a farlo sentire semplicemente beato, all’unisono con la natura.
Voglio unirmi anch’io. Armata solo di pagaia e di tanta energia, monto sul mio kayak che mi aspetta a riva, disturbando cautamente due fieri cigni, abituali ospiti della spiaggia. E parto.
Una spinta decisa e vengo accolta dall’acqua che mi sostiene e mi trasporta, leggera e silenziosa. E’ bellissimo guardare il lago da questa prospettiva. Mi sento immensamente piccola e potrei essere anch’io un pesce adesso. Le colline da qui sembrano lunghe braccia che scendono giù dal cielo, fino a raccogliere l’acqua dentro palme di mani gigantesche che abbeverano l’Universo.
Mi sento protetta e pagaio con pigrizia, gustando la lentezza dei movimenti che seguono il ritmo dolce dello sciacquio contro lo scafo. Invento una meta e punto il kayak verso la barca con il pescatore, che insiste agitando la sua frusta verso il sole. Sembra un domatore in un circo di pesci invisibili.
Costeggiando la riva scovo un airone cenerino, immobile. Sembra una statua di marmo appollaiata su un ramo strappato da un grande pino ferito. E’ impossibile avvicinare questi uccelli, scappano via diffidenti al minimo rumore, piegando le esili zampe e guizzando nell’aria con un poderoso battito d’ali. Evito quindi di avvicinarmi eccessivamente, risparmiando alla creatura un’inutile fuga.
Assorbita dalla bellezza del paesaggio e ipnotizzata dal silenzioso canto dell’acqua, mi ritrovo senza accorgermi a poca distanza dalla barca. Appena il tempo di vedere il vecchio pescatore infilare la canna a bordo, farmi un accenno di saluto con la mano e inforcare i remi per rientrare alla base, con l’intenzione, probabilmente, di fermarsi a fare incetta di pesce persico al mercato ittico non lontano da qui.
Ora sono completamente sola in mezzo al lago. Che meraviglia! Sorrido pensando a tutti quelli che mi chiedono se non ho paura ad avventurarmi in solitudine con il kayak così lontano. Non è prudente, stai attenta ‐ mi dicono – dovresti portare con te il cellulare, non si sa mai! Io scuoto la testa pensando a cosa si perdono impaludati nella rete delle loro prudenze e dei loro assurdi timori. La pace, il silenzio, il sole che infiamma i pensieri, le immagini nella mente che giocano libere inseguendo le nuvole, la carezza sfacciata del vento tra i capelli… Quel vento che rimescola i colori e sorprende ad ogni sguardo, incurante di ogni logica!
Ferma, con la pagaia appoggiata sulle cosce, respiro un raggio di sole e faccio il pieno di energia, cullata dall’aria e dall’acqua, prima di prepararmi a rientrare. Non so quanto tempo sia passato, qui non esiste il tempo, ma sento che purtroppo è ora di tornare. Me lo dice il sudore sulla fronte e il sole che scotta sulla pelle.
Immergo di nuovo la pagaia in verticale, facendo fare al kayak mezzo giro su se stesso come se danzasse. Ma improvvisamente lo scafo fa resistenza e si ribella ai miei ordini. Uno schiaffo d’aria mi colpisce con prepotenza in faccia, spazzando via la quiete che mi coccolava fino a un attimo prima.
Il vento comincia a soffiare più forte e l’acqua obbedisce al suo impeto. La superficie del lago si frantuma in tante minuscole bavette schiumose che vengono da lontano. Piccole onde, continue e capricciose, ostacolano l’equilibrio del kayak, costretto sempre più ad indietreggiare in una gola nascosta dietro un’ansa del lago.
Forza Paola, è meglio tornare, e di corsa! Mi sembra di essere dentro a un film in cui è cambiata improvvisamente scena. Tutto attorno a me è ancora terribilmente bello. Il cielo azzurrissimo è percorso ora da lingue di nuvole bianche sempre più dense che volano più veloci degli aironi e dei gabbiani. Si rincorrono e si aggrovigliano fino a proiettare ampie macchie d’ombre cupe sul lago sempre più increspato. Gli alberi lungo le sponde del lago ondeggiano arrendevoli, cimiando, come dice Camilleri in un suo bel racconto. Sì, le cime dei pini sembrano parlare, chinare la testa, chiedere pietà, meno violenza per favore… Anch’io ora vorrei avere più forza per affrontare questo vento nuovo e resistere alla sua furia.
