Gaspare il Partigiano

Era la sera del sette novembre 2010, quando Giorgia fu scossa dal trillo del telefono: erano i carabinieri del comune del Mugello. Si sentì improvvisamente orfana: sua madre, malata da venti anni di Alzheimer, aveva preso il treno e l’avevano ritrovata seduta su una panchina di San Piero a Sieve, con lo sguardo perso e in totale incoscienza.
Partì subito in direzione del Mugello, non distava tanto da San Gimignano.
In ogni caso sarebbe andata a ripescarla in capo al mondo. La madre era in cima alle sue priorità affettive; il dolore dell’abbandono la dilaniava dacché era regredita allo stato infantile. Un legame indissolubile la legava a lei; era anche finita sul lettino dell’analista a cercare le ragione di quel rapporto profondo, ma poi aveva dichiarato a se stessa: è amore, solo amore.
Percorreva la strada dal Senese al Mugello con parole che si strozzavano in gola; correva con l’immaginazione: la madre al freddo, seduta su una panchina con lo sguardo inebetito e le lacrime agli occhi; non era la prima volta che si allontanava da casa, ma cosa ci faceva a San Piero a Sieve? Quali frammenti della sua memoria interrotta l’avevano portata lì?
Da venti anni le dicevano di ricoverare sua madre in una casa di cura, ma lei non aveva mai voluto e ora si chiedeva se avesse fatto la scelta giusta, ora che temeva di perderla per sempre. Squilla il cellulare: suo marito aveva perlustrato la stanza, era tutto perfettamente in ordine, mancava solo la foto del padre, quella di Gaspare il Partigiano, così lo chiamavano dacché era stato fucilato da un gruppo di fascisti nel 1944.
Suo nonno era sempre presente nella memoria della madre; continuava ad aspettarlo e a chiunque incontrasse chiedeva: ciao, sei tornato? Sei tu Gaspare il Partigiano? Lei, Giorgia, metteva un posto in più a tavola e le diceva: vedi, mamma, lì siede tuo padre, Gaspare Il Partigiano! La madre annuiva e mangiava con lo sguardo spento dalla malattia, ripetendo come una nenia: ritornava una rondine al tetto/l’uccisero/cadde tra i spini; .. Arrivata al Mugello, la trovò triste, chiusa in sé, con la foto di Gaspare tra le mani, stretta con forza al petto, ma non ripeteva la solita nenia; era silenziosa, assente, con lo sguardo stranito, lì, ferma, immobile, a guardare il fiume.
Il viaggio di ritorno fu tragico, la madre piangeva e si disperava, voleva il suo babbo.
“Tornerà, tornerà...” le sussurrava la figlia “lo troverai a casa”.
Arrivate a San Gimignano, la madre le crollò tra le braccia, perse i sensi e quel briciolo di memoria che ancora la teneva ancorata ad un frammento di passato. Dopo tre giorni, spirò in casa, proprio nello stesso giorno in cui era nato Gaspare Il Partigiano, portando con sé il suo segreto.
Che ci faceva al Mugello? Nessuna apparente relazione c’era con quel posto, niente che Giorgia e gli altri figli, Lorenza e Paolo, sapessero. Si brancolava nel buio, sempre e solo domande senza risposta. I fratelli optarono per l’ipotesi più comoda: la madre aveva perso la memoria, si era allontanata da casa e il primo treno l’aveva portata al Mugello. Ma Giorgia non si arrendeva. Aveva sempre creduto che le malattie neurologiche e degenerative nascondessero più di un segreto ed era certa che la madre cercava qualcosa, tenuta nascosta che riemergeva nella sua memoria a brandelli.
Aveva letto i saggi del neurologo di Oliver Sacks sulle allucinazioni e sulle relazioni con le sindromi neurologiche; aveva appreso che, nel caso dell’Alzheimer, si mani‐festano come veri e propri deliri di duplicazione o identificazione errata. Questo spiegava perché la sera la madre si addormentava serena, ma di notte pensava di essere la duplicazione di una certa Signora, che non si era mai capito chi fosse. Era la duplica‐zione di se stessa? Quella stessa duplicazione che l’aveva spinta a recarsi fino al Mu‐gello? Perciò la madre la invocava sempre di notte: Signora! Signora! E anche di giorno rientrava nella sua fantasia delirante fino a cercarla dentro i luoghi più strani: dagli armadi ai barattoli di marmellata, alle tazzine di caffè?
E se invece quella Signora esistesse veramente? Anche quella strada era praticabile, Giorgia era certa che nei malati di Alzheimer i deliri nascondono un significato: è come tornare indietro nel tempo e rimanere imbalsamati. Secondo lei, la Signora era ma una donna in carne ed ossa che aveva rappresentato qualcosa di significativo nella sua vita.
