I Diversi
Campagna marchigiana, mese di luglio, inizio della notte, Peppe il fittavolo stava ammirando il campo da lui coltivato, la fatica di un intero inverno, la luna alluminava il panorama, anche le lucciole contribuivano a renderlo quasi irreale. Era stata per lui una giornata fortunata, la moglie Concetta gli aveva ‘regalato’ un figlio maschio, ‘Ildo’. Per un contadino era un avvenimento importante, una assicurazione per la vecchiaia dopo una vita di sacrifici. In altra abitazione della stessa zona era venuto al mondo altro maschietto anche lui figlio di contadini Gino, in comune i due avevano un particolare, il padrone dei due fondi era lo stesso, Ettore il quale aveva anche lui un figlio ma più grande di età, Marcello. Era molto orgoglioso della sua discendenza anche se per motivi diversi di quelli dei suoi mezzadri, era l’unico legame familiare rimastogli, la moglie Maria era deceduta per la solita malattia incurabile. Ma Eride ancora una volta dimostrò la sua cattiveria: un pomeriggio Marcello era andato a caccia felice del nuovo fucile regalatogli dal padre, il tempo cambiò all’improvviso, lampi, tuoni, grandi nuvoloni cominciarono a scaricare acqua a catinelle il che rendeva la visibilità quasi impossibile. Marcello si mise a correre ricordando che da quelle parti c’era un capanno per ripararsi ma male gliene incolse: aveva posizionato il fucile alla spalla non sapendo che avrebbe potuto attirare un fulmine. Così avvenne, una scarica elettrica ad altissima potenza calamitata dalla canna del fucile lo tramortì. Ettore preoccupato di non veder tornare a casa il figlio, allarmò tutti gli abitanti della zona, fu Peppe a ritrovare il corpo, Ettore svenne…a notte inoltrata riprese i sensi, vicino al suo letto Concetta che rimase a fargli compagnia sino alla mattina sin quando Ettore la congedò. Da quel giorno sfortunato la vita del padrone cambiò completamente, aveva abbandonato la sua abitazione, mangiava e dormiva a casa dei suoi contadini dove vedeva crescere Ildo e Gino a cui si stava affezionando. La voglia di intimità lo indusse a ritornare a casa sua, non amava la solitudine e, dietro autorizzazione dei genitori portò con sé Ildo e Gino che nel frattempo stavano diventando due giovanotti grandi e grossi, due donne una cameriera ed una cuoca durante la mattinata tenevano in ordine l’abitazione, erano di bell’aspetto ma pareva che non interessassero Ildo e Gino i quali nel frattempo erano stati iscritti alla prima media nella scuola di una cittadina vicina, località che i due ragazzi raggiungevano accompagnati da Ettore con la sua Fiat 1100/103. Un pomeriggio Ettore notò del silenzio inconsueto nella camere dei due studenti che di solito ripetevano a voce alta le lezioni. Aprì uno spiraglio della porta d’ingresso alla loro stanza e…rimase basito, i due erano sdraiati sul letto e, nudi, si stavano baciando in bocca con contorno di toccata dei relativi piselli non più tanto piccoli. Ettore richiuse lo spiraglio, in totale confusione pensò che la soluzione migliore fosse quella di investire della faccenda il curato che in passato aveva dimostrato saggezza in varie occasioni. Don Mario mostrò comprensione ricordando le nuove direttive della Chiesa in cui anche gli omo, quali creature di Dio avevano diritto a vivere la loro diversità astenendosi però in ogni caso di fare sesso. Classica doppiezza della Chiesa Cattolica, Ettore comprese che avrebbe dovuto sistemare la situazione da solo e, un pomeriggio in cui regnava nella stanza dei giovani il più assoluto silenzio aprì il solito spiraglio, Ildo e Gino erano nel pieno del loro rapporto omo. Ettore ebbe una reazione non prevista, il suo uccello a riposo da molto tempo di colpo si alzò facendo provare all’interessato un desiderio intenso che gli fece pensare alle storie di quei sacerdoti pedofili descritti nei giornali, entrò in camera prendendo i due di sorpresa. I ragazzi si resero conto della situazione, senza parlare abbracciarono Ettore, pian piano lo spogliarono nudo e lo adagiarono sul letto. L’interessato ad occhi chiusi sentì sul suo corpo delle carezze, dei baci in bocca, il suo ‘ciccio’ circondato da labbra e poi posizionato nel retro di uno dei due sino a quando non ebbe una eiaculazione ma non bastò perché a sua volta fu gratificato da un ‘bigolo’ nel suo popò con un orgasmo da parte del suo ‘batacchio’. La situazione durò a lungo, Ettore si addormentò sin quando una voce: “La zuppa l’è cotta, la zuppa l’è cotta venite a mangià!” I due ragazzi a tavola si comportarono come se nulla fosse successo, per loro era una situazione normale non tanto per Ettore che però si adeguò. Gli avvenimenti si avvicendarono in maniera veloce: Ettore si ammalò anche lui di cancro come la moglie, in un mese morì lasciando però ricchi i due giovani che, ormai maggiorenni vendettero tutti i terreni e si trasferirono a Roma per frequentare l’università in medicina. Al’inizio i due scelsero un albergo per sondare