Il commesso viaggiatore Seconda parte
Bart ed Anna rimasero per qualche secondo a fissarla, rapiti. Era una semplice valigia come tante, eppure li aveva come ipnotizzati.
Il primo a riscuotersi fu Bart: ‐Sento...sento qualcosa ‐
‐ Intendi dire che sta arrivando qualcuno? ‐ chiese la sorella allarmata
‐ No, no – rispose lui senza distogliere gli occhi dall'armadio – sento come una traccia nella valigetta...un senso lontano.
‐ Come se nella valigetta ci fosse qualcuno? ‐ chiese Anna corrugando la fronte.
‐ No, sento solo una flebile traccia, anzi, tante tracce ‐
Flebile?Dove aveva imparato quella parola suo fratello?
Bart si avvicinò cautamente alla valigetta. Allungò la mano con una lentezza esasperante, come se si stesse avvicinando ad un ordigno in procinto di esplodere.
Poi afferrò la maniglia. Anna ricominciò a respirare, senza nemmeno notare di aver smesso di farlo.
‐ È molto pesante – constatò il fratello mentre cercava di sollevare la valigetta. Anna gli diede una mano. Effettivamente era terribilmente pesante, troppo per le sue dimensioni contenute. E fredda. Come se emanasse freddo.
Con uno sforzo riuscirono a posarla sul letto. Era l'unica cosa che provava che lo sconosciuto era stato lì, che esisteva davvero ed era davvero entrato in quella camera.
Il materasso si piegò sotto quel peso ed il letto scricchiolò. Anna temette addirittura che stesse per cedere.
‐ Ora che facciamo? ‐ chiese Bart con tono improvvisamente incerto.
‐ Come che facciamo? La apriamo, no?
‐ Non lo so...se ci beccano...se papà ci scopre ‐
‐ Non essere sciocco, già per il fatto di essere entrati qui se ci scoprono siamo finiti – ma Anna percepiva che il timore di Bart non era certo quello di essere scoperto...sembrava piuttosto che la sua paura derivasse direttamente dalla valigetta, dal suo contenuto.
‐ Senti qualcosa? ‐
Bart si dondolava incerto sui talloni: ‐ Non lo so...sento che c'è qualcosa, ma non riesco a capire cosa...sono più cose...ma non lo so...sento tante tracce, ma deboli, te l'ho detto.
‐ Uff, cosa, qualcosa, non ti capisco. Apriamola e basta ‐
Il coperchio era chiuso da semplici serrature a scatto, senza lucchetto o combinazione. Anna le fece scattare, poi posò le mani sui bordi della valigetta, pronta ad aprirla.
Ancora quella sensazione di freddo. Adesso che era leggermente aperta, le sembrava che un filo tagliente di gelo uscisse dalla fessura del coperchio.
‐ Insomma aprila, prima che ci becchino – disse Bart nervosamente.
E lei lo fece.
Il coperchio era sorprendentemente leggero, e si aprì con uno sbuffo silenzioso, che forse i due fratelli immaginarono solo.
Dentro la valigetta era foderata di velluto rosso. Non avevano mai visto una cosa del genere.
Posate in file ordinate sul velluto, c'erano una ventina di boccette di vetro, tenute ferme da altrettanti laccetti di raso nero. Ad Anna ricordarono i laccetti con cui la mamma chiudeva i sacchetti di velluto che contenevano i gioielli.
Trattenuto dagli stessi laccetti, c'era un lungo coltello con il manico istoriato. La lama riluceva sinistramente ed il manico, con i suoi ghirigori inquietanti, terrorizzava Anna per l'impossibilità di scorgervi un disegno preciso.
Le boccette erano tutte uguali, di vetro trasparente, cilindriche, con il tappo sempre di vetro a forma di sfera. A Bart sembrarono delle piccole oliere, ma si risparmiò il commento così prosaico.
