I giardini intrecciati
… E lei se ne andò, portando con sé le parole di un uomo tanto amato ma non capito. Non si curò di coloro che pascolavano nella sua esistenza. Non si curò della sua vigliaccheria, del suo egoismo. Voltò le spalle al mondo e andò via in cima ai suoi pensieri, sotto l’arco dorato che custodiva i suoi amori. Lì riversò ciò che avrebbe dato a lui per liberarsi d’un fardello così grande, poi pianse e il vuoto della perdita e si riempì di collera. Soccorse i suoi interessi e respirò aria buona. Lui non la cercò per un po’… sapeva dei suoi umori, calcolava i suoi egoismi e pensava ad altro. Come ogni uomo aveva un senso innato d’autodifesa, non era il momento di tornare a lei, l’aveva disillusa senza cattiveria. L’incanto s’era dissolto e dunque lui doveva provvedere a crearsene di nuovi. Andò via per un po’, curandosi blandamente di chi pascolava nella sua esistenza, cominciò ad arare la terra del suo amore, buttando semini immaginari, semini a cui non credeva, speranze che sbocciavano virtualmente e che al tocco svanivano. Chiuse il silenzio in un pensiero e cominciò a suonare la musica del suo divenire. L’altra, nuda realtà dei suoi umori, urlava in un campo sterminato... urlava al vento il suo amore per un uomo lontano, un amore mai capito, mai cercato ma semplicemente nato. Non doveva stare immobile mentre il suo mondo le voltava le spalle, non poteva custodire il silenzio di un bene prezioso. Battè i pugni al cielo e i piedi in terra per ricevere ascolto, battè un colpo solo sul cuore per dimenticare l’amore. Salì sulla montagna dei suoi amori portando un gregge d’affetti con sé, incontrando la distruzione dei suoi tormenti e, oltre le spine, le paludi, i percorsi irti e pieni di trucchi c’era l’apice del suo amore. Lì diede tutta l’erba del suo cuore al pascolo, poi guardò in basso e fissò il ricordo di lui. Epilogo … Lui fu attraversato da tante donne che entravano e uscivano dal suo giardino, ognuna raccoglieva un fiore, ogni fiore sfioriva al tocco. Un uomo ha tanti amori quanti i suoi occhi posson guardare, quanto le sue mani contenere, quanto il suo cuore dominare. Amare un uomo significa saperlo proprio nel momento del tocco e lasciarlo andare perché un istante dopo svanisce. Poche donne raccogliendo un fiore credono al profumo del silenzio. Lei tornò a lui, dopo aver colmato il vuoto di sé, dopo aver recuperato un gregge allo sbaraglio, dopo aver perso qualche pecorella… Tornò da lui come torna una figlia dal padre, con la consapevolezza che nulla sarebbe cambiato ma che lui l’avrebbe abbracciata con lo stesso sguardo. Aprì i suoi occhi e camminò con lui, in un instante gli porse la mano e cominciò a cercare altrove. Pochi uomini si accorgono d’esser portati per mano, pochi uomini guardano nella stessa direzione delle loro donne. … L’altra scorse il tempo, aprì un’arancia e contò gli spicchi, poi i chicchi degli spicchi, poi li ruppe e bevve: agro. Lui era immaturo. Aveva una pianta l’altra, al centro del cuore, un arancio che sboccia in continuazione i cui frutti non hanno stagione, un uomo una volta attraversò le insidie del suo cuore e si sedette in terra aspettando il frutto. Si saziò d’amore e quasi distrusse l’albero quando la pianta non ne produsse più, tre anni dopo sbocciò. Non rinunciò mai a lui, continuò a battere i pugni e i piedi, a spostar fiumi e accorciar distanze, ma non quelle reali bensì quelle interiori. Non si fermò a raccoglier fiori, non voleva il suo amore ma solo amarlo. Sapeva di lui e della sua musica, sapeva di lei e del suo sguardo altrove, sapeva di sé e di un bene che si nutre del bene. Aspettò seduta in terra che l’arancia cadesse.