Follia
Follia è creare un profilo falso su Facebook.
Follia è chiedere l’amicizia sotto falso nome a una persona che vorresti veramente contattare.
Follia è che lei accetti l’amicizia.
Follia è che accetti di chattare con te.
Follia pura è che accetti di venire a un incontro reale.
«Non è possibile, non può aver capito chi sono nella realtà, ho cercato di fare di tutto perché non lo scoprisse! Ma non ha paura di incontrarsi con uno sconosciuto? Va bene, io non sono uno sconosciuto per lei, siamo stati fidanzati per più di sette anni… Ne sono passati altri venticinque dopo che ci siamo lasciati. Dopo che lei mi ha lasciato! Forse ora è sola e cerca l’incontro con un uomo, chiunque egli sia. E questo non sarebbe un bene…»
Mentre questi pensieri affollano la mia mente, la vedo, il mio cuore fa un balzo, lo sento battere in gola. Non è possibile, non sono mica un ragazzino, ho quasi cinquantaquattro anni! O forse sta giungendo l’infarto, chissà! Lei mi guarda, non c’è sorpresa nei suoi occhi luminosi, nocciola, bellissimi dietro le lenti degli occhiali. Mi saluta con un gesto della mano.
«Quasi lo immaginavo che fossi tu, o forse lo speravo, magari era un presentimento…»
«Ma se ti avessi contattato con il mio nome non avresti mai accettato un incontro. Come stai? Dimmi di te!» Ci baciamo sulle guance e ci stringiamo forte, con le lacrime che stentano a non sgorgare dagli occhi con prepotenza.
«Sono stata cattiva con te. Tanti anni fa ti ho lasciato, raccontandoti bugie, che volevo la mia libertà, che volevo vivere la mia vita… La realtà era un’altra, ero incinta, di un altro ragazzo.»
Annuisco, lasciando che continui la sua storia senza interromperla.
«Partorii una bambina, Roberta, ma quando venne alla luce il suo papà già non era più accanto a me, se ne era andato in via definitiva per altri lidi. Non seppi più nulla di lui. In compenso la gravidanza, oltre la stupenda bambina, mi regalò un assurdo intruso: il diabete. Sono più di venti anni che vivo grazie all’insulina.»
Perché non mi hai cercato? Vorrei dirle, ma continuo a rimanere in silenzio.
«Dopo qualche anno mi innamorai di nuovo. Lui era bello, dolce, carino con me, mi amava. Ci sposammo in pompa magna. Credevo fosse felice, invece col tempo scoprii che era dedito all’alcol e alla droga. Cercai di combattere insieme a lui, di farlo uscire dal tunnel, e invece…»
Fa una pausa, le lacrime ora corrono come rivoli lungo le sue guance. Mi avvicino a lei e la prendo con delicatezza tra le mie braccia. Lei si abbandona, si lascia coccolare. Cerco di asciugare le sue lacrime, ma ne sopraggiungono ancor di più. La lascio sfogare.
«Una mattina lo trovai riverso sul tavolo della cucina. Pensavo si fosse addormentato lì, invece si era fatto un overdose. Tastai il suo polso, niente, non c’era più nulla da fare. Non capii mai se considerare la sua morte un suicidio o una disgrazia. Volevo morire anch’io, così sospesi l’insulina. Prima o poi la morte sarebbe giunta. Ero quasi al coma diabetico quando incrociai gli occhi di Roberta, che allora aveva nove anni. C’era qualcosa per cui valeva la pena vivere ancora, non potevo abbandonarla. Raggiunsi l’armadietto e mi inoculai l’insulina. La vita riprese, anche se con momenti bui, dolorosi. Sono passati altri quattordici anni, durante i quali non ho voluto legarmi più a nessuno. Roberta ora è grande, ha iniziato l’università e ora sta seguendo un master all’estero, in Germania. Della mia vita non c’è tanto altro da raccontare, ora che mia figlia è lontana mi sento sola, ma non ho più pensato al suicidio, mai più! E ora dimmi di te!»
Ora le dovrei raccontare che ho una famiglia splendida, una moglie, due figli, una solida professione che mi consente di vivere in maniera agiata. Che l’ho contattata solo per curiosità, perché volevo vedere com’era a distanza di tanti anni. Non ce la posso fare. La stringo a me più forte, avvicino le mie labbra alle sue, sento in bocca il sapore salato delle lacrime – le mie, o le sue, o entrambe? – E la bacio. Lei corrisponde, io non smetto, sono minuti che non vorrei terminassero mai, se ci fosse la possibilità vorrei abbandonarmi tra fresche lenzuola insieme a lei.
«Ho pensato spesso a te.» Riesco finalmente a parlare. «In vita mia non ho mai amato nessun’altra. Sì, mi sono sposato, ho avuto figli, ma se penso all’amore, quello vero, quello l’ho provato solo con una persona. Ora ti devo salutare, ritorno a casa, da mia moglie, dai miei figli. Scusa se ti ho importunato, non avevo il diritto di farlo. Ti amo, ti ho sempre amato, ma l’amore è stato vissuto a suo tempo, non si può reclamare ora.»
Mi sciolgo dall’abbraccio e mi allontano da lei. Dopo qualche passo mi giro su me stesso, lei è ancora lì, che mi guarda, come faceva quando eravamo fidanzati, quando mentre me ne andavo lei continuava a salutarmi con la mano finché non scomparivo.
Mi rigiro di nuovo e corro verso di lei.
Follia è lasciare una famiglia per un vero amore.