Il vetro era trasparente, eppure non si riusciva a capire cosa vi fosse dentro. Le boccette in realtà non erano tutte uguali come poteva apparire ad un esame superficiale: avevano tutte sfumature di colore diverso. O forse era il contenuto ad essere diverso. Colori diversi che sembravano cambiare, come se all'interno vi fosse un caleidoscopio di fluidi colorati, che costantemente si amalgamano e variano, in una combinazione continua ed infinita di sfumature, con una lentezza tale da far quasi dubitare che stesse davvero succedendo.
Sembravano emanare una fioca luce colorata, anch’essa cangiante come il contenuto.
Anna e Bart rimasero affascinati. Dopo un tempo imprecisato Bart allungò la mano verso una boccetta, con la stessa esasperante lentezza con cui prima aveva toccato la valigetta.
Anna poteva vedere lo spazio tra la punta del suo dito ed il vetro che si accorciava, centimetro per centimetro, come al rallentatore.
Anna non sapeva se l'avesse toccata veramente.
Ma il dito di Bart si fermò ad una distanza quasi impercettibile dalla boccetta, che adesso stava virando dal giallo al rosso, passando per tutte le sfumature dell'arancione.
Un'espressione di indicibile orrore si formò sul viso del bambino: ‐ Lo sento...c'è qualcuno qua dentro...qualcuno di malvagio ‐
Dietro gli occhiali gli occhi di Bart erano dilatati all'inverosimile, come se stesse fissando qualcosa di terrificante. Eppure non sembrava potersene staccare, come un coniglio abbagliato dai fari dell'auto che sta per investirlo rimane paralizzato in mezzo alla strada.
Sulle lenti dei suoi occhiali si riflettevano le luci cangianti delle boccette, rendendo il suo sguardo ancora più allucinato.
Anna non seppe cosa fare. Assurdamente, le venne in mente quello che le aveva detto una volta la maestra: se qualcuno ha un incidente con la corrente elettrica e rimane attaccato ad una presa od a qualcosa di simile, non toccatelo, o rimarrete anche voi attaccati.
L'incantesimo fu rotto da un rumore che entrambi conoscevano bene: lo scricchiolio del legno della veranda per i passi di qualcuno.
‐ Merda – bisbigliò Anna.
Bart si riscosse, rimanendo ancora come intontito. La sorella richiuse con uno scatto la valigetta e lui ritrasse appena in tempo le dita.
‐ Non rimanere lì impalato, aiutami cazzo – gli sibilò Anna mentre tentava di riportare la pesante valigetta nell'armadio.
I passi erano sempre più vicini: ‐ Non lo sento, deve essere lui per forza – bisbigliò Bart in tono disperato mentre con un ultimo sforzo spingeva la valigetta al suo posto.
Le flebili speranze di Anna, che fino a quel momento sperava di sentire i passi proseguire oltre la porta, svanirono in un istante.
Chiusero l'anta dell'armadio.
I passi si fermarono davanti alla porta.
Non seppe dire se se lo era immaginato o meno, ma a Bart sembrò chiaramente di sentire il tintinnio della chiave al di là della porta.
‐ Non possiamo uscire...cosa facciamo, cosa facciamo? ‐ disse quasi istericamente.
‐ Dobbiamo nasconderci. Andiamo nel bagno ‐
Il rumore, forse immaginato anche questo, della chiave che entrava nella serratura
‐ No, se ci va ci becca di sicuro. Meglio sotto il letto
In un lampo i due si buttarono a terra accanto al letto, dalla parte opposta rispetto alla porta.
Click, il chiavistello scattò.
Bart rotolò sotto per primo.
Solo in quel momento ad Anna venne in mente che erano parecchio anni che non si infilava sotto un letto, e che forse non ci sarebbe stata.
La porta si aprì lentamente, con il suo sinistro cigolio da animale ferito.
Anna rotolò sotto il letto, sentì la testa sfiorare il bordo di legno, ma per fortuna ci stava.