Provo un fascino perverso in quest’atmosfera improvvisamente inquieta. Ogni volta che immergo la pagaia in acqua sento i muscoli delle braccia gonfiarsi di sangue e indurirsi come sassi. Le spalle e i tendini del collo assecondano il movimento alternato irrigidendosi a loro volta e la pancia si tende come un tamburo. Altro che palestra, sdrammatizzo, questa è vita, questa è energia! Ma il tratto che devo percorrere per rientrare non è breve e c’è poco da scherzare pensando alla lentezza con cui riesco ad avanzare.
Le dita sono tutte informicolate e sento già pulsare i calli dove l’asta della pagaia ruota tra le mani umide. Punto forte i piedi sul fondo dello scafo per aiutarlo a mantenere la rotta. Cerco di farmi più piccola e leggera che posso per agevolare la navigazione ma contemporaneamente chiedo alle mie braccia una forza esagerata per vincere il vento. E continuo a pagaiare forte, sempre più forte.
Penso all’uomo in barca che avrebbe potuto forse aiutarmi e che invece non c’è più. Penso a tutti quelli che ogni volta mi mettono all’erta di fronte alla mia incoscienza e alla mia esuberanza. Penso a cosa potrei fare se all’improvviso la pagaia si spezzasse o se il kayak si capovolgesse... Cerco disperatamente di avvicinarmi alla costa ma ad ogni pagaiata lo scafo s’impenna e ogni mio sforzo fisico è sproporzionato rispetto al vantaggio che faticosamente guadagno. Spruzzi d’acqua si mescolano al vento nei miei occhi ma non importa, non ho bisogno di vedere. Penso…
Penso che magari qualcuno a casa si starà preoccupando e verrà a cercarmi. Magari con una barca a motore mi verranno incontro. Ma non sempre da terra ci si rende conto della violenza che il vento raggiunge sul lago aperto, non posso quindi fare affidamento su un improbabile soccorso. Devo andare avanti da sola, non voglio approdare rassegnata su una riva in attesa che qualcuno si accorga della mia assenza. E poi non è vero che sono sola! Orgoglio e amore mi danno coraggio.
Penso a chi amo e chiedo silenziosamente forza a chi mi ama. Una volta lui mi ha scritto: “Buongiorno bellissima figlia del vento e delle nuvole. Io sono qui a pensarti, geloso di tutti quelli che possono ammirarti e di Eolo che può accarezzarti ovunque io vorrei…” Sorrido commossa ed eccitata ripensando a quelle parole di uomo innamorato e monta in me un’energia nascosta, come lava che ribolle dentro a un vulcano fino a farlo esplodere di fuoco.
Per una frazione di secondo ho sentito che avrei potuto cedere alla rassegnazione della stanchezza fisica rischiando di non venire più a galla. Ma la carica che il mio cuore riceve al pensiero di chi mi ama e ha bisogno di me è più forte. Combatto finché sento d’essere tornata in possesso della mia sicurezza e avanzo, lentamente ma inesorabilmente.
Un’ora di dura lotta e tanta fatica ma ho vinto. Vedere la spiaggia di casa avvicinarsi e i cigni farmi spazio è il premio più bello… Le ultime bracciate, la pagaia bollente tra le mani indolenzite, le braccia stremate che non sento nemmeno più far parte del mio corpo, le ginocchia sciolte come burro… Finalmente l’acqua mi consegna alla terra. Il vento si è arreso di fronte alla mia volontà.
Davanti a chi mi aspettava con seria preoccupazione, nascondo le ondate di paura che mi hanno a tratti attanagliata e con un sorriso beffardo racconto la mia prode sfida, asciugandomi il viso dall’acqua che s’è portata via il sudore e forse anche una piccola lacrima.
Do un ultimo sguardo alle nuvole nere cariche di pioggia, alle acque del lago, al vento che ne increspa la superficie e sento un brivido sulla pelle. Per un attimo rivivo quei terribili momenti come un’antica allegoria greca: da un lato i potenti Eolo e Poseidone scatenati contro di me e dall’altra io e il mio piccolo kayak. Lo scafo si chiama Eros e la pagaia Afrodite. Con loro io divento invincibile!