Il dono illustre

Una frizione d’animo e un sottile taglio metallico per un orizzonte senza natura . Un autunno ulcerato da singhiozzi d’esistente indifferenti. L’anima si accartoccia e scolora, muore per una stagione e nulla preannuncia, si inaridisce in una speranza rassicurata dalla consuetudine. Intorno tutti i tuoi fiori e due foto che trattengo a fatica dal vento. Ho la bocca crespa e inseguo qualcosa; una volta è un odore, a tratti è uno specchio che mi rifiuta: vedo i fiori, le foto ma non la mano che le trattiene, il mio volto che le osserva. Forse questo è il fedele riflesso di un terrificato stupore: ci sono, so di osservarmi ma non mi vedo. Mi fermo ai piedi di un lenzuolo bianco e chiudo gli occhi, cadono petali e lacrime sulle fisse onde quell’oceano candido, e da quelle dune bianche precipito in una vertigine di silenzi. Conosco senza mai tradurre tutto ciò che precede il sonno, quello zampillio incontrollato di immagini che come una ferita sgorga da una coscienza prossima alla resa. Indizi, tracce lucide ma scomposte di un arabesco folle, illuminazioni strappate al confine ultimo della veglia, banalità nobilitate dalla rinuncia della concentrazione. In questo tempo di in commensurabili istanti  non posso avere dimora, tutto è mio ma nulla trattengo.  Attraverso come uno straniero questo congedo perenne dove ogni cosa tesso e perdo in un’eresia di prossimità e lontananza. Qui il presente lascia impercettibili orme in un altrove sconfinato, qui si evoca l’indicibile a labbra mute e socchiuse , qui tu mi uccidi ogni sera nell’assenza!, e la tua arma è una tarsia di cobalto piantata nell’anima! E’lucida e delicata, nel suo notturno perlato vive qualcosa di familiare e continuo. Ancora un odore mai raggiunto, un’altra duna percorsa dal palmo della mano, che arresa dall’approssimarsi del sonno lambisce involontariamente il sottile ordito del tempo,  e tutto sta per scivolare nell’oblio. Sento affievolire tutti i sensi e non oppongo quasi più resistenza … ancora qualche istante e desidererò abbandonare ogni cosa a sé stessa,  il sonno non ha pietà neanche di quella lacrima che mi taglia di trasparenza il volto.  Lancio un ultimo sguardo in quella pietra assoluta, e nella sue  oceaniche profondità vedo quel volto negato dallo specchio, il suo stupore nel guardarsi e non vedermi, tutta la sua stanchezza nel resistere inutilmente alla notte, lo vedo chiudere gli occhi e versare lacrime davanti a un lenzuolo bianco dove sono caduti i petali di tutti i tuoi fiori. Mi ero già arreso senza saperlo e un sogno resisteva alla notte per me.