Trattennero il fiato.
Da dove erano videro la porta aprirsi del tutto, poi le scarpe nere lucide dello sconosciuto comparire sulla soglia. Rimasero lì, immobili, come se l'uomo stesse scrutando la stanza.
Merda, forse abbiamo lasciato qualcosa fuori posto.
Cosa abbiamo toccato, cosa? L'anta dell'armadio l'abbiamo chiusa? Non me lo ricordo, cazzo. E la porta del bagno? Forse era socchiusa quando siamo entrati e l'abbiamo lasciata aperta e lui se n'è accorto.
Merda, abbiamo messo la valigetta sul letto, di sicuro si è accorto del copriletto spiegazzato. Adesso ci becca.
Lo sconosciuto misurò a lunghi passi la stanza, girando attorno al letto con un rumore che risuonava ovattato sulla moquette, ma per questo non era meno inquietante. Le sue scarpe si fermarono davanti all'armadio. I suoi tacchi erano a poche spanne dal viso di Bart. Se avesse allungato la mano le avrebbe toccate senza sforzo. Era lì, a pochi centimetri da loro: loro sotto il letto, lui che girava intorno, come uno squalo intorno ad una foca ferita.
Lo sconosciuto aprì l'armadio
Abbiamo chiuso la valigetta? Non me lo ricordo, non mi ricordo se abbiamo fatto scattare le serrature....Dio, Dio, aiutaci
Lo sconosciuto, apparentemente soddisfatto, richiuse l'anta dell'armadio.
Solo in quel momento Anna si accorse che stava trattenendo il fiato e che il suo corpo aveva un disperato bisogno di ossigeno. Lentamente, molto lentamente, combattendo col bruciore dei polmoni che le ordinavano di respirare con foga, espirò. Poi riprese aria.
Sentirono un cigolio sopra la loro testa.
Anna fece rapidamente saettare lo sguardo intorno al letto: le scarpe erano sparite.
Lo sconosciuto, completamente vestito, si era disteso sul letto.
Era pochi centimetri sopra di loro, completamente immobile.
La ragazza girò lentamente la testa verso suo fratello. Nel farlo sentì i capelli che sfioravano la rete metallica del letto, che adesso si era abbassata per il peso dell'uomo sopra di loro.
Guardò Bart.
Suo fratello era pallido, teso come una corda di violino. Aveva il viso quasi affondato nella moquette blu.
Anna decise di lasciarlo così com'era per il momento, ed iniziò a pensare.
Erano bloccati lì sotto.
Finché lo sconosciuto stava nella stanza, loro non potevano uscire, questo era fuori discussione.
Se anche si fosse addormentato, sarebbero dovute passare delle ore prima che si sentisse abbastanza sicura da sgusciare fuori da sotto il letto ed uscire. Inoltre poteva benissimo svegliarsi in qualunque momento. La porta della stanza le sembrava lontana chilometri
E se li avesse scoperti...Anna non era certo sicura che si sarebbe limitato a chiamare loro padre. Quell'uomo aveva qualcosa che non andava. Lo aveva capito dal primo momento in cui lo aveva visto. Il vestito nero, gli occhiali neri, i denti...uno così di sicuro non era una persona normale. Quelle boccette inquietanti, quel coltello poi...chi diceva che non ne avesse un altro anche addosso e che quando lei fosse uscita da sotto il letto non lo avrebbe usato per piantarglielo nella schiena...
No, stai calma si impose. Cerca il modo di uscire da qui
In realtà non dipendeva da loro. Magari lo sconosciuto sarebbe andato in bagno, ma anche in quel caso c'era il rischio che ne uscisse in qualunque momento.
In più loro erano in due a doversene andare: il doppio del tempo.
Dovevano uscire da sotto il letto, arrivare alla porta, aprirla e scappare, non prima di averla richiusa dietro di loro.
