Hermann

Hermann è il mio angelo custode. Perché ognuno di noi ne ha uno. Solo che il mio è veramente molto distratto.

Quando mi trovo in una situazione imbarazzante, lui è in qualche pub a farsi una Guinnes. Quando lo invoco per un consiglio, lui sta guardando l'ennesima edizione del "Grande Fratello".

Che ci troverà, poi...

Quando il cuore mi fa male, lui è ad una serata dei Tiro Mancino.

Ma appena sbaglio, eccolo lì, immediatamente riappare ed inizia a teppezzarmi i pensieri con la sua morale. Ha alcuni geni del Grillo Parlante ed è un maestro mel dare per poi togliere. Quando sono nel caos dell'indecisione, lui mi stuzzica, ricordandomi che le cose non ci cadono addosso, serve inseguirle, cercarle e provare a farle nostre.

Mi ripete che non siamo sulla terra per mangiare e dormire, ma per "tentare l'impresa". Mi ripete che devo credere in me e che se non provo non saprò mai se riesco a schienare Andre The Giant. Novantanove volte su cento torno a casa con la forma delle chiappe di Andre sul mio sterno ed Hermann non si fa vedere.

Ero un bambinetto quando l'ho incontrato per la prima volta. A causa di una caduta dalla bici, stetti in bilico tra la vita e la morte per due settimane. Lui ogni giorno, come un buon allenatore, mi diceva di stringere i denti perché se ci credevo sarei riuscito a risalire in sella.

Parlammo molto, in quei lunghi giorni al buio. Poi, quando riaprii gli occhi, detti un nome al mio angelo.

A volte mi chiedono perché Hermann, se c'è qualche ragione teutonica derivante da Italia‐Germania 4‐3. Ma i nomi sono come le folate di vento: arrivano a caso e, se li scegli così, sono i più sinceri del mondo.

La prima cosa che vidi, risvegliandomi, fu la serranda a mezza asta della finestra della mia stanza d'ospedale. Sull'ultima stecca in basso c'era un grande adesivo: "Hermann Infissi".

Chiamare il mio angelo"Infissi" mi sembrava poco poetico. Dunque, Hermann.

(Tratto dal capitolo 7 del romanzo "Trenta giorni di gesso" edito nel Novembre 2006 da Ibiskos Editrice Risolo)