Il Cinematografo
La presa della mia mano sulla fetta di “pane e burro e zucchero” è insicura. Ma è pur vero che sia l'ora della merenda, dovunque io mi trovi. Mamma è inflessibile su questo. Lo aveva preso dalla borsetta, accuratamente incartato. Percepisco l'untuosità tra le mie dita, mentre cristalli di zucchero mi riempiono il palmo della mano. Quella tenda pesante, di colore rosso scuro, è un muro invalicabile. Di là, oltre quella barriera odorosa di polvere, c'è un suono che mi sembra di riconoscere. Una sirena, più aspra di quella, imponente e lamentosa, che annuncia i bombardamenti in paese. Ci provo a mordere un pezzo di pane, solo per una rassicurazione sensoriale. Il burro va sul labbro superiore, lo zucchero precipita sul cappottino. Mia madre ora crea una fessura in quel antro buio. Ha spostato di poco la tenda. Sento che mi spinge da dietro. ‐“Entra!”‐ Il suono m'investe. L'oscurità è rotta da un lampo di luce su di uno schermo bianco, che occupa un'intera parete. Che sarà mai questo luogo misterioso. Vedo ombre umane sedute, bagliori di occhi. Ora il suono è insopportabile per l'orecchio di un bimbo. Esce da un'auto che insegue un'altra auto, sul muro della sala, come se fosse una pittura in movimento. Spari. Ma la guerra non è finita ancora? Vengo preso dal terrore. Piango rumorosamente. Una voce aspra mi zittisce, imperiosamente. Mi sta sfuggendo di mano il “pane e burro e zucchero”. Ora lo sto calpestando. ‐“Non aver paura, è il cinematografo”‐ la voce di mamma.
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