Che situazione, che situazione. Eppure fino ad una manciata di minuti prima sembrava tutto un semplice gioco per interrompere la noia della vita in quel luogo isolato e dimenticato.
Oramai non aveva più paura di essere rimproverata o messa in punizione da suo padre, che di sicuro una marachella del genere l'avrebbe fatta pagare salata; era terrorizzata che fosse lo sconosciuto a scoprirli. Era l'uomo che la spaventava, non la punizione di suo padre. Avrebbe accettato qualunque rimprovero pur di uscire da quella situazione.
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Suo fratello era sempre immobile alla sua sinistra. Non osava nemmeno girare di nuovo la testa per guardarlo.
Il cigolio della rete del letto le comunicò che lo sconosciuto si era riscosso dalla sua interminabile immobilità.
Anna trattenne il fiato.
Li aveva sentiti? Si era accorto della loro presenza? Aveva preso il coltello dalla valigetta ‐ ecco perché aveva aperto l'armadio ‐ ed ora si apprestava ad usarlo su di loro...
‐ Sì, signore. Per domani dovrei arrivare ‐
La voce dell'uomo interruppe le loro terrorizzate elucubrazioni. Impiegarono qualche lunghissimo istante a capire che stava parlando al cellulare.
‐ Sì, signore. È stato un buon raccolto, almeno per i tempi che corrono…‐
L'uomo ora si era alzato dal letto e stava camminando lentamente intorno al letto.
I due fratelli in trappola potevano contarne i lenti passi attorno al loro nascondiglio.
Anna si dimenticò ben presto della conversazione, ne approfittò per parlare con suo fratello.
Gli si avvicinò il più possibile; controllò la posizione dello sconosciuto, che adesso le dava le spalle, e gli bisbigliò, in un sussurrò che quasi stentò lei stessa a sentire: ‐ Appena ne abbiamo la possibilità usciamo dalla finestra. Ti tocco sulla spalla ‐
Lo sconosciuto smise improvvisamente di parlare e fece due rapidi passi verso di loro.
Anna sentì il cuore fermarsi.
Si irrigidì, pronta a uscire da sotto il letto. Là sotto era in trappola, se fosse riuscita ad alzarsi in piedi avrebbe avuto qualche possibilità in più di cavarsela. Ma se davvero aveva il coltello c'era poco da fare.
L'uomo deviò verso l’armadio ed aprì l’anta.
Anna ricominciò a respirare.
Sentì gli scatti delle serrature della valigetta, poi lo sconosciuto dire: ‐ Ventidue, per l'esattezza, signore ‐
Anna si girò con esasperante lentezza verso Bart. Il collo le faceva un male terribile a stare in quella posizione. Suo fratello, se possibile, era ancora più pallido di prima. Aveva gli occhi spasmodicamente schiusi, serrati.
Dopo qualche istante li aprì ed annuì lentamente alla sorella. Era anche lui pronto ad uscire da lì.
Ora si trattava di avere l'occasione giusta.
Sarebbe bastato che lo sconosciuto uscisse un attimo, o che solo andasse in bagno, e loro sarebbero potuti uscire.
Non importava che trovasse la finestra aperta, anche se sapeva di averla chiusa sarebbe rimasto sempre con il dubbio. Dalla camera non avevano preso nulla, lo sconosciuto non avrebbe avuto nessun motivo per approfondire la questione.
E in fondo, chissenefrega, voglio solo uscire da qui.
Le scarpe dell'uomo adesso erano fisse a poche spanne da Bart. Evidentemente si era seduto sul bordo del letto.
E continuava a parlare.
Anna non sentiva più le parole. Era esausta, come stordita. I muscoli le bruciavano terribilmente per la posizione scomoda in cui era oramai da...non sapeva dire quanto. Potevano essere minuti come ore. Era in debito d'ossigeno perché respirava pianissimo, timorosa di essere scoperta. Gli occhi ed il naso le bruciavano per la polvere.