Dopo tre anni arriva a casa di Giorgia una busta proveniente dal Comune di Vicchio; dentro c’è un biglietto di auguri per Natale, raffigurante La Natività di Giotto. In cal‐ce una firma: la figlia della Signora. Dopo tre giorni di meditazione, decide di fare una ricerca e di andare a piedi fino a Vicchio, anticamente chiamato Vespignano, paese Natale di Giotto di Bordone. Si procura una guida della Francigena e, zaino in spalla, in pieno inverno, si mette in cammino.
Saranno solo tre giorni di viaggio, pensa. Circa cento chilometri la dividono da Vespignano, e poi sa che sarà un andare indimenticabile sulle tracce della memoria; con il cuore in subbuglio s’incammina, e non è la prima volta. Conosce bene il territorio, sa che la terra di Toscana, cuore verde d’Italia, non ti tradisce mai.
Saranno tre giorni di pace sulle tracce del suo amore: la madre, così diversa eppure così uguale a lei, con i suoi entusiasmi, le sue intemperanze, le sue improvvise malinconie. La ricorda giovane insegnante di storia e filosofia in un Liceo Classico, le sue opinioni sulla seconda guerra mondiale: gli uomini avevano perso il senno, portandole via il padre, fucilato dai fascisti.
Se la rivede anziana con gli occhi chiusi e il cervello spappolato, intanto attraversa declivi e dolci colline coronate dagli Appennini e più va e più è certa di essere sulla strada buona. Lei è, perché sta seguendo le orme dei pellegrini medioevali che si re‐cavano a Roma, ma soprattutto sta mettendo un passo dietro l’altro lungo il sentiero della memoria della madre.
Incontra soprattutto pellegrini; attraversa campi messi a grano, terre fertili e colline, sentieri di montagna aspri e solitari. Riconosce un giovane già incontrato dieci anni prima, lungo il cammino verso Santiago di Compostela; baci, abbracci, emozione intensa e sguardi lucidi dal pianto.
“Come sta la mamma?”
Lei abbassa gli occhi, lui capisce e la stringe intensamente.
“La mamma non è più tra noi e io sto cercando una Signora …”
Affrettano il passo, poi si soffermano davanti il tramonto a Borgo San Lorenzo, in‐cantati dal sole che cala rifugiandosi dietro la Pieve omonima del luogo.
Entrano nel Borgo e volgono il passo verso la Villa di Topaia, che ospitò Sibilla Aleramo, pseudonimo di Rina Faccio. Ricordano la sua infanzia infelice, la depressione della madre, morta in manicomio del 1917, la violenza subita e la vita amara fino alla stesura di Una donna, in cui rivelava, con tutto il coraggio di una donna, la vita difficilissima e pur pervicace, la sua battaglia a sostegno delle donne maltrattate e costrette alla prostituzione.
Alloggiano nella stessa Villa, dove nacque l’amore tra Rina e Dino Campana, rievocano quel carteggio tra i due ,passato alla storia della letteratura come la testimonianza di un amore passionale e travolgente. Un amore che unì la femminista ante litteram al poeta più visionario del ‘900, che aveva col Mugello un rapporto conflittuale. Ep‐pure a loro sembra di riappacificarsi col mondo, in quella terra di Toscana più sedu‐cente che mai di notte, mentre tutto dorme e le colline sembrano corpi di donne diste‐se.
Finalmente il terzo giorno arrivano nel posto dove la madre era stata ritrovata; il ricordo si fa cocente e il dolore acuto; pregano in silenzio per la donna più stramba e più dolce del mondo.
Mamma Maria, una delle tantissime vittime dell’Alzheimer. Preconizzano come il prossimo futuro sarà popolato di vecchi con pannolone e sedia a rotelle, con lo sguardo perso nel nulla. Mentre sono rivolti verso il sole che appare all’orizzonte, si staglia alta ed elegante una figura di donna, dalle lunghe braccia e mani affusolate.
“Ti stavo aspettando” dice, con sguardo ceruleo, intenso e profondo rivolto verso Giorgia.
“Me? Ma io sto cercando la Signora! Sono sulle tracce di una donna che ha per vent’anni popolato la fantasia di mia madre, malata di Alzheimer.”
“Ne so qualcosa, la Signora è mia madre. Era l’amante di Gaspare il Partigiano, tuo nonno. Qui a Vicchio tutti sanno di questa storia d’amore, intensa e prepotente come quella che unì Rina Faccio al poeta Dino Campana. Tua madre sapeva e fino ad un certo punto, ci veniva a trovare spesso, poi è scomparsa ed abbiamo saputo della sua malattia. Vieni con me!”
Giorgia lasciò il suo amico, voleva fronteggiare da sola il fantasma di sua madre. La trovò, la Signora, su una sedia a rotelle, con il pannolone e lo sguardo perso nel vuoto, ripetere come una nenia: “San Lorenzo, io lo so perché tanto/di stelle per l’aria tranquilla/arde e cade, perché sì gran pianto/nel concavo cielo sfavilla.”