Il Bus 2

Su un bus affollato, due sessantenni si scambiano parole dolci da amanti.
"Non mi accompagnare sino in stazione, cara, allungheresti inutilmente la tua strada."
Un bacio sulla guancia.
Attaccati alle manopole malferme che pendono dai tubi corrimano, tra scossoni e spinte di chi si avvede in ritardo che è giunta la propria fermata, stanno lì, sorridenti e teneri come due sedicenni.
Lui è un pizzico basso ma robusto e con un importante naso, ben vestito in grigio chiaro i pantaloni e la giacca con una tonalità un poco più scura dello stesso colore; lei, forse non conscia di questa pazza primavera e di questa giornata decisamente fredda e piovosa, veste una camicetta verde smeraldo, con piccole balze e delicatissimi disegni di piccoli fiori rossi, aperta sul davanti a mostrare un seno ancora tonico e per nulla modesto; il pudore le deve aver consigliato comunque di coprirsi un poco, così, dal collo, pendono tre o quattro collane di colori tutti tendenti al verde smeraldo, giusto per intonarsi alla camicetta; un giacchino in lanetta, anch’esso scollato, completa il tutto.
L’uomo, spinto forse da qualche altro frettoloso passeggero, si ritrova distante da lei, in prossimità della porta d’uscita.
Un bacio mandato con la mano.
"Quante fermate hai ancora, amore?"
"Non so di preciso, arrivo in cima a via Roma e dopo la galleria scendo e cambio."
Il vociare dei passeggeri quasi copre le loro parole, costringendoli ad alzare il tono della voce; si direbbe che tutto il resto del bus abbia in fastidio questi due teneri sessantenni, costringendoli a volgarizzare la loro conversazione, quasi a urlarla.
Un attimo di silenzio, beffardo silenzio della folla, coglie una frase di lei.
"Sono stata bene con te, torna presto, amore."
Arrossisce vistosamente; lui per consolarla, per attirare su di sé l’attenzione di quel pubblico non pagante, le manda un sonoro bacio facendolo schioccare nella mano aperta e porgendola nella sua direzione.
La donna, ancora intimidita, risponde con un piccolo bacio lasciato in punta di labbra sul polpastrello dell’indice.
"Appena arrivo a Milano, ti chiamo; rimani serena, amore."
Sedici metri di autobus, ribollente di persone bagnate di pioggia; ogni fermata è un susseguirsi di acrobazie per agguantare un maniglione e riuscire così a non dare o prendere troppi colpi.
È quasi impossibile calcolare quante vite ci sono lì dentro; quanti, essendo mezzogiorno, hanno già lavorato metà del dovuto e quanti altri, invece, hanno accudito figli o parenti a casa magari per andare a fare i turni pomeridiani; quante vite stanno scorrendo in quel momento sul bus?
Quanti, come i due sessantenni, hanno appena trascorso una mattinata colma di intimità e di tenerezze?
Le vite si incrociano senza conoscersi nemmeno, sui bus; miliardi di pensieri in quelle scatole viaggianti di lamiera, tanti che quasi fanno rumore.
È quasi impossibile non notare i comportamenti di chi ci sta intorno, appiccicati come si è, diventa difficile farsi i fatti propri, come prudenza ed educazione consiglierebbero; quando, poi, si assiste a qualche effusione amorosa, a un qualcosa che non sia il solito mugugno contro i governanti, il prezzo delle acciughe, le bollette della luce o quei maleducati di giovani che non lasciano mai il posto a sedere, sembra che la mente delle persone s’inceppi; la tenerezza di una coppietta, i loro baci, le loro parole gentili, escono dal canovaccio, stravolgono l’abitudine, come attori ribelli che iniziano a recitare a soggetto nel bel mezzo di una rappresentazione, creano uno scompiglio che ha qualcosa di sottilmente anarchico, un gusto particolare, un buon profumo di lavanda sparso nell’umida gabbia viaggiante.
È arrivata la fermata fatidica, l’uomo deve scendere, si volta verso la donna e sillaba un "Ti amo"; io rimango lì coi miei pensieri, sui miei guai di giornata, ma con un piccolo sorriso dentro, grazie a questi due sessantenni che si amano.