Con un violento cigolio lo sconosciuto si alzò di scatto dal letto: ‐ Credo siano in macchina, signore. Posso controllare ‐
E così dicendo con passo deciso si avviò verso la porta.
Anna la sentì aprirsi e richiudersi.
Toccò la spalla del fratello e rotolò fuori da sotto il letto, dimenandosi per passare sotto il bordo. I suoi muscoli gridarono di dolore per l'improvviso scatto dopo un'eterna forzata immobilità.
Anna non ci badò e si lanciò verso la finestra, seguita subito dal fratello.
Sentiva i battiti del cuore rimbombarle nelle orecchie, era quasi assordante. Le mani le tremavano. Per qualche interminabile istante litigò con le pesanti tende, cercando di scostarle, ma non riusciva a capire dove finisse quella di sinistra e dove iniziasse quella di destra.
Lo scatto della maniglia della porta.
Lo sconosciuto era ancora lì fuori, non era andato alla macchina come aveva detto al suo interlocutore.
Anna lo sentiva parlare al di là della porta. Come ipnotizzata, senza riuscire a distogliere lo sguardo, vide la maniglia abbassarsi lentamente e rimanere giù. Continuava a sentirlo parlare.
Evidentemente era poggiato alla maniglia, bloccato da un momento cruciale della sua telefonata nel rientrare nella stanza per recuperare chissà cosa. Forse le chiavi della sua auto pensò Anna in un momento di assurda lucidità.
Bart era riuscito a scostare le tende e stava aprendo la finestra. La afferrò per un braccio mentre la apriva.
Anna si riscosse e scivolò dietro la tenda. Suo fratello aveva già scavalcato il davanzale, atterrando silenziosamente sul prato dietro le camere.
Le tende si richiusero con uno sbuffo dietro di loro mentre anche Anna saltava sul prato.
Mentre lei si rialzava faticosamente, Bart riaccostò le ante della finestra. Coperte dalle pesanti tende, con un po' di fortuna lo sconosciuto non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Senza dire nemmeno una parola i due fratelli si allontanarono, stando bassi come soldati nella jungla, senza saperne bene il motivo.
Il cuore di Anna iniziò a recuperare i battiti e Bart ricominciò a respirare solo quando ebbero svoltato l'angolo dell'edificio che ospitava le cucine.
‐ La ringrazio dell'ospitalità e dell'ottima cena – lo sconosciuto stava restituendo le chiavi al padre.
Anna e Bart lo stavano guardando da dietro una porta socchiusa. Giusto uno spiraglio che permetteva loro di vedere il bancone e la nera figura dell'uomo davanti ad esso.
‐ I suoi figli mi sono stati di ottima compagnia – aggiunse l'uomo sorridendo.
Anna e Bart rimasero come paralizzati dietro la porta, immobili e gelati.
Loro padre sorrise ignaro dietro il bancone: ‐ Oh, non sapevo li avesse conosciuti...spero non le abbiano dato disturbo ‐
‐ Tutt'altro, sono due cari ragazzi...un po' troppo curiosi, ma adorabili ‐
Anna si sentì mancare, e per poco non cadde indietro.
Quando ritornò a guardare dalla fessura della porta suo padre e lo sconosciuto si stavano salutando. L'uomo aveva ancora in mano la sua valigetta e nel voltarsi per uscire per un istante il suo sguardo nascosto dagli occhialini neri incontrò quello dei due ragazzi; o almeno così sembrò ad entrambi.
Sorrise ed i suoi denti puntuti mandarono uno scintillio strano. Poi scomparve fuori dalla porta nel sole del mattino.
Loro padre non diede segno di aver notato nulla.
Quando i due, dopo qualche minuto, riuscirono a riscuotersi ed uscirono nel parcheggio, dell'uomo non v'era più traccia.
Anche sulla strada, della quale avevano la visuale per un bel po' di chilometri, non c'era alcuna auto.