il terreno circa l’iscrizione ad una Università e un appartamento da acquistare nelle vicinanze, non volevano avere a che fare con padroni di casa pretenziosi e ignoranti. Il solito portiere ben informato li indirizzò all’Università Tor Vergata e, dietro consiglio di un’agenzia immobiliare scelsero un appartamento già ammobiliato in via Montpellier, ultimo piano, una veduta stupenda di Roma. Usciti dall’alloggio per una ricognizione dei dintorni scovarono un locale dal nome particolare: ‘Club men and women’ al momento chiuso, ci sarebbero ritornati la sera all’apertura. Ma la sera furono ‘preda’ di Morfeo e si svegliarono solo alle sette di mattina al suono della sveglia. Primo giorno di lezioni, materia: anatomia, insegnante una signorina bionda, statura superiore alla media, niente trucco, molto precisa nelle spiegazioni, nessun sorriso, una statua di serietà. I due dopo un passaggio nella mensa dell’Università rientrarono a casa, anche in passato erano stati studenti attenti e lo dimostrarono ancora una volta, niente libera uscita, per cena qualcosa al fast food. Unica eccezione:il sabato, iscrizione al tennis club, non erano bravi giocatori ma trovarono come istruttore un vecchio maestro che, prendendoli un po’ in giro pian piano spiegò loro come essere meno fallosi, migliorarono in breve tempo. Ananke, dea del fato ci mise del suo facendo incontrare dinanzi alla porta di casa i fratelli e l’insegnante, abitavano nello stesso isolato. All’inizio si guardarono in viso poi: “Io sono insegnante all’Università, sono una buona fisionomista, se non erro eravate alla lezione di anatomia.” Io sono Ildo, lui il mio amico Gino, appena da un giorno abbiamo occupato l’appartamento all’ultimo piano, penso che anche lei…” “Si io sono al quarto, vi auguro buona notte, domani io non ho lezione…” Gino: ”Nemmeno noi, potremmo…” “Essere meno bugiardo, voi avete tutta la mattinata piena…non sono il tipo da essere rimorchiata, non vi offendete, di nuovo buona notte.” “Tiè, abbiamo fatto la figura di play boy da strapazzo!” “Fratello non disperare, chiederò aiuto al mio amico Hermes, in passato mi ha favorito.” Erano stati poco sinceri sia i due fratelli che la professoressa, anche lei aveva lezione, si incontrarono in un corridoio: “Bongiorno signora Monia bugiardina, noi andiamo a pranzare alla mensa universitaria, a più tardi.” “Stavolta caro fratello ti andrà buca, lo vedrai più tardi.” Nessuna buca anzi la professoressa era già seduta in mensa e stava per finire il primo. “Giovani siete in ritardo, pensavo non veniste più.” A suo modo era una presa in giro che i due fratelli ritennero piacevole, la demoiselle non era la dura irrimorchiabile che voleva dimostrare di essere. “Fuori dell’Università c’è un bar che mi dicono faccia un caffè eccezionale, il titolare lo importa direttamente da ‘El Salvador.” “Mi piacerebbe sapere da chi ha attinto questa notizia molto probabilmente per far bella figura, conoscete quella battuta romana: non c’è trippa pé gatti!” “Stà conversazione potrebbe durare a lungo, che ne dice di seguitarla a casa sua ovvero a casa di noi due, come preferisce?” “Alzo bandiera bianca, casa mia.” La quiete dopo la tempesta, Monia aveva fatto accomodare Ildo e Gino nel salone di casa, mobili antichi, tavolo intarsiato, vetrinette, poltrone, divano, un’etagère con sopra una foto in bianco e nero di donna molto bella, la ragazza di spalle mostrava un sorriso radioso ed occhi sognanti “Una parente?” “No.” Con quell’affermazione Monia aveva espresso tanto dolore, Ildo e Gino compresero che era stata l’amante della professoressa, un abbraccio di solidarietà. “Era la mia miglior amica sin dalle elementari, i genitori, vegani, un pomeriggio raccolsero della verdura simile ad una commestibile ma era molto tossica, Annalisa ed i genitori furono ricoverati in ospedale, ci voleva un trapianto di fegato, in tutta Italia non ce n’erano di compatibili, nel giro di un giorno la tragedia, morirono tutti e tre allo ‘Spallanzani’, questa era la loro abitazione…Lasciamo da parte le tristezze, parlatemi un po’ di voi.” I due fratelli riportarono la loro storia non omettendo di essere omosessuali, ebbero la comprensione di Monia, in fondo le due storie avevano molto in comune. Da quella sera casa nostra, casa tua, era sorta un’amicizia basata sul dolore e sulla solidarietà. Il solito Ildo un giorno all’arrivo di Sonia nel loro appartamento si fece trovare nudo, dopo un attimo di imbarazzo battuta di spirito: “Non pensavo che gli omo ce l’avessero tanto lungo, mi sa che un giorno mi ci sollazzerò!” Ma il primo a sollazzarsi fu Gino con un cunnilingus alla professoressa che dopo molto tempo ritrovò un orgasmo ormai dimenticato. La parte maschile dei due fratelli ebbe il sopravvento, pian piano, a turno usufruirono delle ‘grazie’ della professoressa, il loro era divenuto un legame forte anche se fuori del comune. Tanta invidia da parte dei conoscenti che immaginarono, la verità.