I confetti
La luce chiara e pulita del mattino illuminava come sempre la piccola cucina di Serafina. Come tutti i giorni, estate e inverno, si era alzata alle sei e dopo aver atteso che il caffè salisse si apprestava a berlo vicino alla sua postazione di lavoro, la piccola vecchia sedia un po’ sfondata ma comoda e il banchetto fatto a misura per lei.
Guardava fuori Serafina, osservando l’inizio del giorno di tutto il suo quartiere, il tutto era come un congegno ben oliato, ciascuno aveva un compito preciso, anche i bambini che, sciamando a frotte, dopo poco avrebbero riempito di grida il cortile.
Serafina sorrise e trascinando la sua gamba sbilenca, tirò su i due grandi cesti pieni di mandorle che, entro sera, avrebbe dovuto sgusciare e consegnare alla piccola fabbrica di confetti, che si trovava su in cima alla collina.
Serafina accese la radio e, come ogni volta, provava una grande gioia: innanzitutto l’aveva comprata proprio lei, con i suoi risparmi, l’aveva scelta proprio rossa, un bel colore ai suoi occhi, e poi i vecchietti, che al primo sole si sarebbero seduti sotto il suo balcone, le avrebbero chiesto tante cose su come andava questo pazzo mondo e lei si sarebbe sentita proprio come la signorina del radiogiornale, che rispondeva con cognizione alle domande fattele.
Il grembiule fu filato e lo schiaccianoci cominciò la sua danza, erano ormai dieci anni che faceva questo lavoro, l’unico che la sua condizione fisica le aveva permesso.
Era nata con una gamba sifolina, l’ultima di sei fratelli, mamma e papà erano morti da tempo e i suoi affetti erano andati a cercare fortuna altrove, in paesi lontani dove nevicava quando da lei era estate.
Era stato duro trovare il lavoro, a servizio non era potuta andare perché le avevano fatto capire che non poteva “figurare” e nelle campagne lo sforzo era da considerare.
Dopotutto sgusciare mandorle a lei piaceva, pensava che ogni seme che ripuliva sarebbe stato ricoperto da uno spesso strato di zucchero bianco e sgranocchiato da bambini golosi o offerto a signorine timide, sempre in contesti di feste.
Le mandorle passavano per le sue mani e anche lei contribuiva a quella futura felicità.
Per lei era proprio un bel lavoro, e poi c’era quel profumo dolce e avvolgente che, quando il vento era giusto, scendeva dalla collina e riempiva il naso e l’animo.
Schiacciava i gusci con amore Serafina, e quando qualche mandorla si spezzava, c’era sempre un bambino pronto a prenderla al volo.
A lavoro compiuto, ogni sera c’era la consegna, passava Severino con un triciclo, ritirava le ceste e si fermava, anche perché, pronto per lui, c’era sempre un bicchiere di acqua fresca e anice d’estate o di vino d’inverno.
Un altro giorno era terminato, si affacciava al balconcino Serafina: adesso era la luce morbida del tramonto ad illuminarne il volto.
Rientrata in casa piano piano, cominciò a preparare la cena, sgranò le fave, tagliò una fetta di formaggio e sorridendo si asciugò una lacrima, complice la rossa cipolla dall’acre profumo che quella sera le aveva regalato Severino.
Il pasto fu terminato insieme alla puntata dell’appassionante storia che accompagnava le sue serate.
Ah, la radio! Come avrebbe fatto, pensava spesso, se non l’avesse avuta!
Il semplice letto di ferro battuto con il copriletto fatto dalla sua mamma tanti anni prima l’aspettava.
Serafina sorrise di nuovo, adesso era pronta per dormire, recitò con dovizia le preghiere, come una bambina, e chiuse gli occhi.
Lei non lo sapeva, ma, tutte le notti, il suo amore semplice e incondizionato per il prossimo veniva premiato, i suoi sogni erano i più belli e colorati che si fossero mai visti, e qualche volta in sogno arrivava anche Severino che, con il suo triciclo verde, la portava in giro per la campagna avvolti in un soave profumo di zucchero cotto… e Tommaso, Adelina, Eusebio, e tutti gli altri bambini del paese la chiamavano… anche lei poteva fare arrampicate pericolose per prendere i nidi, quelli con le uova più belle, azzurre…nuotare nel fiume fino a farsi rughe profonde nelle dita… mordere al volo pomodori rossi e sugosi rubati negli orti… e i suoi vecchietti sorridevano compiaciuti in attesa di altre notizie… tutto era condito da un amore denso che andava e veniva, un donare e ricevere senza fine, ben aldilà del piccolo paese. Non si rammaricava Serafina al risveglio dai suoi sogni, intuiva che era giusto vivere così, che la sua condizione fisica era un dettaglio perché il palpito del suo cuore era per tutto l’universo.
Un altro giorno l’attendeva e lei avrebbe continuato a sgusciare mandorle e a donare confetti.