Il Credo a Ma'lula
Stamane, al primo caffè, la tv parlava dei cecchini, che imperversavano a Ma’lula, occupata dai ribelli siriani. Ricordo quella mattina, che ci arrivai. Montagne, nude come scogli infuocati, rosse di ferro. Grumi di case, cubi malconci di calce e mattoni, sgretolati dal vento, in bilico su crinali impossibili. Capre e capre a brucare erba invisibile. Un sole rovente, incessante, esasperante sul tuo corpo, che non ha più liquidi per sudare. Bambini dagli occhi enormi, muti, sorpresi di te, che ti seguono, tendendoti una mano che non sa chiedere. Si scende, per un viottolo, in una voragine infernale. Quale paura, quali orrori, spinsero i monaci a costruire un convento, così celato? Il Mar Sarkis ti ricorda che S. Sergio, come un'infinità di altri santi, è di qui. Paolo l'hai lasciato, a terra, a Damasco, fulminato da Dio. La Siria possiede più di un centinaio di insediamenti paleocristiani, a ricordarti che Gesù stava a pochi passi da qui. Il cristianesimo vive in un reticolo di musulmani sciti e sunniti, curdi, armeni. Il monaco, che ci accoglie, ci porta su, per gradini sconnessi, a una terrazza che dà sul azzurro del cielo. Il convento de Mar Taqla o santa Tecla è difronte, chiuso in caverne irregolari, quasi bocche fameliche. Il vento caldo del deserto lascia sabbia negli occhi e tra i denti. Il monaco mi porge un bicchiere d'acqua, che si appanna, tanto è fredda la sorgente, una verde fessura nella parete rocciosa della chiesa. ‐ "É l'unico luogo, al mondo”, ‐ ha una voce calda, in un italiano quasi perfetto, che sa stupirti – “dove si parla ancora l'aramaico dei tempi di Cristo. É tramandato solo oralmente. Ne abbiamo perso la grafia. Ora, sentirete dalla mia voce il suo Credo, con la sua stessa sonorità di linguaggio"
Ricordo quel suono.
l.p.r. 12‐09‐13