Il Complice
Il primo complice sono io. Io, Angelo Primavera, cittadino che spende le sue giornate a leggere di queste storie, che nell’ascoltare i discorsi sin dal principio sono rimasto colpevolmente in silenzio. Io cittadino che ero in piazza e che ho anche urlato tra gli altri il sentimento comune che si respirava, ma che poi non ho avuto la forza di far valere le mie idee, di condividerle per tempo con gli altri, di riflettere insieme agli altri e magari offrirci una possibilità in più di fermare ciò che stava accadendo. Il primo complice sono io, Io cittadino che sono passato davanti a tanti volantini e non mi sono mai domandato cosa potessi fare, né mi sono preoccupato, per tempo, di indagare su ciò che stava accadendo. Io cittadino che pure quando ho iniziato a capire ho sempre atteso che altri si esponessero per me e quando poi lo hanno fatto, mi sono anche concesso il lusso di sindacarne le motivazioni, come se queste non rappresentassero anche il mio interesse, i miei diritti. Io giovane, che forse perso nei miei dubbi di un futuro fatto di nebbie ed incertezze, ho spesso cercato di non pensare o che mi sono subito arreso quando mi sono accorto che i miei coetanei non ne volevano sapere nulla. Io, giovane militante di sinistra o di destra, che non ho indagato su ciò che succedesse realmente e che nella mia ingenua o forse solo comoda posizione, ho appoggiato e non sono sceso in piazza per dire ai miei più anziani “compagni di partito” o capi, che forse stavano sbagliando. Io professionista, che nelle mie giornate di lavoro a volte spendo più ore di un operaio, o io operaio che faccio straordinari e lavoro più del mio padrone e che per questo, all’abbassarsi di una saracinesca o allo smettere una tuta, ho pensato che alla fine non ne volevo sapere niente di altri guai, perché ho già i miei. Il complice sono io, insegnante, docente, che ogni giorno mi siedo sulla cattedra, decanto nozioni ma lascio che lo spirito civico muoia, giustificandomi con il disinteresse dei giovani, abdicando, con permesso, al mio ruolo di educatore. Il complice sono io, che sventolo le mie bandiere senza rendermi conto che non dovrebbero essere le bandiere a dar idee alla gente, ma la gente a dar idee alle bandiere. Il complice sono io giornalista della stampa o della televisione, che non faccio domande, che se le faccio accetto che non mi venga data risposta, che passo le giornate a trascrivere dichiarazioni senza interrogarmi. Io editore che scelgo di viver nella quiete, selezionando con cura articoli e notizie preoccupato di non pestare i piedi al potente di turno, per acquisirne favori o forse semplicemente per non farmi nemici. Il complice sono io che spendo budget infiniti per campagne di sensibilizzazione su problemi sociali del terzo mondo e non mi rendo conto che pian piano, al di fuori della scatola al plasma comprata sottocosto, il terzo mondo sta arrivando fin qui. Il complice sono io che la storia la leggo a scuola per la pagella e nella vita la dimentico, credendo di esserne giunto alla fine, che non vi siano altre battaglie, che la libertà sia assodata e che quanto è stato conquistato in passato, sia intoccabile ed eterno. Io cittadino che neanche mi pongo il dubbio, se quello per cui in tanti sono morti, sia ancora veramente in piedi dietro la facciata con la scritta "democrazia", o se semplicemente vivo in un mondo di sogni, non miei, che chiamo realtà.