Solo aguzzando lo sguardo, in lontananza, scorsero una vecchia Ford rossa che si allontanava. Era un modello davvero antiquato, che Bart aveva visto solo in qualche film; le cromature splendevano sotto i raggi del sole.
‐ Lo senti? ‐ gli chiese Anna.
‐ No, ti dico. È da ieri che ti ripeto che non lo sento – rispose lui esasperato. Come per un tacito accordo non avevano parlato di quanto successo la sera prima, troppo spaventati per farlo. Ma era evidente che Bart aveva dormito poco quella notte.
‐ Non intendo questo. Non senti il rumore del motore della sua auto? ‐
Bart tese l'orecchio: ‐ No, non lo sento ‐
‐ Appunto, nessun rumore. Come se la sua auto non avesse motore
‐ Secondo te lui sapeva che eravamo lì? ‐ chiese Bart dopo una lunga pausa
‐ Non lo so Bart, non lo so proprio ‐ sospirò Anna – quando mi ha fissato, poco fa, avrei giurato di sì...ora mi sembra assurdo, ma…non voglio pensarci più.
Rimasero lì, a fissare l'auto finché questa non divenne prima una macchia rossa indistinta, poi un semplice bagliore di luce riflessa del sole ed infine scomparve.
Lo sconosciuto giunse in città.
Posteggiò ed entrò nell’edifico.
Era davvero stanco e non vedeva l'ora di consegnare il frutto del proprio lavoro ed andarsene a casa.
Chiuse la portiera del suo veicolo rosso senza alcun rumore, attraversò il posteggio ed entrò nel palazzo.
La Ford avrebbe trovato da sola la strada di casa. Non sapeva esattamente come funzionasse. Sapeva solo che ogni volta che veniva nel Mondo di qua, come lo chiamavano lui ed i suoi colleghi, la Ford era sempre accanto all’accesso dal quale passava, pronta a portarlo silenziosamente in giro.
Mentre si mescolava alla folla del grande centro commerciale si sentì soddisfatto. Stanco ma soddisfatto. Ne aveva raccolto decisamente un buon numero. Oramai è sempre più difficile, pensò mentre attraversava il reparto calzature, trovare anime da portare al grande capo. Lassù la concorrenza oramai accoglieva chiunque: bastava un rapido pentimento in punto di morte e potevi entrare, anche dopo una vita di nefandezze.
Lo sconosciuto sospirò mentre svoltava in un corridoio totalmente dedicato alle attrezzature sportive; un tempo era diverso. Un tempo la gente viveva timorata, o meglio terrorizzata, di Dio. Se sbagliavi non c’era verso: il tuo destino era segnato.
Ultimamente invece, soprattutto negli ultimi cento anni, era sempre più semplice accedere all’eterna beatitudine. Quel Pietro si era rammollito. Lo conosceva, una brava persona, ma oramai faceva entrare chiunque.
E così per lui ed i colleghi era sempre più difficile trovare anime idonee ad essere portate giù.
Se continuava così si sarebbe avverata la previsione del filosofo Alf Ross: l’Inferno esiste ma è vuoto.
A lui in fondo non importava, pensò mentre schiacciava il tasto dell’ascensore, ancora qualche secolo e se ne sarebbe andato in pensione. E per così poco tempo poteva ancora riuscire a trovare anime per il capo.
Le porte dell’ascensore si aprirono con un ping metallico ed una signora entrò con lui.
‐ Scende? – gli chiese distrattamente mentre armeggiava con la pulsantiera.
‐ Oh sì, scendo – rispose lui con un sorriso.
Dopo qualche minuto le porte si riaprirono sull’ultimo piano sotterraneo del posteggio.
La donna uscì e si girò a guardarlo interdetta: ‐ Guardi che questo è l’ultimo piano…‐
Lui sorrise: ‐ Oh, lo so…ma io scendo più giù…un bel po’ più giù –
Le porte si richiusero.