Giornata mondiale della radio
E’ un gesto rapido, forse anche elegante nella sua sinuosità quasi impercettibile, ma il misfatto è compiuto. La mia compagna Ida mi ha spento la Radio! Fosse casa o in auto o in ambulatorio. Si, lo confesso, ho vissuto di radio e lo faccio ancora. Scrivo queste righe mentre il terzo programma mi ricorda la ricorrenza. Il primo ricordo? Cinque anni, non vedo l’oggetto a Villa Adela, ma sento il tamburo iniziale di Radio Londra e l’angoscia dei miei parenti. I tedeschi accampati nel nostro salotto e i miei genitori sotto una coperta per non far fuggire i suoni ascoltano notizie sulla guerra da una stazione radio clandestina. Sempre alla medesima età, io gioco tra la ghiaia del giardino con una piccola palla di celluloide (?!) che non salta. La guerra è finita. Mimo il gioco del calcio sulla radiocronaca di Nicolò Carosio che papà sta ascoltando nello studio. A scuola brani a memoria su Mazzini, Fratelli bandiera e Guglielmo Marconi! Mamma mi raccontava della sua gioventù bene a Livorno. Aveva conosciuto Elettra, la figlia di Marconi che era in vacanza sul panfilo del padre con il suo nome. Nel dopoguerra le sere in cucina, i gomiti sul tavolo di marmo, mentre Nunzio Filogamo presentava i dilettanti. Silvio Gigli! Volti tesi all’ascolto, commenti minimi per non sopraffare l’ascolto. L’adolescenza e la separazione dalla famiglia: la mia prima radio a “galena” con cuffia. Un paradiso delle mie notti. Un ago su di un luccicante cristallo sapeva cercare stazioni nel mondo. Quel giorno che un impiegato di mio padre a tavola di un ristorante genovese tirò fuori una delle meraviglie della mia gioventù: la radiolina giapponese, un microscopico gioiello. Poi adulto, la Satellite 2000 che ancora ascolto. Portatile, tenerla sulle spalle in villaggio Valtur, d’estate dava acchiappanza sicura! In questa casa, dove abito del 1890 che la vide nascere nel 1901 ne tengo accese a volte quattro contemporaneamente su programmi diversi.. Per Ida, quando arriva, è una fatica spegnermele.